ELENA SCOLARI | «Ljuba è scappata a Parigi, per finire gli ultimi soldi che aveva, e non pensare più al fatto che è nobile, che le è morto un figlio affogato, che un marito le è morto… di champagne!»
Così, in poche parole, la sublime sintesi cecoviana ci fa conoscere il destino di Ljuba, inebriato da tragiche bollicine, in Russia, in un giorno di novembre.
È novembre anche a Milano, quando incontriamo Nicola Borghesi (interprete e regista) e Paola Aiello (attrice e parte del trio drammaturgico con Borghesi ed Enrico Baraldi) dopo aver visto Il giardino dei ciliegi – Trent’anni di felicità in comodato d’uso, al Teatro Franco Parenti, della compagnia bolognese Kepler 452 (finalista per il premio Rete Critica 2018), produzione ERT Emilia Romagna Teatro.
In scena Aiello, Borghesi, Lodovico Guenzi (leader del gruppo musicale Lo stato sociale) con Annalisa e Giuliano Bianchi.
Partiamo dalla genesi di questo spettacolo: come è nato il progetto?
NB: Volevamo affrontare un classico che tutti noi amiamo particolarmente, Čecov. Abbiamo cominciato le prove de Il giardino dei ciliegi dopo un lungo lavoro di ricerca sui luoghi di Bologna, abbiamo fatto molte interviste a persone comuni parlando con loro di luoghi “persi” e perduti e di legami tra luoghi e persone. Poi ci è capitato di leggere un articolo – come spieghiamo nello spettacolo – nel quale si raccontava della vicenda di Annalisa e Giuliano Bianchi, e abbiamo subito voluto incontrarli!
Ci volete ricordare la loro storia e spiegarci perché la vicenda ha a che fare con Čecov?
NB: Annalisa e Giuliano Bianchi vivevano da trent’anni in una casa colonica data loro in comodato d’uso dal Comune di Bologna, nel quartiere – pericoloso e degradato – del Pilastro. Una grandissima casa con annesso un terreno di sei ettari. In questa proprietà la coppia allevava mucche, faceva lavorare quaranta detenuti ex 41bis in borsa lavoro, conviveva con una famiglia rom, sfamava animali di tutti i generi: dai boa constrictor ai pastori maremmani, dai babbuini alle volpi del deserto a decine di gatti, dai pappagalli ai piccioni. E Giuliano proprio con i piccioni lavorava: per conto del Comune faceva una preziosa opera di cattura, analisi e soppressione degli esemplari malati per tenere sotto controllo la riproduzione di esemplari sani.
Con quel fantastico marchingegno con tapis roulant?
NB: Sì, con quell’aggeggio che Giuliano descrive come un’invenzione da Archimede! Così come quell’altra sua tenera diavoleria: il calorifero per il babbuino che soffriva il freddo…
Ma tornando alla cronaca dei fatti: succede che i Bianchi ricevono una notifica dal Comune nella quale si comunica che a sessanta giorni verrà attuato lo sgombero della casa e di tutto ciò che contiene, bestie comprese. Ed ecco dove scatta il parallelo con Il giardino dei ciliegi: la proprietà di Ljuba e Gaev, cui essi sono affezionati e che è in qualche modo loro specchio, viene messa all’asta per debiti, più o meno come il posto dove hanno vissuto per decenni i nostri due amici.
C’era un motivo preciso per lo sgombero, però…
NB: Eh sì, il motivo era che su quell’area avrebbe dovuto sorgere FICO, Fabbrica Italiana Contadina, il parco del cibo più grande del mondo. Il terreno si è trasformato nei 108 orti urbani del super parco.
Ma Oscar Farinetti ha visto lo spettacolo?
PA: No ma ne ha sentito parlare. Anzi, la direttrice di Fico, il vero capo, lo ha visto e si era anche complimentata con noi…
Torniamo alla genesi di questo anomalo Giardino: quando avete deciso di voler convincere Annalisa e Giuliano a essere in scena con voi? E qual è stata la loro reazione?
PA: Noi lo abbiamo pensato subito, ancor più dopo averli conosciuti. All’inizio volevamo che loro interpretassero solo Liuba e Gaev, poi abbiamo deciso che avrebbero potuto anche uscire dai personaggi ed essere presenti come loro stessi per raccontare con noi.
Ed è cominciato il corteggiamento! Io credo che Annalisa fosse d’accordo fin da subito, quando ha letto queste parole del testo «Oh! Infanzia! Purezza mia! Dormivo in questa stanza, di qui guardavo il giardino, e tutte le mattine la felicità si svegliava con me!» era già conquistata.
Giuliano era invece più restio, anche per vergogna. Non solo per timidezza “scenica” ma anche per un fortissimo senso della dignità che gli impediva di “mettere in piazza” gli affari loro e un loro fallimento, in fondo. Annalisa era invece convinta che la storia andasse resa pubblica.
Abbiamo lavorato intensamente per trovare la giusta misura per intrecciare la trama di Čecov alla storia dei Bianchi senza che diventasse un parallelo meccanico e anche senza indulgere troppo ai sentimenti.
Avete trovato un modo intelligente per agganciare un classico a un fatto di cronaca odierna e trasmettere così il motivo per cui i grandi testi teatrali ci parlano ancora.
NB: Sì, anche se questo non era l’unico nostro intento, ma siamo ben contenti di averlo centrato! Questo è anche uno spettacolo che parla della famiglia, delle dinamiche che si creano dentro a una famiglia ma ragiona anche su cosa è una famiglia, che può essere fatta anche di animali, anche di amici e non di parenti, di colleghi…
È piuttosto evidente, da ciò che si vede in scena, che il rapporto che si è creato fra voi, Giuliano e Annalisa è quello di una seconda famiglia, no?
PA: Credo che prima ci sia stata un’amicizia, fin da subito molto sincera, legata al fatto che noi eravamo interessati alla loro storia, professionalmente ma anche dal punto di vista personale. Poi c’è stata la fiducia, quella che ha portato queste due persone anticonvenzionali a invitarci a pranzo per mangiare il polpo anche quando gli erano rimaste poche decine di euro sul conto, dopo lo sfratto. Quando sono stati mandati ad abitare in un residence, il Galaxy, in periferia, un palazzone di cemento e linoleum, ben diverso dal luogo dove la felicità si svegliava insieme a loro.
Che è un atteggiamento molto russo, tra l’altro, quello di consumare vita e soldi, buttare mazzette di rubli nel camino…
NB: Sì, infatti! Anche questo è in linea. È stato un incontro importante, per tutti noi. Questo è uno spettacolo che ci ha un po’ cambiato, per me è ancora una fonte di nuovi pensieri, so che ancora potremmo far emergere qualcosa di più sulla vita di Ljuba e le tragedie successe al figlio e al marito. Per Lodovico Guenzi invece sappiamo che Il giardino dei ciliegi è, in questo momento, anche un giardino simbolico: non solo un lavoro in teatro ma quello che lo tiene ancorato a una vita meno vorticosa e patinata di quella che conduce come giudice di X Factor, tra una lite con la Maionchi e l’altra…
C’è schiettezza anche nel vostro affermare nettamente che voi (come noi) non siete come loro, come Giuliano e Annalisa, perché siete “borghesi”.
NB: È qualcosa che dovevamo dire, anche per evitare ciò cui accennavamo prima, il rischio di cadere nel sentimentalismo. È così: noi siamo diversi da loro, raccontare questa storia non ci ha resi uguali. Ci ha avvicinato e ci ha fatto riflettere sul senso del denaro e sul significato di appartenenza a un luogo.
PA: È un po’ come nell’opera gigantesca del graffitista Blu che citiamo nello spettacolo: il mural raccontava una Bologna in versione “Signore degli Anelli”, durante uno scontro epocale. È stato un modo per parlare delle diverse anime della città, una metafora visiva della lotta tra chi è “irregolare” e chi è invece “integrato” e inserito. Blu lo ha poi rimosso perché non finisse in una mostra a pagamento.
PAC: A questo punto della conversazione veniamo raggiunti dalla notizia della vittoria di Bolsonaro In Brasile. C’è molta rabbia, un certo sgomento. Subito proviamo a dire, tutti con parole simili, accorate, quanto più deboli stiano diventando i giardini in confronto ai baracconi produci-soldi, quanto fragili siano le voci delle persone come Giuliano e Annalisa Bianchi. E a quanto la resistenza del teatro, di un certo teatro, sia quindi sempre più importante.
Mi sdraio un po’ qui…
Non ho neanche più la forza
Dov’è andata a finire?
Se n’è andata, la forza, se n’è andata…
Per fortuna è rimasta Ara, il pappagallo che ha vissuto trent’anni di felicità con Giuliano e Annalisa.
Qui le prossime date della tournée de Il giardino dei ciliegi.
IL GIARDINO DEI CILIEGI – TRENT’ANNI DI FELICITÀ IN COMODATO D’USO
ideazione e drammaturgia Kepler-452 (Aiello, Baraldi, Borghesi)
regia Nicola Borghesi
con Annalisa e Giuliano Bianchi, Paola Aiello, Nicola Borghesi, Lodovico Guenzi
regista assistente Enrico Baraldi
assistente alla regia Michela Buscema
luci Vincent Longuemare
suoni Alberto “Bebo” Guidetti
scene e costumi Letizia Calori
video Chiara Caliò
foto Luca Del Pia
produzione EMILIA ROMAGNA TEATRO FONDAZIONE
Si ringraziano per l’ospitalità e la disponibilità ATER Circuito Multidisciplinare dell’Emilia Romagna, Teatro Comunale Laura Betti e Teatro dell’Argine.