LAURA BEVIONE | A cinquant’anni dal ’68 c’è la voglia non tanto di celebrare quanto di conoscere e comprendere. Desiderio che anima non soltanto – com’è naturale – le generazioni nate nei decenni successivi, quanto coloro che quel periodo lo vissero, più o meno attivamente. Ecco, allora, che il teatro si rivela contenitore ideale per tentare di illuminare – obiettivamente ma pure criticamente – un momento storico frenetico e ricchissimo, schizofrenico, esaltante e tragico allo stesso tempo. Un mito di cui si mira a scalfire la superficie per indagarne il magmatico contenuto, alla ricerca anche di eredità e possibili parallelismi nell’attualità.
È quanto fanno Davide Sacco e Agata Tomsic in Vogliamo tutto!, spettacolo che è il frutto tanto di indagini su manifestazioni e conquiste avvenute nelle principali città italiane dalla primavera del ’68 e ancora per tutto l’anno successivo, quanto di interviste ai giovani che oggi militano in movimenti di protesta, quale quello No TAV.
Un’interessante e legittima ricerca di punti di contatto, atteggiamenti e parole d’ordine, scelte e strategie che si concreta in scena nell’accostamento di immagini di oggi alla cronaca di fatti del passato, di canzoni attuali e delle voci dei ragazzi intervistati a video d’epoca. A intramezzare le singole rievocazioni-ricostruzioni, sipari in cui la protagonista assume i panni di una sorta di contemporanea e malefica Fata Turchina – con tanto di bacchetta e cerchietto argentato – per denunciare la sopravvivenza di discriminazioni e ingiustizie in una società ancora oggi tutt’altro che egualitaria.
Uno spettacolo realizzato in scena dalla performer Agata Tomsic, in abiti neri da antagonista – non mancano felpa con cappuccio e anfibi d’ordinanza – e un cellulare in modalità video montato su un bastone da selfie così da potersi riprendere e riflettere la propria immagine in primo piano sul telo che fa da fondale. La performer mantiene un tono monocorde da speaker che non riesce a trasmettere né empatia, né sdegno, né pathos né rabbia.
Una scelta di messinscena che non convince ma il vero limite di questo spettacolo – malgrado la palese buona fede degli autori e il lavoro preparatorio evidentemente compiuto – è l’approssimazione storica e la conseguente arbitrarietà di alcuni parallelismi: affiancare la lotta per le 40 ore di lavoro settimanali alle manifestazioni anti TAV ci pare quanto meno azzardato…
Un’opportunità non adeguatamente sfruttata, quindi, e che testimonia della vischiosità del tema, per affrontare il quale sono realmente necessari studio assai approfondito e costante confronto con storici che quel periodo abbiano compiutamente analizzato. E, ancora, mostra quanto la potenza espressiva del medium teatrale possa avallare ricostruzioni e interpretazioni non del tutto corrette e, dunque, debba essere maneggiato con estrema cura, senza lasciarsi trascinare dalla oggettiva bellezza di certe soluzioni, visive e sonore.Foto Andrea Macchia
In alcuni casi, appare più efficace una certa propensione al didascalico, come avviene ne La classe operaria va in paradiso, lo spettacolo che Paolo Di Paolo e Claudio Longhi hanno realizzato a partire dalla sceneggiatura dell’omonimo film e che ora ricomincia una lunga tournée per l’Italia.
Per una recensione dettagliata rimandiamo a quanto scrisse Renzo Francabandera in occasione del debutto; qui vale la pena sottolineare come un lavoro certo non sempre del tutto convincente, soprattutto per il sovrapporsi di più piani narrativi – il coro iniziale che traccia una sintetica storia della realtà operaria dal Novecento ai giorni nostri; le discussioni sulla sceneggiatura del film intercorse fra Elio Petri e Ugo Pirro; sequenze del film; istantanee di spettatori della pellicola; intermezzi musicali – riesca nondimeno a ricostruire il sentimento di un’epoca e a suggerirne la persistenza nella nostra contemporaneità.
Il rigore di drammaturgo e regista permette loro di scansare il rischio del pernicioso compiacimento estetico e, al contrario, di ricostruire un momento storico complesso, in cui alla società italiana veniva chiesto di emanciparsi da eredità ottocentesche – il lavoro a cottimo così come il rigido classismo – e di lottare per rivendicare sacrosanti diritti, lavorativi e non solo.
Lo spettacolo, come accennavamo, in alcuni punti “spiega troppo” e offre una sorta di sintesi dei capitoli sugli anni dal ’68 fino al decennio dei Settanta di un manuale di storia; eppure quella esplicita chiarezza consente di comprendere con immediatezza moventi, fragilità e insospettato coraggio di una generazione che tentò – e per molti aspetti riuscì – a cambiare il nostro paese.
L’affiatata orchestrazione interpretativa del cast e la linearità del disegno registico offrono al pubblico un quadro – inevitabilmente non esaustivo e nondimeno eloquente – di un periodo storico in cui per le strade anche un “crumiro” come Lulù protestava per una società più giusta. E se in Vogliamo tutto! l’atto di tirare le uova diventava – involontariamente – un gesto esteticamente significativo, qui acquista contenutistica pregnanza
Il teatro è ancora, malgrado la sua preannunciata fine, un mezzo potentissimo di conoscenza e analisi del reale; attenzione dunque a maneggiarlo con cura, resistendo alle sirene del compiacimento estetico e ricordando sempre di non abdicare alla responsabilità che inevitabilmente si ha verso il pubblico…
VOGLIAMO TUTTO!
ideazione e spazio Davide Sacco, Agata Tomsic/ErosAntEros
drammaturgia Agata Tomsic
regia e music design Davide Sacco
costumi e oggetti Clara Aqua
video Antropotopia
titoli animati Gianluca Sacco
interpreti Agata Tomsic
produzione TPE-Teatro Piemonte Europa, Polo del ‘900; in collaborazione con ErosAntEros
Polo del ‘900 d Torino,
7 novembre 2018
LA CLASSE OPERAIA VA IN PARADISO
liberamente tratto dal film di Elio Petri
di Paolo di Paolo
regia Claudio Longhi
scene Guia Buzzi
costumi Gianluca Sbicca
luci Vincenzo Bonaffini
video Riccardo Frati
musiche e arrangiamenti Filippo Zattini
interpreti Donatello Allegro, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Lino Guanciale, Diana Manea, Eugenio Papalia, Franca Penone, Simone Tangolo, Filippo Zattini
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione
Teatro Carignano di Torino,
6 novembre 2018
www.emiliaromagnateatro.com; www.teatrostabiletorino.it; www.fondazionetpe.it
Mi pare proprio che questo sia un attacco esclusivamente politico. E da artista non lo accetto e lo denuncio per la prima volta in tanti anni di lavoro. Abbiamo avuto per una settimana ogni sera posti esauriti, grandi applausi con urla “brava! Brava!” (il lavoro attoriale in questo spettacolo è davvero estremo perché la performer non esce mai di scena e porta in sé un intero mondo sostenendo da sola una partitura precisissima e senza appigli ad elevatissimo rischio) e spettatori commossi che ci hanno sommersi con il loro calore davvero ai limiti del l’imbarazzo. Come si fa ad attaccare addirittura la performer in quel modo quando invece proprio in tanti erano commossi e sono venuti a dircelo a fine spettacolo?! E quando ci si trova in una platea che applaude con urla di entusiasmo?! Anche oggi alla sesta replica ho personalmente raccolto una quantità di testimonianze di spettatori commossi, per varie questioni spesso legate alla loro famiglia, alla Fiat, al TAV, alla repressione…
Tra l’altro, sfido pubblicamente l’autrice della recensione a un confronto sulle questioni affrontate e vedremo chi le ha studiate di più.
Il parallelo tra Corso Traiano e NoTav è ovviamente – e incredibilmente centinaia di spettatori lo hanno colto e si sono complimentati con noi per questo – inerente al fatto che in entrambi i casi si tratta di una grande lotta di popolo che ha coinvolto non solo dei militanti ma una grande parte della popolazione di un territorio. Le consiglio di leggere i testi di e di intervistare protagonisti come Guido Viale, Franco Berardi Bifo e i molti altri ai quali abbiamo attinto in un anno intero di studio. Avesse presenziato all’incontro con Guido Viale (protagonista del 68 Torinese…) avrebbe sentito quanto ha apprezzato il nostro lavoro e come secondo lui proprio il parallelo tra Corso Traiano e NoTav è stata secondo lui la scena più centrata e potente, come peraltro sostengono tutti i giovani protagonisti dei movimenti odierni che abbiamo intervistato e che sono venuti a vedere lo spettacolo con grande entusiasmo e commozione da Torino, da Milano e anche dalla Romagna.
A proposito di studio, la inviterei a studiare meglio la nostra biografia e a correggere il suo errore perché non siamo e non siamo mai stati bolognesi anche se ci avrebbe tra l’altro fatto piacere.
Davide Sacco / ErosAntEros
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