LAURA BEVIONE | Dopo le anteprime di agosto e di ottobre e le due intense settimane torinesi – “in Centro” – Concentrica riprende il suo fertile vagabondare fra le province piemontesi e, scavalcate le montagne, fra le spiagge della Liguria. La sezione denominata “in Giro” della rassegna curata da La Caduta si dilata fino alla prima settimana di aprile, offrendo appuntamenti insoliti e di qualità in piazze non solo teatralmente periferiche: Genova e Asti ma anche Albenga e Casalborgone; Vercelli e La Spezia ma pure San Maurizio d’Opaglio e Busca…
Per scoprire quale idea di teatro e quali finalità cementano il progetto “in Giro”, abbiamo intervistato Massimo Betti Merlin che, insieme a Lorena Senestro, è direttore artistico di Concentrica, oltre che anima della torinese La Caduta, compagnia di produzione e distribuzione con riconoscimento ministeriale.
Come è nata la costola “in Giro” della vostra rassegna Concentrica?
È nata insieme alla rassegna ma in maniera molto più orizzontale di quanto sia adesso, perché quando siamo partiti io non avevo capito che essere il capofila di un progetto costringeva a confrontarsi con un problema strutturale che si riscontra in Italia e che è tuttora irrisolto, anche a livello ministeriale. Le reti hanno bisogno di un capofila che, di fatto, fa girare sul suo bilancio tutta l’attività. Se questa realtà da una parte può dare un certo spessore al bilancio, dall’altra ti esclude da altri finanziamenti. Quando sono partito avevo altri quattro partner, qualcuno anche molto interessante, per i quali, in quanto capofila, partecipavo ai bandi, per esempio delle fondazioni bancarie, e finanziavo così anche le date nelle loro stagioni; ma loro partecipavano pure come singoli agli stessi bandi, ottenendo così, alla fine, due finanziamenti, mentre io non potevo concorrere come singolo, incorrendo poi in varie difficoltà per sostenere la mia attività.
Da una parte, dunque, credevo fortemente nel progetto, dall’altra mi ritrovavo a dover fronteggiare questo irrisolto problema strutturale: si tratta di trovare un sistema per finanziare le reti senza che si verifichi uno sbilanciamento a danno del capofila. Potrebbe sembrare una questione puramente economica ma in realtà le economie spesso sono specchio delle fisionomie dei progetti.
Col tempo, poi, ci siamo resi conto che i partner non erano esattamente come ce li eravamo immaginati. Nei primi anni abbiamo svolto un bel lavoro sui temi: abbiamo riflettuto a briglia sciolta, con impegno di tempo da parte di tutti, su quali erano i problemi, i bugs del sistema teatro nazionale, e su quali potevano essere le soluzioni… Una volta compreso come andavano le cose, abbiamo ristretto sia gli obiettivi, sia alcuni strumenti messi in campo. Ho dovuto accentrare ulteriormente la rete anche per snellire il procedimento e renderla concreta come progetto. Per questo motivo abbiamo iniziato a essere noi a scegliere gli spettacoli.
Ci puoi spiegare come avveniva e come avviene oggi la scelta degli spettacoli in cartellone?
Oggi organizziamo una “vetrina” all’interno della quale i partner possano individuare i titoli per loro interessanti. Prima, invece, c’era una co-direzione: i partner proponevano vari titoli ma spesso quegli spettacoli non funzionavano. I territori erano così diversi fra di loro che sovente i lavori prescelti non risultavano adatti a una circuitazione regionale: per esempio, alcuni spettacoli non funzionavo a Torino, poiché la piazza cittadina è differente rispetto a quella provinciale, qualunque essa sia… Alla luce di questa realtà, decidemmo di fare una selezione più tecnica, proponendo a Torino titoli eterogenei – dalla compagnia emergente a quella già consolidata, per esempio Carrozzeria Orfeo – che i partner venissero a vedere per poi decidere se programmarli o meno nell’edizione successiva di Concentrica in Giro.
A quali “categorie” appartengono le compagnie che selezionate per la vetrina?
Guardiamo non solo al teatro emergente ma anche a quegli artisti che appartengono alla generazioni dei trenta-quarantenni e che, purtroppo, hanno oggettivamente avuto meno opportunità. Per quanto esistano, per esempio, molti bandi destinati agli under 35 sopravvive un problema di conoscenza: le generazioni nuove hanno una possibilità di accesso alla trasmissione dei saperi e delle esperienze che è infinitamente inferiore rispetto a quella delle generazioni precedenti. Meno budget, meno opportunità di spostamenti, obblighi di gestione amministrativa che impediscono di concentrarsi sul lavoro artistico.
Come avete individuato i vostri partner?
Non sono tanti i partner possibili sui territori poiché inizialmente abbiamo ricercato quelli che non fossero già legati al circuito regionale di Piemonte dal Vivo, non tanto perché volessimo entrare in concorrenza con esso bensì per la volontà di curare quegli aspetti ai quali dalla macchina del circuito era impossibile dedicarsi: creare, per esempio, occasioni di conoscenza e di incontro, di scambio e di dialogo, fra gli operatori e con il pubblico.
Purtroppo i partner non legati a Piemonte dal Vivo sono pochi, non tutti hanno una dimensione di innovazione e alcuni sono para-amatoriali. Io, tuttavia, non mi do per vinto e ho già individuato altri potenziali partner.
Come si è modificato il progetto “in Giro” in questi anni?
È cambiato molto proprio perché si tratta di un cantiere di riflessione, che costruisce anche sugli errori compiuti. Adesso alcuni punti sono consolidati: uno è l’idea che una vetrina a Torino può essere utile perché i programmatori ne hanno bisogno, in quanto spesso non riescono a vedere molti spettacoli, magari per mancanza di budget. Così, invece, hanno a disposizione una sorta di catalogo di compagnia, da invitare anche in anni successivi con spettacoli diversi. La vetrina, dunque, vuole essere uno strumento utile per i nostri partner, anche se non tutti partecipano…
Un altro punto riguarda il pubblico, la sua mobilità e la sua modalità di fruizione dello spettacolo: stiamo ragionando su delle situazioni per cui, anche in provincia, non si va a teatro soltanto per vedere lo spettacolo programmato per quella sera ma per condividere anche un’esperienza conviviale. Si tratta del modello che abbiamo sviluppato al nostro Caffè della Caduta, che porta un pubblico che non è unicamente quello abituale del teatro. L’idea è quella di riconoscere un ruolo sociale a quello che fai, superando il “rito” dell’andare a teatro. Non mi è mai interessato lavorare solamente per la “nicchia” teatrale e dunque anche la rassegna è impostata secondo questa finalità.
Un altro punto su cui ci siamo focalizzati è stato quello di offrire una circuitazione che si prolunga anche negli anni successivi: si organizza la vetrina, se lo spettacolo piace gli altri partner lo programmano e in questo modo vengono valorizzati i titoli, fuori dalla logica ministeriale del debutto con conseguente corsa a produrre. Le compagnie ottengono così una reale promozione e distribuzione – Andrea Cosentino e Carrozzeria Orfeo hanno collezionato sei-sette repliche ciascuno in due anni – su tutto il territorio piemontese e ligure.
Un aspetto che caratterizza Concentrica, come accennavi, è la ricerca di nuovo pubblico: in che modo ci state lavorando?
L’ampliamento del pubblico è sempre stato un nostro obiettivo: coinvolgere quella parte della società che non è così sensibile al teatro. Ci siamo resi conti che gli strumenti da noi messi in campo che funzionano di più sono quelli che prevedono una partecipazione diretta. Il prossimo anno vorrei realizzare un progetto che contravvenisse al principio diffuso secondo il quale il pubblico viene a teatro solamente se tu lo hai debitamente informato. Ciò avviene ancora in provincia ma in città non più: l’idea è “partecipo se quel progetto lo sento anche un po’ mio” e dunque tante energie spese per informare dovrebbe essere invece sfruttate per costruire ad hoc dei progetti di partecipazione veicolata che coinvolgano scuola, università… Iniziative tanto più necessarie nel nostro caso poiché, portando spettacoli all’insegna dell’innovazione non basta certo la semplice promozione/informazione.