ILENA AMBROSIO | Il mito che approda nella terra del mito. Il teatro che rinsalda quel ponte tra la Grecia e la Calabria che esiste da millenni, un legame sancito attraverso un incontro che va oltre le tavole del palcoscenico.
Tutto questo si è vissuto a Bova, in provincia di Reggio Calabria: il cuore dell’Area Grecanica, dove ancora si parla questa lingua – grecanica o greco di Calabria – e dove chiare sono le antiche tracce della Magna Grecia. Qui il Festival Miti Contemporanei ha scelto di far approdare una delle maggiori compagnie greche, quella del Teatro Karolos Koun di Atene, per mettere in scena un altro mito, quello di Giulio Cesare, nella trasposizione dell’opera shakespeariana – altro mito è Shakespeare – diretta da Natasha Triantafylli; una giovane regista che vanta collaborazioni importanti, come quella con Bob Wilson; esperienze immediatamente riscontrabili nell’innovazione stilistica del suo lavoro.
La Grecia approda in Magna Grecia, dunque, creando una simbiosi con il luogo e una valorizzazione di esso, come è peraltro negli obiettivi del Festival. Ma c’è anche altro: uno scambio culturale all’insegna del teatro, che apre le porte all’internazionalizzazione di Miti Contemporanei e, nello stesso tempo, sancisce la continuità di quella del teatro greco contemporaneo.
Internazionalizzazione e diffusione del teatro europeo e mondiale sono, infatti, obiettivi da sempre centrali nell’azione del Teatro Karolos Koun. Fondato come Art Theatre, nel 1942, dal regista Karolos Koun – uno tra i maggiori innovatori nella messa in scena degli autori classici greci –, si impose proprio come centro della conoscenza delle produzioni teatrali contemporanee, sia nazionali che internazionali. E tanti sono stati gli autori provenienti da ogni parte del mondo che l’Art Theatre ha fatto conoscere al pubblico greco, comprese le opere di Dario Fo.
Sinergia di intenti e prospettive, quindi, rilevante tanto per il Festival quanto per la Grecia e che si compone all’insegna del mito, naturalmente, come rimarcato dalla stessa regista: «il mito che si sta creando attraverso il teatro, il Festival che crea il proprio mito. Lo spettacolo Julius Caesar [a Bova in prima nazionale ndr] che si fonda sul mito, ma anche su altri miti. A partire dall’autore delle musiche, Ludovico Einaudi, un grande mito conosciuto a livello mondiale. Ma anche il percussionista che suona dal vivo in scena, Petros Kourtis, è un mito: tra l’altro, lo ricorderete perché ha partecipato anche alla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici».
«E poi – ha aggiunto Natasha Triantafylli – il protagonista, Renos Haralambidis, che per la Grecia è un mito vivente». Ed effettivamente è cosi: attore di cinema, con oltre cinquanta film all’attivo, di televisione, di teatro, ma pure regista, autore (ha anche collaborato alla drammaturgia del testo), compositore.
Una fama della quale si comprendono subito i motivi: in teatro, la sua presenza scenica è disarmante, riesce con maestria a mutare registro e a trasportare lo spettatore in un Julius Caesar che mostra tutta la sua portata universale. Tanto totalizzante è la sua capacità interpretativa da far dimenticare che lo spettacolo è in lingua greca, da costringere a dimenticare i sovratitoli, per seguire solamente il suo racconto scenico. Come peraltro sottolinea lo stesso attore: «sono sicuro che, se anche parliamo greco, ci capite ugualmente». E infatti li si comprende forse per quella vicinanza tra popoli, tra culture, tra luoghi, accomunati, tra l’altro, da momenti di sofferenza e di crisi, ma che trovano in se stessi, e certamente anche nell’arte, la forza e lo slancio per rialzarsi. E in questo senso, l’epicità del mito, del testo messo in scena, conduce inevitabilmente a riflessioni sul potere e sulla necessità di incontrare le esigenze del popolo, che sembrano, appunto, universali.
Tale “corrispondenza/vicinanza” tra popoli è rimarcata ancora da Haralambidis: «Per noi venire qui è stato come tornare in un posto che ci appartiene. È sorprendente ed emozionante imbattersi in espressioni greche, leggere iscrizioni in greco sui monumenti, sulle chiese, come quella sull’ingresso del Duomo della città». Italia e Grecia, popoli affini che – splendida l’immagine utilizzata dall’attore – «hanno il polso comune del cuore mediterraneo».
Un parlare, un “essere greci”, che si riflette nel vivere e nel sentire il teatro: senza però fermarsi alla classicità, ma rileggendola secondo uno sguardo contemporaneo, come la regia dimostra, tra uso sapiente delle luci come strumento di costruzione del racconto – per evidenziare il dialogo con se stesso, con la propria anima, del protagonista –, destrutturazione reale della scena, ribaltamento dei piani tra pubblico e attori nella parte iniziale dello spettacolo. Il tutto per rimarcare proprio uno degli aspetti salienti di questa versione dell’opera che – viene evidenziato dalla compagnia del Karolos Koun – si fonda sull’analisi delle dinamiche dell’animo umano, sulla lotta tra bene e male dentro l’uomo, sui limiti e le debolezze.
Insomma, la Grecia ripensa il mito e guarda al futuro. Coinvolgendo la Calabria, e l’Italia in generale, in un tentativo di uscire dai propri confini, per guardare ad un’internazionalizzazione che è propria della nostra storia.
JUILIUS CAESAR
di William Shakespeare
Regia Natasha Triantafylli
Adattamento Elena Triantafyllopoulou, Natasha Triantafylli, Renos Haralambidis
Con Renos Haralambidis, Eleana Georgouli
il coro composto dagli allievi attori italiani Giuseppe Menzo, Francesco Gallelli e Giacomo Santi
Costumi Ioanna Tsami
Musiche originali Caesar Theme Ludovico Einaudi
Percussioni Petros Kourtis
Produzione Art Theatre “Karolos Koun” – Atene
Festival Miti Contemporanei
Spazio cultura – Bova (Reggio Calabria)
24 novembre 2018