ELENA SCOLARI | Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello fu rappresentata la prima volta nel 1921 al Teatro Valle di Roma, e fece un sonoro fiasco; sono note le grida del pubblico “Manicomio, manicomio!”, quando la platea partecipava e commentava vivacemente – dal vivo – ciò che vedeva. Bei tempi! L’opera rivoluzionaria fu capita solo anni dopo, e rimane un caposaldo non solo del “teatro nel teatro” ma di una profonda riflessione su verità e finzione, sul ruolo dell’attore e dell’autore e quindi sul teatro in sé.

Sei personaggi messo in scena dalla compagnia Scimone/Sframeli (adattamento di Scimone e regia di Sframeli) sfronda il dramma di molti degli orpelli che oggi risulterebbero datati e pesanti. La riscrittura di Scimone sta dalla parte dei personaggi, a mio parere, ma i personaggi sono ovviamente interpretati da attori, pertanto il corto circuito resta ed è esso stesso fulcro del senso che Pirandello voleva emergesse: l’impossibilità dei primi senza il lavoro dei secondi. E forse una psicanalitica idea di sovrapposizione tra i due elementi.

Se nel testo originale i personaggi si presentano interrompendo le prove de Il giuoco delle parti (altro corto circuito, come ne I giganti della montagna in cui La compagnia della contessa deve realizzare La favola del figlio cambiato, sempre di Pirandello), qui compaiono durante la preparazione di un testo qualsiasi, facendo capolino dalla scenografia di Lina Fiorito: pannelli sui quali sono dipinti i palchi di un teatro all’italiana. Scelta non proprio sorprendente, date le circostanze. Semmai a sorprendere è lo stupore che ha suscitato! In quasi un secolo di messe in scena non può essere la prima volta.

La realtà, del teatro ma anche della vita, è rappresentata da un tecnico luci, con il quale si apre lo spettacolo, che sparisce poco dopo aver sistemato un faro, per andare e restare in bagno: ha problemi di prostata. Divertente?
Lo schema vede gli attori a sinistra sul palco, seduti e sincronizzati nei movimenti, come un sol uomo. Sono come un soggetto unico e quindi meno reale, un’entità simbolica, contrariamente ai personaggi che hanno esistenza, calore e libertà corporea singoli, e occupano prevalentemente la metà di destra.

Un pregio indubbio è sicuramente aver tolto, grazie alla recitazione asciutta e disincantata di Spiro Scimone che interpreta il capocomico, l’enfasi tutta siciliana alle importanti e belle battute su quanto i personaggi siano più “reali” degli attori perché la loro storia non cambia mai, rimane vera per sempre; e su quanto la loro sussistenza ontologica dipenda dall’esistenza degli attori. La lingua però è rimasta ridondante e l’artificio di ripetere l’ultima parte della battuta precedente all’inizio della nuova risulta ripetitivo.


Se l’idea di eliminare dalla scena la maîtresse Madama Pace – che sarebbe sembrata troppo fuori dai tempi – è giusta e “moderna”, non altrettanto si può dire della storiaccia di famiglia, squallida come deve essere ma non così interessante, nonostante la buona prova di Zoe Pernici (la figliastra) e soprattutto di Giulia Weber (la madre). Questa sensazione non si può ascrivere completamente allo spettacolo, penso piuttosto alla difficoltà di trovare come centrare il fuoco su ciò che in un super testo come questo è ancora attuale, cercando di contestualizzare con l’epoca le parti che per forza risultano oggi meno dirompenti.
Come il goffo tentativo degli attori di mettere in scena la storia dei personaggi con una recitazione cantata e gigionesca: era senz’altro una critica fortissima allo stile attoriale degli anni ’20, oggi nessuno più si sognerebbe di recitare così.

Pirandello stesso, nella prefazione a Sei personaggi dice:

Io ho voluto rappresentare sei personaggi che cercano un autore. Il dramma non riesce a rappresentarsi appunto perché manca l’autore che essi cercano; e si rappresenta invece la commedia di questo loro vano tentativo, con tutto quello che essa ha di tragico per il fatto che questi sei personaggi sono stati rifiutati.
Ma si può rappresentare un personaggio, rifiutandolo? Evidentemente, per rappresentarlo, bisogna invece accoglierlo nella fantasia e quindi esprimerlo. E io difatti ho accolto e realizzato quei sei personaggi: li ho però accolti e realizzati come rifiutati: in cerca d’altro autore.
Bisogna ora intendere che cosa ho rifiutato di essi; non essi stessi, evidentemente; bensì il loro dramma, che, senza dubbio, interessa loro sopra tutto, ma non interessava affatto me.

Il pensiero dell’autore siciliano è complesso e sottilissimo, ed è la forza del testo: la ragion d’essere dei personaggi è la loro storia (questo dramma o un altro non cambierebbe la sostanza), storia che è proprio ciò che l’autore rifiuta, a vantaggio della loro invincibile immortalità, in quanto creature di fantasia.
Fantasia, quella «servetta sveltissima, dispettosa e beffarda» che ha l’ardire di presentare all’autore casi sempre nuovi. E serissimi.

 

SEI
adattamento di Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello

di Spiro Scimone
con Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Gianluca Cesale, Giulia Weber, Bruno Ricci, Francesco Natoli, Maria Silvia Greco, Michelangelo Zanghì, Miriam Russo, Zoe Pernici
regia Francesco Sframeli
scena Lino Fiorito
costumi Sandra Cardini
disegno luci Beatrice Ficalbi
musiche Roberto Pelosi
regista assistente Roberto Bonaventura
foto di scena Gianni Fiorito
produzione Compagnia Scimone Sframeli/Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale/Teatro Biondo di Palermo/Théâtre Garonne Scène Européenne Toulouse
in collaborazione con Napoli Teatro Festival Italia

Teatro Franco Parenti
17 novembre 2018