RENZO FRANCABANDERA | Un tema centrale che guarda alla classicità per rileggerla nel contemporaneo: il mito, ma non solo. Ovvero, il mito come riferimento, come punto dal quale partire per osservare l’oggi. Ed ecco che il mito diventa strumento per guardare alle migrazioni, al viaggio, alla partenza e al ritorno; al rapporto con l’altro, all’integrazione, alla figura della donna, forte, determinata, solo apparentemente fragile. Il mito come racconto epico, come elemento propulsore del cambiamento o come archetipo, tra tragicità e commedia.
È stato questo il fulcro della settima edizione del Festival Miti Contemporanei e dei lavori andati inscena: oltre al cult La terra desolata, con una camaleontica Annig Raimondi, anche un’ Antigone che riflette sul suo destino, che vorrebbe dimenticarlo, lottando con le voci del suo passato che la riportano ad analizzare se stessa e la vita.
Una versione, quella scritta da Donatella Venuti – dal titolo Antigone, il sogno della farfalla –, che si basa sulla rivisitazione che della vicenda fa la filosofa Maria Zambrano incentrata sul concetto di mito come ricerca dell’io. A portarla in scena, come primo studio, Officine Jonike Arti, con una intensa Maria Milasi, insieme ad Americo Melchionda che, da regista, evidenzia questo sguardo sul personaggio.
Ancora un mito classico rivisitato è la Medea Kali prodotta dal Teatro Libero Palermo e interpretata da Viviana Lombardo, per la regia di Beno Mazzone. Una Medea con una nuova origine, tra Occidente e Oriente, dilaniata dall’amore per la vita e per i figli, in fuga dalla sua personale tragedia. Una figura femminile interpretata con grande presenza scenica dalla Lombardo, carismatica e coinvolgente in questo monologo.
Il mito, poi, guarda all’oggi e lo fa destrutturando se stesso. Come accade in Metamorfosi, lo spettacolo nato in residenza teatrale, con sette giovani attori provenienti da tutta Italia, diretti da Matteo Tarasco (qui la nostra video intervista). L’autrice della drammaturgia, Katia Colica, reinterpreta il mito nella versione di Ovidio ma attingendo anche da altre fonti e, appunto, guardando alla realtà contemporanea. La messa in scena è altrettanto innovativa e destrutturante.
Il pubblico viene coinvolto e trasportato nei percorsi del Castello Aragonese, che ha ospitato la performance, ma anche tra i racconti degli attori, per poi giungere in una sala dove tutti i monologhi ascoltati trovano una sintesi. Rapporti umani e familiari, difficoltà del vivere: i personaggi “narrano” se stessi, osservati dagli spettatori, ma anche osservandosi e raccontandosi attraverso i cellulari tenuti sempre in mano. Lo smartphone, il visore della realtà virtuale, diventa mezzo per comunicare, ma anche per mischiare i piani di realtà e finzione.
Miti che si intersecano, in questo percorso del festival, allo sguardo sul contemporaneo, sulle migrazioni, sul viaggio.
Come in Noi non siamo barbari, prodotto da Scena Nuda e La Contrada-Teatro Stabile di Trieste, per la regia di Andrea Collavino, con Teresa Timpano, Filippo Gessi, Saverio Tavano e Stefania Ugomari di Blas, incentrato sul tema dell’immigrazione e dell’incontro con l’altro.
O come in Odissea, un canto mediterraneo, che concluderà il 30 novembre, il Festival.
Peppe Servillo e Mario Incudine, in un concerto-spettacolo che verrà presentato in prima nazionale, spazieranno tra musica e parole sul tema del viaggio e sulla capacità dell’uomo di raccontare storie. «Dall’Odissea – spiega l’ideatore del progetto e regista (insieme a Mario Incudine) Sergio Maifredi – prendiamo la storia, i personaggi, il racconto; quindi prendiamo tutto e al tempo stesso tutto è reinventato: Odisseo compie un nuovo viaggio, in un Mediterraneo contemporaneo, alla ricerca del suo doppio, Nessuno, inseguendo il desiderio di essere finalmente Nessuno”.