ANTONELLA D’ARCO | «Saint-Exupéry o è un autore che incontri da giovane, e ne sei conquistato, o lo incontri nel corso della tua maturità, e allora lo leggi col dovuto distacco critico», così scriveva Umberto Eco su il Diario di Repubblica del 21 marzo 2006.
Desidera, in scena al Piccolo Bellini fino al 2 dicembre – spettacolo che s’ispira alla figura e ai racconti dello scrittore-aviatore di Lione e del quale Simona Di Maio e Sebastiano Coticelli firmano la drammaturgia e la regia –, non annullando quel «dovuto distacco critico», va letto con lo stupore e l’emozione dell’età della giovinezza, quasi dell’infanzia. D’altronde la compagnia Il Teatro nel Baule ha una forte vocazione verso il teatro dei bambini, una vocazione che ha permesso di sviluppare un linguaggio espressivo, messo a punto in Desidera, che è adatto anche al mondo degli adulti.
La formazione in mimo, clownerie e teatro danza degli attori Giuseppe Brancaccio, Amalia Ruocco, Dimitri Tetta e gli stessi Simona Di Maio e Sebastiano Coticelli, ha reso possibile l’elaborazione di una poetica narrazione, nella quasi totale assenza di parole. Il racconto di una vita, di una solitudine, di un uomo, ormai anziano, riverso sui suoi pensieri e sui suoi ricordi, è scritto dai corpi, dai silenzi e dalla musica.
Come de-sidera, nell’analisi dal latino, indica la mancanza-privazione delle stelle, ma non la loro assenza, così anche la mancanza-privazione della parola – laddove è presente, lo è per lo più con l’artifizio di una voce off –, non è assenza, bensì substantia di una presenza, la presenza di qualcos’altro, qualcosa di più necessario della scrittura: i corpi e le immagini che essi creano, acuminata punta di una matita che disegna la drammaturgia. «Le figure che si muovono sulla scena, nella ritualità del ricordo – spiegano Di Maio e Coticelli, nelle note di regia – ricordano le donne e gli uomini dei quadri di Hopper». Geometrie, luci taglienti, percezione quasi metafisica della rappresentazione di situazioni tese al realismo, tempo sospeso: questa la pittura di Edward Hopper; questa la dimensione percettiva nella quale il disegno luci di Paco Summonte, le scene di Damiano Sanna e i costumi di Gina Oliva calano i personaggi.
Lui, l’uomo anziano, è seduto al tavolo, immerso nello spazio-tempo della memoria, angosciato e inquieto per la perdita subita. Perdita di Simone, la donna amata, perdita del suo sogno: volare tra le nuvole e le stelle. Seppellito tra i fogli sui quali appunta i pensieri, alcune improbabili invenzioni e le lettere d’amore che sono i suoi ricordi, non smarrisce la speranza. Elabora, su basi scientifiche, una teoria che possa ricongiungerlo col se stesso passato, perduto, attraverso un viaggio nel tempo, il sentimento del suo tempo. La casa si anima delle visioni di lui, da giovane, e di Simone, della loro vita insieme, nell’alternanza delle due coppie di interpreti che segnano, ognuna, un momento preciso della vita dell’uomo.
La danza dei suoi doppi e del doppio della donna, che si differenziano tra loro soltanto da alcuni piccoli particolari dei costumi, fa rincorrere i corpi entro il perimetro della messinscena. Scherzano, si punzecchiano, litigano, si amano, mentre vengono attraversati dalle musiche originali di Tommy Grieco. Il gesto è amplificato, nella sua intensità, dalle note e dai suoni. Un pianoforte romantico e sonorità lunari scandiscono il racconto in frammenti e determinano le atmosfere dei primi decenni del Novecento. Gioia infantile dell’amore; tensione al momento della partenza di lui; dolore quando l’uomo è costretto a tornare per accogliere l’ultimo respiro di Simone prima che la morte la porti via con sé. Nemmeno nel ricordo, in quello spazio-tempo della memoria che l’uomo ha faticosamente cercato e inseguito, lui riesce a tornare da lei in tempo per rimediare.
Quando la sconfitta personale sembra imporsi prepotentemente, dalla porta si scorge un aeroplanino, di quelli di carta che si fanno a scuola per noia, da lanciarsi da un banco all’altro, tra compagni. L’aeroplanino che l’uomo anziano, all’inizio, aveva trovato per caso nella tasca della sua giacca e che aveva accartocciato e gettato dalla finestra; l’aeroplanino che dalla finestra era rientrato; l’aeroplanino, simulacro del sogno negato e simbolo della prima parola, non detta, da cui parte la narrazione della storia. Quell’aeroplanino lo ha in mano Simone. Ci gioca, lo fa volare e lo consegna a lui, al quale affida anche una carezza e un bacio che gli sfiora la guancia. I corpi degli amanti, finalmente, si toccano. Il tempo non è più distanza, ma veicolo sul quale viaggiare per annullare ogni distanza.
L’uomo ha ritrovato l’amore, ha ritrovato il suo sogno; adesso non deve far altro che indossare il giubbotto di pelle e il cappello da aviatore e costruire l’aereo sul quale librarsi nel cielo. Gli oggetti della casa, il letto, il tavolo, il ventilatore, la lanterna, luce da seguire quando tutt’attorno a lui si è fatto buio, si compongono a formare il velivolo. L’uomo accende i motori, sul suo viso il sorriso fiero di chi ce l’ha fatta, il sorriso della ritrovata felicità; riprende il suo viaggio, interrotto, verso le stelle, percorrendo la via che la sua Simone gli ha indicato: «la tua strada è lastricata di stelle […], ma sii prudente».
DESIDERA
drammaturgia e regia Simona Di Maio e Sebastiano Coticelli
con Giuseppe Brancaccio, Sebastiano Coticelli, Simona Di Maio, Amalia Ruocco, Dimitri Tetta
musiche originali Tommy Grieco
scene Damiano Sanna
disegno luci Paco Summonte
costumi Gina Oliva
produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
Piccolo Bellini – Napoli
dal 27 novembre al 2 dicembre 2018