LAURA NOVELLI |Non è uno spettacolo concepito appositamente per i giovani e gli adolescenti ma è uno spettacolo che i giovani e gli adolescenti dovrebbero assolutamente vedere. In questa nostra Italia così qualunquista e svuotata di valori, educare i ragazzi al senso etico di una ‘storia patria’, costruita sull’onestà e il sacrificio degli umili, credo sia non solo una necessità ma un grido di battaglia urgente. E il teatro può fare molto in tal senso.
Per questo motivo mi auguro che molti ragazzi possano davvero godere della visione e dell’ascolto di Va pensiero, lavoro firmato da Marco Martinelli ed Ermanna Montanari (anche interprete) dove le due anime del Teatro delle Albe mettono insieme l’opera lirica verdiana, e soprattutto gli ideali libertari e patriottici che ne attraversano la tessitura, con la narrazione teatralizzata – in modo significativamente libero -–di un inquietante episodio di cronaca nostrana legato alle infiltrazioni mafiose nell’Italia del centro-nord e accaduto in Emilia Romagna all’inizio degli anni Duemila.

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Si tratta senza dubbio di uno spettacolo coraggioso. Coraggioso nei contenuti. Ma coraggioso anche nella forma, concepita come l’innesto tra un nucleo narrativo di matrice realistica e un sottofondo operistico/musicale eseguito dal vivo da un coro che rappresenta la nostra Storia risorgimentale: quel tappeto di lacrime e sangue, di ideali e sogni di cui siamo tutti figli.
Ė infatti proprio il coro, diretto da Stefano Nanni e diverso a seconda della città in cui la produzione è programmata (nelle repliche romane si esibiva, ad esempio, la Corale Polifonica Città di Anzio), che segna l’incipit e l’epilogo del lavoro, che ne scandisce i passaggi più emblematici, che ci ricorda il nostro passato glorioso, eseguendo brani tratti da La Traviata, Rigoletto, La forza del destino, I lombardi alla Prima Crociata, Il Trovatore, Requiem e Nabucco.
Dapprima posizionato sul fondo del palcoscenico dietro un velatino e poi sospinto in proscenio per il commuovente finale sulle note di Va pensiero, esso è insomma personaggio tra i personaggi.

Niente di meglio per sottolineare,  secondo una traiettoria ovviamente ossimorica, la vicenda di corruzione, mafia, prevaricazione, ingiustizia, collusione tra politica e malaffare che coincide con l’asse portante della trama e che di quell’Italia verdiana, così eroica e solenne, sembra aver smarrito il senso, la ragion d’essere.

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C’è da dire che di questa medesima vicenda avevamo già avuto un assaggio nell’allestimento – fiume Ritratto di una nazione – L’Italia al lavoro, un progetto di Antonio Calbi e Fabrizio Arcuri che metteva insieme diversi quadri e diversi sguardi drammaturgici rivolti, regione per regione, al nostro traballante Bel Paese (in cartellone sempre all’Argentina nel settembre del 2017).
Il contributo di Martinelli a quel Ritratto italiota si intitolava Saluti da Brescello e vi si denunciava un fatto molto grave che aveva scosso la collettività di un piccolo centro dell’Emilia Romagna dove un vigile urbano, giornalista per passione, era stato licenziato dal sindaco solo perché aveva fatto il suo dovere e aveva avuto l’ardire di ficcare il naso in alcuni traffici della mafia locale (affari grossi, a dire il vero).

Quel nocciolo drammaturgico – addolcito allora dalla presenza delle statue viventi di Don Camillo e Peppone, interpretate rispettivamente da Gigi Dall’Aglio e Gianni Parmiani – viene ora recuperato e si offre a diventare un affresco molto più complesso, molto più potente, più articolato, che procede per tableaux vivants successivi e sceglie un linguaggio scenico in bilico tra simbolo e didascalia, epicità brechtiana e virate liriche –cui contribuisce non poco la musica elettronica di Marco Olivieri –, allegoria satiresca e semplicità quasi pedagogica.

La storia del vigile Donato Ungaro (qui divenuto Vincenzo Benedetti e affidato al bravo Alessandro Argnani) parte da un mondo in cui tutto provoca nausea, trema, traballa, cade. Tanto più l’istituzione, che trova in una sindaca ambiziosa e spregiudicata, detta “la zarina”, l’erede morale e politica di un padre simbolo di una certa sinistra corrotta e corruttibile. Ermanna Montanari regala al personaggio un registro nuovo: sospeso tra la secchezza espressiva volutamente spigolosa e straniata di una Morality di stampo medievale e la libertà visionaria – che si traduce in modulazioni vocali e mimiche diverse – propria dei passaggi più onirici, più surreali, più allusivi all’oggi.

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Ugualmente incisiva la prova di tutti gli altri interpreti, chiamati a ricostruire il progressivo svuotamento ideologico ed etico di una comunità nella quale la criminalità mafiosa – come fosse quel magma incandescente proiettato in video – intacca pericolosamente la vita quotidiana, il lavoro onesto, la salute pubblica, la dignità delle persone per bene.

Martinelli racconta, dunque, questa pagina di storia nazionale (sulla quale si possono leggere documenti molto interessanti nel sito www.processoaemilia.com) per raccontare anche lo strapiombo nel quale  è precipitata la nostra nazione da qualche tempo in qua. Anzi, scegliendo Verdi come riferimento valoriale del suo lavoro, il regista romagnolo si spinge oltre la metafora e finisce, secondo me, col mettersi felicemente sulle tracce di Manzoni. Inseguendo, sia pur involontariamente, il format del romanzo storico, egli costruisce cioè una sorta di racconto ‘teatrale-storico’ dei mali della nostra penisola, spostando e collegando di continuo tra loro la musica verdiana – e dunque gli ideali di patria, unità, libertà, bene comune – con la vicenda del vigile e con la nostra contemporaneità.

Non per niente l’andamento a quadri della pièce – a tratti un po’ troppo ripetitivo e lento – alla fine si ricompone in un solo corpo: il Va pensiero cantato insieme con il pubblico e la testimonianza diretta di Ongaro – «ho fatto quello che chiunque di voi avrebbe fatto» – rappresentano l’insegnamento etico più importante del lavoro. Il suo approdo in porto. Quel «sugo di tutto la storia» – direbbe Manzoni – da cui imparare, giovani e meno giovani, che la speranza in un futuro migliore va alimentata ogni giorno. Individualmente e collettivamente.

 

VA PENSIERO

di Marco Martinelli
ideazione e regia Marco Martinelli ed Ermanna Montanari
in scena Ermanna Montanari, Alessandro Argnani, Salvatore Caruso, Tonia Garante, Roberto Magnani, Mirella Mastronardi, Ernesto Orrico, Gianni Parmiani, Laura Redaelli, Alessandro Renda
con la partecipazione della Corale Polifonica Città di Anzio nell’esecuzione di alcuni brani dalle opere di Giuseppe Verdi
incursione scenica Fagio, Luca Pagliano
arrangiamento e adattamenti musicali, accompagnatore e maestro del coro Stefano Nanni
scene Edoardo Sanchi
costumi Giada Masi
disegno luci Fabio Sajiz
musiche originali Marco Olivieri
suono Marco Olivieri, Fagio
consulenza musicale Gerardo Guccini
editing video Alessandro Renda
fotografie dello spettacolo Silvia Lelli

produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro delle Albe – Ravenna Teatro

Teatro Argentina
13-18 novembre 2018

Per le successive tappe della tournée: http://www.teatrodellealbe.com/