MATTEO BRIGHENTI | Il mondo è il palcoscenico dell’impossibile che Don Chisciotte compie a ogni passo. La sua “lancia” è sproporzionata rispetto alla figura. Troppo alta, come gli intenti a cui si aggrappa: raddrizzare ciò che non può essere raddrizzato, la realtà. I colpi sono destinati ad andare a vuoto, le azioni sono senza alcuna speranza, la lotta con se stessi non ha un termine. Eppure, non va giù, non cade a terra, resta in piedi. Fino alla fine.
Il sogno e l’amore sono la soluzione di continuità giocata al banco della resistenza da Ultimo Chisciotte, scritto e diretto da Maria Grazia Cipriani per il Teatro Del Carretto, con Stefano Scherini, Matteo De Mojana, Ian Gualdani.
All’ingresso del pubblico in sala, Gualdani è in proscenio, immobile nel suo completo nero all’estremità destra del boccascena del Teatro del Giglio di Lucca. Lo scoppio come di un tuono lo risveglia e, insieme, apre il sipario sulla prima nazionale. Spari, bombe, elicotteri. Il giovane si porta dietro il mago Malabruno, ovvero la guerra, spirito del tempo esteriore quanto interiore. Agirà, solo danzando, il buio delle “ingiustizie” che s’imporranno alla vista di Don Chisciotte e ne tormenteranno l’anima.
Non a caso, infatti, il candido cavaliere errante impersonato da Scherini è vestito tutto di bianco, la biacca in viso, con una barba rossiccia che lo fa assomigliare quasi a un Van Gogh in manicomio. Il colore, anche lui, ce l’ha negli occhi. Crede a quello che vede e risponde di conseguenza, ma è soltanto nella sua testa e, materialmente, sopra: Dulcinea del Toboso e tutte le altre sue fantasmagorie sono costumi appesi in alto, corona di spine e delizia. Un tecnico, seminascosto, aziona funi e contrappesi: siamo legati a fili mossi da qualcuno che interviene, indisturbato, alle nostre spalle (chissà se ci vuole bene o male o, peggio, è indifferente).
Qui ogni cosa è e non è vera o falsa. L’immaginazione è una finzione aperta, dichiarata agli spettatori: il palco fa nuda mostra di sé, con graticcia, corde, scale, casse, lasciate a vista. E poi marionette, maschere e panche, una con su la copia di Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes Saavedra. Pure la lancia del cavaliere è un elemento proprio della scena: un’asta di legno, una cantinella, materiale base per le scenografie. Con essa l’attore e personaggio Don Chisciotte si costruisce un qualche equilibrio per attraversare il suo coro di visioni e di voci, le vere protagoniste di Ultimo Chisciotte.
Il Sancho Panza di De Mojana è abbigliato tipo contadino o, piuttosto, artigiano di una simile “bottega teatrale”, che pare affacciarsi su un vicolo di Napoli, città molto amata da Cervantes. E un po’ Sancho è anche l’autore di Don Chisciotte, dal momento che unisce alla sua parte in commedia la lettura di brani presi dal libro appoggiato sulla panca – illuminati con una pila dell’“uomo nero” Gualdani, ferocemente curioso. È l’elemento di realtà, cerca spiegazioni, nei fogli e nella rappresentazione, di qualcosa che ragione non ha.
Si tratta di un compito laterale e ingrato, così che sceglie di sostenere la pazzia di Don Chisciotte per non apparire lui, ai suoi occhi, il matto. Allora, il dialogo per andare a prendere Dulcinea è di Sancho da solo con Sancho ed è ancora il fido scudiero a dare vita alle marionette quando il cavaliere assiste a uno spettacolo.
Le luci inquadrano di taglio i personaggi oppure piovono sull’intero ambiente quando lo scontro di Don Chisciotte è rivolto a tutto il visibile. La storia si fa con quello che c’è, alla stregua delle compagnie di artisti girovaghi, che riscattano le scarse dotazioni di piazza con la maestria del corpo e la virtù dell’ingegno. Stefano Scherini, Matteo De Mojana, Ian Gualdani, praticano il teatro fisico e lo mutano in danza, prendono in mano il teatro di figura e lo piegano al monologo d’attore. Fiamme di un unico fuoco, pezzi di un puzzle che restituiscono un’immagine d’antan disegnata a mano libera: lo spettacolo medesimo ambisce a essere l’avventura più audace di Don Chisciotte. L’ultima e prima.
Un crescendo, invero, a lungo rimandato, e qua e là esasperato, con corride, Bésame mucho, Je t’aime… moi non plus e l’integrale Boléro di Ravel. L’altalenante ritmo drammaturgico-compositivo segue il rimpallo dei tanti, troppi ruoli che ricopre Sancho Panza, fino alla conclusiva aspirazione a essere cavaliere errante. È lui l’ultimo Chisciotte del titolo. Maria Grazia Cipriani gli affida la propria dichiarazione d’amore al fare teatro: chi vede la vita com’è muore disperato, chi, invece, si dà uno scopo, ha un sogno che lo strappa allo sconforto.
La lancia del cavaliere è raccolta, il passaggio del testimone è avvenuto, tra livide luci di servizio e i panni calati sul palcoscenico. Ciononostante, tornano a esplodere i boati della guerra. La scena più che l’esempio non può dare. Ora sta a noi armarci di sogni e partire. Verso dove indica la stella lassù di Dulcinea, l’unica sopravvissuta alle imprese fatte e non fatte.
ULTIMO CHISCIOTTE
liberamente tratto da Miguel De Cervantes Saavedra
adattamento e regia Maria Grazia Cipriani
con Stefano Scherini, Matteo De Mojana, Ian Gualdani
assistente alla regia Jonathan Bertolai
musiche Giacomo Vezzani
fonica Luca Contini
luci Fabio Giommarelli
scenotecnica Giacomo Pecchia
collaboratrice alla costumistica Rosanna Monti
segreteria organizzativa Michela Betti
produzione Teatro Del Carretto
Teatro del Giglio, Lucca
23 novembre 2018