ANTONIO CRETELLA | La tradizione dei Re Magi presenti nel presepe deriva ufficialmente dal Vangelo di Matteo, ma i particolari riguardanti l’identità dei tre personaggi sono desunti dal Vangelo Armeno dell’Infanzia, un vangelo apocrifo pervenutoci in lingua armena. Secondo il manoscritto, Melkon, Gaspar e Balthazar sarebbero stati un persiano, un arabo e un etiope, sebbene la qualifica di Magi derivi esplicitamente dall’area persiana, ove così erano chiamati i membri delle élite intellettuali e sacerdotali, associati allo zoroastrismo e a vaste conoscenze astronomiche. È chiaro che l’attribuzione di tre etnie diverse ai Magi rappresentasse sinteticamente l’idea di universalismo su cui si basava il messaggio cristiano: essi rappresentano infatti i popoli dei tre continenti allora conosciuti (Europa, Asia e Africa). Tale interpretazione è quella più ampiamente riconosciuta, rintracciabile nella tradizione di dipingere uno dei tre personaggi con la pelle scura, ed è collegata esplicitamente a un messaggio ecumenico, fortemente inclusivo, che è la base stessa dell’etica cristiana fondata sull’uguaglianza di tutti gli uomini di fronte a Dio.
Pare davvero un controsenso insanabile il fatto che i più ardenti fautori di una rediviva apartheid si approprino di un simbolo che iconograficamente stride con i loro disvalori: elogio della povertà e della multietnicità, il presepe diventa arma contro quegli stessi poveri del mondo tra i quali Dio volle incarnarsi, e viene quindi da chiedersi, ora che il comune di Codroipo vieta i bambolotti di pelle scura nelle scuole dell’infanzia, se anche il Magio etiope verrà epurato dalla rappresentazione sacra.
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