LAURA BEVIONE | Da qualche anno Emma Dante ha scelto di percorrere un’ulteriore strada artistica, vale a dire la riscrittura e la messa in scena di fiabe arcinote – da Biancaneve a Cappuccetto Rosso, da La bella addormentata nel bosco a Cenerentola– destinandole a un pubblico di bambini ma con non pochi spunti d’interesse e coinvolgimento anche per gli adulti.
Ultimo frutto di questo filone – prodotto dalla torinese Fondazione TRG, da molti anni sostenitrice delle riscritture fiabesche realizzate da Emma Dante – è Hans e Gret, libera trasposizione di Hansel e Gretel che, anziché in una foresta del centro Europa, vivono in una catapecchia dalla cui finestrella si vede un carrubo, apparentemente defunto: è da anni che non dà frutti…
Foto Carmine Maringola
Il padre dei due bambini è un poverissimo taglialegna che, rimasto vedovo, si è risposato con una donna certo gretta e insensibile ma la cui crudeltà verso i figliastri pare dettata da un incontrollabile istinto di sopravvivenza più che da malignità innata.
I quattro, per non sentire troppo i morsi della fame, trascorrono la maggior parte del tempo a dormire, accoccolati su seggioline di legno e avvolti in teli di pile con immagini di fumetti. Per distrarsi, poi, osservano fuori di un’immaginaria finestra: vedono il carrubo e la vita degli altri, che procede indifferente alla loro miseria.
La messa in scena segue a grandi linee la trama originale: la matrigna suggerisce al marito di abbandonare i figli nel bosco, i due li sentono e si riempiono le tasche di sassolini per ritrovare la strada di casa. A differenza della fiaba dei Grimm, però, Hans e Gret non riescono a tornare una prima volta a casa e vengono subito allettati dalla strega e dalla sua casa piena di delizie.
Scaltri e affiatati, uccidono la strega chiudendola nel forno e tornano con scorte di cibo a casa, dove scoprono che la terribile matrigna è morta di fame e possono, così, ricominciare a vivere serenamente con il padre.
Emma Dante non edulcora le parti macabre e crudeli della fiaba, sottolineandone il senso di giustizia viscerale e primigenia – i cattivi meritano la morte, mentre i buoni possono cantare e festeggiare la loro ritrovata “libertà” – e, allo stesso tempo, ammantando il tutto di gioiosa spensieratezza – inventando, per esempio, una Ode al carrubo da cantare tutti insieme alla fine dello spettacolo – e non rinunciando all’autocitazione – l’abito da sposa, le briosche ruminate e sputacchiate come in Mpalermu.
Lo spettacolo – creato in scena con entusiasmo e infaticabile dedizione dai cinque giovani interpreti – è dunque un divertimento dal ritmo irresistibile per i più piccoli – attratti anche dalle luci sgargianti e dalle musiche orecchiabili – e un affascinante gioco per i grandi, impegnati a individuare e raccogliere i tanti “sassolini” lasciati cadere con disinvoltura dalla regista, sempre orgogliosamente fedele alla propria personalissima drammaturgia, fatta anche di topoi originali e ricorrenti.
Segni immediatamente riconoscibili anche ne La Scortecata, anche in questo caso la riscrittura di una favola, benché di argomento e tonalità decisamente più adulti [su PAC anche le recensioni di Martina Vullo e Ilena Ambrosio].
Emma Dante riprende la favola X della prima giornata del Pentamerone, ovvero Lo cunto de li cunti pubblicato da Giambattista Basile fra il 1634 e il 1636, tramutando la vicenda delle due vecchie sorelle in una sorta di meta racconto, divertente eppure disperatamente struggente – come ben testimoniato dal silenzio carico di tensione e commozione del pubblico nel finale dello spettacolo.
C’è il modellino di un castello da fiaba disneyana – corrispettivo delle coperte con Winnie the Pooh di Hans e Gret, lavoro con cui condivide pure le seggioline di legno e un immancabile abito da sposa – e due uomini – gli impareggiabili Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola, con bustini molli e sformati, calze con giarrettiere bucate – nei panni delle due anziane sorelle protagoniste della lugubre favola.
Due vecchie zitelle, incartapecorite e immalinconite da un’esistenza mai veramente vissuta, si raccontano e mettono letteralmente in scena – utilizzando come immaginifici oggetti scenici una porta e lucide lenzuola candide – la favola delle loro omologhe, l’una premiata dalla fata, l’altra orribilmente punita per la propria rancorosa vanità.
Una rappresentazione a uso personale, per far passare il tempo e non pensare alla propria miseria ma, come dice una delle due protagoniste, non si può trascorrere la vita a raccontare storie e, a un certo punto, arriva il momento di ritornare a esistere nella realtà. E, se quest’ultima non ci rivela altro se non la nostra immedicabile miseria, allora tanto vale morire, e farlo nel modo più doloroso…
Le favole, insomma, ci regalano attimi di spensieratezza e ci catapultano in mondi altri, ma la realtà è sempre lì che ci attende e ci invia segnali concretissimi – come briciole di fette biscottate avidamente rosicchiate oppure sassolini luccicanti – che è indispensabile cogliere, pena dimenticare chi si è davvero e dover ricorrere alla lama lucidissima di un coltello per riportare alla luce la nostra vera pelle…
HANS E GRET
testo, regia, costumi Emma Dante
scene Carmine Maringola
luci Cristian Zucaro
interpreti Manuela Boncaldo, Salvatore Cannova, Clara De Rose, Nunzia Lo Presti, Lorenzo Randazzo
produzione Fondazione TRG Onlus
LA SCORTECATA
liberamente tratto da Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile
testo, regia, elementi scenici, costumi Emma Dante
luci Cristian Zucaro
interpreti Salvatore D’Onofrio, Carmine Maringola
produzione Festival di Spoleto 60°, Teatro Biondo di Palermo; in collaborazione con Atto Unico Compagnia Sud Costa Occidentale
Casa Teatro Ragazzi e Giovani, Torino
9 dicembre 2018
www.casateatroragazzi.it
Teatro Gobetti, Torino
11 dicembre 2018
www.teatrostabiletorino.it