ILENA AMBROSIO | Recuperare i miti classici senza deturparne il fascino originario e reinserirli nel presente dando loro una prospettiva nuova: in questo si sono cimentati Elvira Buonocore, Michele Brasilio, Noemi Giulia Fabiano, Antonio Battiniello, Marina Cioppa, Gennaro Esposito, Davide Meraviglia, Antonio della Croce, giovani allievi dei laboratori del progetto Professione Teatro promosso dal Nuovo Teatro Sanità. Un’iniziativa, con direzione artistica di Mario Gelardi, volta creare una compagnia teatrale composta da giovani under 35 formati in tutti i mestieri teatrali (drammaturgia, recitazione, costumistica di scena, ufficio stampa e così via).
Frutto di questo percorso è Aiace. Si è ucciso per onore, che recupera la tragedia sofoclea in una composizione drammaturgica di otto monologhi affidati ai personaggi fondamentali della vicenda: Aiace, ovviamente, ma anche Agamennone, Teucro, Ulisse, il messo, Tecmessa, Menelao, Atena.

Il passaggio dal testo alla scena è anche qui operazione corale che vede coinvolti nella regia oltre a Gelardi, anche Riccardo Ciccarelli, Davide Mazzella, Alessandro Palladino.

Una scena vuota; due pannelli neri, posti un po’ più avanti rispetto al fondale, ne delimitano la porzione centrale che si colora, di volta di volta, della tinta del personaggio che proprio da quello scorcio entra ed esce. Una scena vuota sì, ma che si riempie delle parole pronunciate, della carica emotiva di figure che stanno a metà tra icone classiche e stilosi combattenti da action movie. I costumi – tutti neri con inserti rosso sangue o dorati nel caso di un Agamennone versione rock star – restituiscono allo sguardo esattamente questa bidimensionalità.
Un doppio binario sul quale si muove la drammaturgia: interrogarsi sul saldo e ben definito sistema di valori classici ma con lo sguardo dell’uomo moderno, anzi, di giovani moderni che di quei valori hanno voluto rintracciare le implicazioni emotive, le conseguenze psicologiche che li rendono ben più complessi e difficili da inserire in una netta dicotomia bene-male.

L’Aiace di Sofocle si uccide per onore, somma qualità per un guerriero; quell’Aiace è per tutti, e da sempre, emblema stesso di quel valore, assolutamente luminoso e positivo,  proprio in virtù della sua drammatica fine. Ma è davvero così? Gli otto personaggi in scena instillano il dubbio.
aiaceAiace – sempre d’effetto le interpretazioni di Carlo Geltrude – ha ben poco della saggia medietas classica: colto nella cieca follia insinuata in lui da Atena, si muove forsennato, delirante. Il rinsavimento corrisponderà con l’amara presa di coscienza dello scempio compiuto, e per cosa? «Per le armi, di Achille, le mie armi…».
Dopo di lui, dopo il gesto insano del suicidio, i punti di vista, gli universi umani che gli gravitano intorno.
Quello di Teucro, suo fratellastro, figura agli antipodi di Aiace: nessuna irruenza, chiede permesso per entrare. Lui non ha fermato il fratello, sapeva che tenerlo in vita con disonore sarebbe stata una condanna maggiore. Ma è stato giusto? È pieno di dubbi. Parla con pacatezza, immaginando Tecmessa, parla della paura di potersi innamorare di lei. Non sarebbe giusto però… lui non è certo un eroe, ma è vivo mentre Aiace è morto. Riflessione che fa pendant con quella del ragionevole Ulisse: «Non c’è differenza tra un uomo che muore con onore e uno che muore senza onore. Entrambi sono morti».

messoPoi c’è la rabbia funesta di Tecmessa, lei che era stata «terra di conquista» per Aiace è, ora, sola; a nulla sono valse le preghiere per farlo desistere dal suo intento, a nulla il pensiero del figlio che avrebbe lasciato orfano: «mai preferisti il mio latte al sangue». Il sangue, il «fiume di sangue» versato per la guerra.
La carica drammatica è forte, accentuata da una partitura luci che si avvale, oltre che del mutevole fondale, di riflettori che sempre assecondano lo scandaglio emotivo del personaggio in scena; e accentuata, anche, da una scelta musicale semplice ma efficace: un motivo strumentale incalzante, molto suggestivo che si ripresenta nei passaggi cruciali.

La tensione si stempera solo nel mezzo, con il monologo del messo che arriva in scena con la salma del padrone avvolta in un telo bianco. Un tenore decisamente ilare – simpatica la scelta di mantenere la cadenza napoletana e di utilizzare il “voi” riferendosi ad Aiace – che si vela, tuttavia, anche di malinconia, tristezza, soprattutto senso di colpa. Perché anche lì Atena ci aveva messo lo zampino impedendo al messo di arrivare in tempo per fermare Aiace.

La dea, che per tutto il tempo sta seduta fuori scena, su un altare della chiesa che è il Teatro Sanità, a tratti ride, perfida, a tratti emette soavi e ammalianti vocalizzi – davvero brava Arianna Cozzi.
A lei spetta il monologo finale, mentre guarda «le ultime scintille tra le braci», lo spegnersi del conflitto. Toni alteri, orgogliosi di chi ha potuto giocare con il destino di quegli uomini, vedendone scorrere, ancora, il sangue. Ma anche malinconici: nel ricordo di Achille, che aveva sperato immortale, la voce si spezza tradendo il suo lato umano.
A questa dea, che però è anche donna, viene allora affidata la chiosa che racchiude forse il senso dell’intervento drammaturgico sul mito: «Aiace, Ulisse, Menelao, Paride, perfino Achille; sono tutti minuscoli granelli di sabbia nel mare sconfinato del tempo»

atenaLe correnti di quel mare lì hanno condotti sino a noi come eroi, modelli di virtù universalmente condivise. Eppure a osservarli con occhio e sensibilità moderni, perdono la loro adamantina fermezza, i contorni definiti, diventando, complessamente, uomini. I loro valori non sono più così assoluti: è davvero onore quello al quale Aiace si sacrifica, incurante dell’amore, degli affetti, degli amici? È davvero onore quello in nome del quale si uccide, si distrugge, si versano fiumi di sangue?

Ecco, una rivisitazione del mito che è capace, pur nella fedeltà alla vicenda, di porre quesiti, di proporre prospettive è certamente un’operazione degna di nota. Tanto più perché realizzata da giovani drammaturghi alle loro primissime esperienze.
Al valore estetico di un lavoro ben riuscito – pur se, come ovvio, passibile di sviluppi e crescita – si aggiunge, quindi, una ricchezza ancor più preziosa, quella dell’impegno di giovani artisti dediti all’apprendimento di una professione impegnativa nella sua bellezza, come quella teatrale.
Questa sì, oltretutto, è operazione degna di onore, parola spesso guastata oggi da retaggi politici che con la cultura hanno pochissimo a che vedere.

 

AIACE
Si è ucciso per onore

scritto da Elvira Buonocore, Michele Brasilio, Noemi Giulia Fabiano, Antonio Battiniello, Marina Cioppa, Gennaro Esposito, Davide Meraviglia, Antonio della Croce
con Vincenzo Antonucci, Arianna Cozzi, Carlo Geltrude, Davide Mazzella, Marcello Gravina, Alessandra Masi, Antonio Orefice, Enrico Pacini
costumi di Angela Bove, Rachele Nuzzo, Viviana Perillo, Sara Oropallo
regia di Mario Gelardi, Riccardo Ciccarelli, Davide Mazzella, Alessandro Palladino

un progetto di Professione Teatro e del Nuovo Teatro Sanità
con il sostegno del Fondo di Beneficenza Intesa San Paolo

Nuovo Teatro Sanità, Napoli
28 dicembre 2018