RENZO FRANCABANDERA | La C&C Company nasce quasi un decennio fa oramai dall’incontro tra Carlo Massari e Chiara Taviani, un sodalizio sviluppatosi negli anni in una personalissima ricerca fra Italia e Nord Europa, all’interno dei nuovi codici espressivi della danza contemporanea e il teatro.
Il primo lavoro, che ha anche dato il nome alla compagnia, è stato il progetto Corpo e Cultura, nato con l’idea – suggerita qualche anno fa dal bando della Notte Bianca di Parigi – di lavorare sulla modificazione astratta e concreta del corpo attraverso la cultura. È arrivata poi la Trilogia del dolore, il cui primo capitolo Maria Addolorata, –coprodotto da U.O.T. e La Pergola/Monaco Mc –, ha incontrato consenso sia in Italia che all’estero, aggiudicandosi premi e segnalazioni.
Il secondo capitolo Tristissimo”, basato sull’opera di Wagner Tristano e Isotta, ha debuttato in gennaio al Manipulate Festival di Edinburgo, aggiudicandosi il “Premio speciale per la coreografia” al Premio Roma Danza 2015, per finire con Peurbleue del 2016.
Per entrambi, al di là dei percorsi di formazione individuali, è stata poi importante l’esperienza formativa con Michela Lucenti all’interno di Balletto Civile protrattasi dal 2010 in avanti, con la partecipazione a spettacoli come La sagra della primavera e Non si uccidono così anche i cavalli?.
I successivi Don’t be afraid e Horror vacui hanno segnato di fatto un cambiamento nella struttura e nei ruoli della compagnia, visto che dal 2017 la direzione artistica è affidata interamente a Carlo Massari.
Il nuovo spettacolo, Beast without beauty – al quale la compagnia lavora dal 2017 sostenuta da Komm Tanz (Compagnia Abbondanza/Bertoni) e la cui gestazione in parte si è svolta al Teatro alla Cartiera di Rovereto – è «un irriverente, cinico studio sugli archetipi della miseria umana, sull’inespressività, sulla spregevole crudeltà nelle relazioni interpersonali». Lo abbiamo visto alla sua anteprima (la prima sarà a marzo prossimo) presso Teatri di Vita a Bologna, il teatro bolognese con la direzione artistica di Adriatico e Casi, e che sostiene questa creazione artistica con una residenza all’interno di un circuito volto a sostenere la nuova danza. Questo esito rientra nel macro-progetto di ricerca della compagnia che a oggi comprende le creazioni Don’t be afraid e Spring Roll e che potrebbe dare l’avvio ad una nuova trilogia creativa.
Il titolo, “Bestia senza bellezza” muove dalla brutalità degli esseri umani portando in scena dei caratteri apparentemente espressione di un qualche dominio ma in realtà perdenti nel profondo delle proprie insicurezze, individui in lotta per l’affermazione personale.
In un luogo dove non esistono regole e tutto è consentito, lo scontro si fa spietato, e la coreografia in questo non luogo dell’inconscio cerca ispirazioni guardando al teatro dell’assurdo di Samuel Beckett ed in particolare al monumento drammatico “sull’immobilità” Giorni felici, per raccontare ancora una volta la trappola della condizione esistenziale.
Il realtà si tratta di una costruzione di teatro danza, di quelle che Massari ha modo di osservare dall’interno nelle sue collaborazioni e partecipazioni a progetti importanti di compagnie Mitteleuropee di fama, da cui mutua l’ambizione di una composizione scenica capace di coniugare coreografia e tessuto drammaturgico.
Qui l’inizio nasce dentro una visione quasi bucolica, naturale, con un uomo che mima, nel suo massimo splendore e autocompiacimento, un cervo nel suo troneggiare e dominare nella natura. Un colpo di arma da fuoco chiude la sequenza iniziale e apre lo sguardo su una vicenda claustrofobica e mortifera. Sulla scena due figure giovani, una in dimensione servile rispetto a una anziana sfatta dall’alcool che mal si regge ad una sedia posta nell’angolo destro in fondo al palco.
Lì la donna, in abito da festa, resterà per tutta la recita, salvo una passerella finale in chiusura. Gli altri due giovinetti, inquadrati in divisa da gioventù socialnazionalista con pantaloncini al ginocchio verdi, camicia bruna e cravatta, inizieranno ben presto (l’uno indossando anche un paio di baffetti hitleriani) a prendere la scena in un movimento vorticoso, capace pian pianino di saturare ogni centimetro del palcoscenico. Il loro movimento si sviluppa sulle due linee parallele dei due estremi destro e sinistro del palco in un costante e continuato andirivieni, ma ancor più in una dimensione circolare di camminamento e corsa, a inseguirsi, a cercare di dominarsi, di sottomettersi l’un l’altro, di affermarsi l’uno sull’altro, senza riuscirci, in un continuo rimando ai temi dell’identità (anche di genere, seppure un po’ forzatamente), posizione sociale e sopravvivenza.
Queste figure giovani consumeranno in questo vorticoso darsi e spendersi ogni loro energia, finendo spesso in terra stremati, cercando a più riprese di dire qualcosa ma, ora sopraffatti dal fiatone, ora dal non sapere cosa dire, in ultima analisi non riusciranno a dire nulla.
Triste è perfino la loro festicciola, nella quale non riusciranno nemmeno in un brindisi decente, finendo per versarsi tutto addosso, e soccombendo reciprocamente, per lasciare da ultimo spazio alla camminata, a suo modo trionfante, di questa donna il cui stacco anagrafico e di energie rispetto ai due appare clamoroso. Eppure arriva alla fine, dopo tanto spargimento di energia inutile, a rimanere lei sola in scena, protagonista, insieme al trofeo del cervo che nel centro del fondale, incombe su tutta la scena, spettatore muto della dissoluzione del nostro tempo. Arriverà a microfono e quasi fosse uno zombie di Marlene Dietrich, riuscirà con bella voce spiegata a prendersi la scena, intonando la sua canzone, la sua marcia trionfale, su cui si chiuderà lo spettacolo.
Si comprende subito come l’intento sia, lavorando anche sul riferimento ad alcune icone letterarie e storiche novecentesche, quello di creare un parallelismo fra arte e società, quasi che la seconda non riesca a modificare le prima. Funzionano bene i rimandi iconici e la costruzione dei movimenti, che cercano, in una scena agita in pienezza, una dinamica di senso in grado di comunicare questo inutile e vacuo stato di agitazione, che finisce per essere alla fine asservito a un potere stolido e inerte, morto nella sua identità profonda, ma capace in modo gattopardesco di tornare in vita, dopo che tutta quest’aria di rivoluzione si sarà consumata.
Il senso del lavoro è in questo cannibalismo a cui siamo sottoposti, quello che Massari ritiene sia l’essere «divorati dagli altri, dal vuoto, dai nostri vuoti, dal silenzio sordo». In uno spettacolo molto (in alcuni casi troppo) agito, una scrematura di gesti e la considerazione di altre dinamiche intervallari, potrebbe ulteriormente appuntire il senso. L’effetto saturante del movimento scenico, infatti, rischia di far affievolire, nella persistenza della memoria, il senso della prolungata azione scenica affidata ai due generosissimi interpreti maschili.
Resta così, indelebile, l’immagine di questa donna, a suo modo suadente, abbracciata dal tempo ma ancora bella, presente a sé, lucida nella sua spietatezza, e capace di sopravvivere al tumulto, come la ricca borghesia europea, mentre milioni di proletari andavano a morire in guerra nel secolo scorso, e forse si preparano a rifarlo oggi, in qualche modo, nel sobollire del disagio, delle albe dorate, dei gilet gialli, dei governi populisti, dell’odio di tutti contro tutti.
Questo il senso dello spettacolo che comunque sopravvive al tempo nella memoria. Un ricordo doloroso, che certamente certifica un impegno di Massari nel senso della coreografia teatralizzata, cui va riconosciuto una cifra di interesse, in qualche modo anche di novità rispetto alle proposte del panorama della danza in Italia.
Sicuramente un lavoro in crescita ulteriore rispetto al recente Peurebleue di cui avevamo parlato commentando gli spettacoli del festival di danza ligure Fuori Formato a Settembre scorso.
Qui, pur senza eccessi didascalici, il senso dell’operazione è chiaro e interessante dal punto di vista drammaturgico mentre, per quanto riguarda la dinamica scenica, uno sforzo ulteriore occorre compiere verso l’individuazione del gesto essenziale, della visione imperdibile, di quegli elementi, privando lo spettatore dei quali, viene meno il senso complessivo, dando loro la giusta enfasi anche attraverso un più ponderato sistema di pause. Quelle che ci sono nello spettacolo, infatti, hanno la caratteristica della pregevolezza, sia dal punto di vista compositivo che da quello del senso.
BEAST WITHOUT BEAUTY
Creazione originale Carlo Massari / C&C
Con Carlo Massari, Emanuele Rosa, Giuseppina Randi
produzione C&C Company
In collaborazione con CID Centro Internazionale della Danza e Festival Oriente Occidente, Piemonte dal vivo / Lavanderia a vapore, Compagnia Abbondanza/Bertoni / Progetto residenze Komm Tanz, Residenza I.DRA. / Progetto CURA, Teatri di Vita / Progetto CURA, The dance industry / Lanificio, Arteven / “Prospettiva Danza Teatro”
Con il supporto di Residenza I.DRA. e Teatri di Vita nell’ambito del “Progetto CURA 2018”
Con il sostegno di MiBACT e di SIAE, nell’ambito dell’iniziativa “Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura”
Progetto vincitore di “Premio Prospettiva Danza Teatro 2017”
Menzione speciale “Bando Residenze Coreografiche Lavanderia a Vapore 18/19”
Selezionato “Komm-Tanz 17/18” Compagnia Abbondanza Bertoni
Durata 55’