ALICE CAPOZZA | Torna sul palco del Teatro della Pergola la messa in scena del romanzo di Aldo Palazzeschi, ambientato nella Firenze dei primi Novecento, Sorelle Materassi, con la regia di Geppy Gleijeses. I ruoli delle sorelle Teresa e Carolina affidati a due attrici d’eccezione Lucia Poli e Milena Vukotic che in scena non deludono le aspettative.
Palazzeschi è uno dei poeti e romanzieri più originali del secolo scorso, contribuisce alla trasformazione novecentesca del romanzo in “arte per il popolo”. Appassionato di teatro ha la capacità di dipingere con le parole ambienti, atmosfere e caratteri. Lo stesso autore collaborò nei primi Settanta allo sceneggiato televisivo Rai con protagoniste Sarah Ferrati, Rina Morelli e Ave Ninchi. Il teatro più volte ha visto grandi attrici prendere i panni delle protagoniste. Di Sorelle Materassi ne ha fatta una lettura memorabile Paolo Poli, che ci appare il suo interprete ideale.
La pièce teatrale adattata da Ugo Chiti si concentra, più che sull’intreccio, sulla creazione di tipi umani e la descrizione di ambienti, colti in una dimensione di ironica e affettuosa nostalgia, complice l’atmosfera bonaria creata dall’accento toscano, a tratti vero vernacolo.
Le sorelle Materassi, «cucitrici di bianco e corredi da sposa» hanno il “tocco” per l’arte del ricamo e mani benedette, tanto da esser ricevute a udienza dal Papa, che le due ingenue donne «credevan fosse un uomo alto du’ metri». E così ci appare nel prologo della commedia dove il racconto del mitico viaggio a Roma, con un semplice gioco di ombre, rende la percezione delle protagoniste attraverso le dimensioni alterate dalla luce.
Teresa e Carolina sono «bislacche e strambe»; non hanno conosciuto che il lavoro, grigie, impolverate, con una femminilità sepolta, sostenute solo dalla forza morale e dalla dedizione al taglia e cuci. Divise tra stole per Monsignori e uomini di chiesa, mutandine di pizzo per contesse e marchese, ma anche culottes e bustini di stecche per signorine meno rispettabili.
Lucia Poli e Milena Vukotic dipingono sapientemente le sfumature delle protagoniste. Le due donne sono come i leoni di terra cotta che stanno sul cancello rugginoso ingresso della loro dimora: animali straordinari ma di un materiale semplice e fragile, appoggiati su un muro «sbreccicato» a metà tra la campagna e la città.
La scena, che dal romanzo ci immaginiamo ricoperta di tele, veli, tulle, cordoncini, nastri e sete bianche, è resa molto essenziale nell’allestimento di Roberto Crea. L’interno in cui è racchiusa tutta l’esistenza delle Materassi è delimitata dalla carta da parati, disegnata come un ricamo, con una volta che affaccia nel cortile e un unico tavolo centrale. L’elemento più interessante è un intricato albero sul fondo, forse ispirato ad un passo del libro: «piante tortuose forse torturate da un intimo assillante perché, nervose, isteriche, segaligne, ascetiche che guardano il cielo con occhio profondo, languente, o mostrano una nudità da Cristo sulla croce». Inquietano i rami attorcigliati che incombono sulla casa, retro-illuminati ora di solare giallo, ora di plumbeo blu notte, non solo a descrivere le ore del giorno, ma anche l’atmosfera che si respira nelle scene.
L’ambientazione è fissa ma non impedisce la sua trasformazione in base alle esigenze narrative: da stanza di lavoro a sala da pranzo, a luogo dei festeggiamenti per le nozze. Fino a diventare l’automobile con cui Remo porta fuori le zie ponendo semplicemente due sedie al centro e due fari verso il pubblico.
Sui caratteri delle protagoniste si regge il dramma e la leggerezza della rappresentazione teatrale che galleggia tra il comico e il tragico senza mai eccedere, in un equilibrio fragile; come la vita delle sorelle a metà tra l’aristocrazia della loro clientela e il puzzo di letame che ogni mattina il contadino del loro podere sparge a concime dei campi.
Contraltare di questi complessi e inafferrabili caratteri, gli altri personaggi, che tuttavia non reggono il confronto. La terza sorella Giselda, interpretata da Marilù Prati, franca, intelligente, disincantata, indurita dalle amarezze della vita; una creatura stridente con le sorelle, a volte invidiosa, costretta a far da ragioniera ed esattrice dei debiti; incattivita con gli uomini perché abbandonata dal marito. «Povere donne le Materassi: o zitelle o mal maritate!»
Niobe la serva, meno vecchia nella versione teatrale che nell’originale: buona, gioviale, verace, sempre col sorriso, capace di vedere il buono in tutto e in tutti, rotonda nel cuore e nelle forme. Affezionata alle padrone sinceramente, l’unica che sa tenere a bada il mondo contadino che circonda casa Materassi. Divertente l’interpretazione dell’attrice fiorentina Sandra Garuglieri che strappa più di una risata al pubblico in sala.
Remo, Gabriele Anagni, è il nipote – figlio di una quarta sorella – che, orfano, Teresa e Carolina hanno accolto in casa da ragazzino. Un giovane frivolo, spensierato, capriccioso, spendereccio, sempre più avido delle attrattive che il suo tempo può concedergli: le auto, le donne, la bella vita; la mondanità che le due zitelle hanno escluso per indole e per sorte dalle proprie vite.
Interessante il rapporto che, con pochi atteggiamenti, le due zie riescono a rendere chiaro al pubblico: Remo è un benessere sconosciuto e inaspettato che dona loro una rapida ebbrezza, una leggera vertigine, una meteora che irrompe nel loro compatto microcosmo. La fresca giovinezza provoca nelle anziane donne una sorta di “femminilità riesumata”. Un istinto di maternità e amore che dimostrano e respingono allo stesso tempo. La Vukotic abbraccia e bacia esageratamente il nipote, la Poli lo guarda ammirata e ammiccante. Atteggiamenti contrari al loro status di donne nubili che impedisce lo sfogo di queste essenziali pulsioni. Forse l’adattamento teatrale avrebbe potuto osare di più sull’ambiguità della relazione, evidente nel romanzo.
Prese da questo ardore le sorelle affacciate nel cortile, come fossero su un palchetto all’opera, si lasciano andare ad apprezzamenti poco casti sui disinvolti amici di Remo. Anche se nessuno fa il pari con il loro «Rodolfo Valentino» .
Ma la natura pungente di Teresa e Carolina è divertente soprattutto quando rivolgono l’astio verso le spasimanti del nipote – rispettando il cliché intramontabile della “madre dei maschi”.
D’altro canto l’eleganza del nipote corre senza pagare i conti, fino a renderlo avido e violento. Le zie, Zì Té! Zì Cà! – nomignoli in ricordo dell’onomatopeica sonorità futurista – sono due befane agghindate, agli occhi di Remo, pozzi senza fondo da cui prelevare il denaro per le sue frivole esigenze. Gli esasperati rimproveri delle zie hanno un’aria più comica che solenne e Remo risponde consapevole del fascino che provoca nei corpi e negli animi delle vecchie, fino a far loro accettare il matrimonio con la stupida Peggy, l’americana. Proprio lei che, agli occhi innamorati delle zie, è l’antitesi delle buone maniere: fuma, beve, ride sguaiata; rivelando, con grottesca ironia, una malinconica critica nei confronti dei rozzi tempi moderni.
Il punto più riuscito dello spettacolo è, crediamo, quello successivo al matrimonio, dopo le fanfare, i “pflam! pflam!” dei «prestigiatori fotografici», dopo le stranezze volgari della sposa americana, dopo l’ingresso delle zie conciate come fossero vestite di panna montata, dopo la partenza per l’America del nipote. Le due anziane si ritrovano sole, inerti, irrigidite, senza piangere, guardando avanti il vuoto che disperde i loro sguardi, si passano una mano tesa sulla bocca a togliere il rossetto, a disfare i turbanti sulle teste. E sembra di sentire i versi del poeta: «Clof, clop, cloch, cloffete. È giù, nel cortile, la povera fontana malata». Geppy Gleijeses rivela, in un gesto, l’arma della sensibilità irriverente e spregiudicata dell’autore, la tenerezza per quel “ridicolo” di cui finora abbiamo riso.
Coerenti, con questo aspetto i costumi che conformi all’epoca, di gusto malinconico, hanno anche una funzione scenica importante quando le Materassi esprimono tutta la propria inadeguatezza ai tempi che corrono veloci. Ridicole e comiche escono abbellite di «lazzi, frizzi, schizzi, girigogoli e ghiribizzi» convinte dalla promessa di una serata di bagordi col nipote; per il matrimonio si vestono di trine e tulle bianco come spose tardive.
La forza del romanzo di Palazzeschi, che l’adattamento teatrale è riuscito a conservare, sta nella capacità di non giudicare i suoi eccentrici personaggi, di sorridere con amore di ogni sfumatura umana, spostandosi dalla tragedia alla dimensione giocosa dell’arte al di là delle convenzioni.
Nel finale le tre donne, Teresa, Carolina e Niobe, dopo tanta penuria, si ritrovano intorno al tavolo a guardare le fotografie di quel furfante che con tanta disinvoltura le ha ridotte in povertà. Chiudono con una risata.
Lo spettacolo risulta leggero, soave, ma micidiale nella sua stessa tenerezza. Il sorriso che scaturisce nel pubblico spegne il tragico della vita, lo ingloba ma non lo cancella. Scrive Palazzeschi: «bisogna abituarsi a ridere di tutto ciò di cui si piange attualmente»
SORELLE MATERASSI
dal romanzo di Aldo Palazzeschi
libero adattamento di Ugo Chiti
con Lucia Poli, Milena Vukotic, Marilù Prati, Gabriele Anagni, Sandra Garuglieri, Gian Luca Mandarini, Roberta Lucca
scene Roberto Crea
costumi Ilaria Salgarella, Clara Gonzales, Liz Ccahua
coordinate da Andrea Viotti – Accademia Costume&Moda, Roma-1964
musiche Mario Incudine
luci Luigi Ascione
regia Geppy Gleijeses
produzione Gitiesse Artisti Riuniti
in collaborazione con Festival Teatrale di Borgio Verezzi
Teatro della Pergola, Firenze
5 gennaio 2019
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