schermata 2019-01-06 alle 23.45.52RENZO FRANCABANDERA | Per chi vive l’arte dello spettacolo dal vivo a Milano, non è esagerato poter dire che gli ultimi cinque anni sono stati il quinquennio di Zona K. Questo straordinario centro di propulsione culturale è infatti quello che, probabilmente, meglio di tutti gli altri ha saputo interpretare il senso del grande cambiamento in atto non solo nella città, ma nella società tutta, guardando a Milano, all’Italia e non solo.

Come ricordava Stefan Kaegi nel suo video di ringraziamento per il recente Ubu ai Rimini Protokoll, sono stati proprio loro, questo notevolissimo gruppo di donne e pensatrici del linguaggio del contemporaneo, a portarli per primi in Italia. E dopo di loro, fra i tantissimi altri, Milo Rau, e la Agrupación Señor Serrano. E poi Roger Bernat. E ancora, da ultima, Lola Arias. Una serie di grandi personalità che ripensano l’oggi, filtrandolo nelle trame delle possibilità narrative del teatro, della performance e delle arti sceniche.

L’incontro con l’artista argentina è stato occasione per una riflessione proprio sul tema della diffusione culturale. Abbiamo fatto una chiacchierata durante il tempo del laboratorio da lei tenuto a fine novembre negli spazi della realtà culturale milanese.
Una volta arrivato a montare il video ho avuto davanti a me il dilemma se dare a questa conversazione il carattere dell’accattivante video da cinque minuti fruibile online nella logica del mordi e fuggi, oppure quello di un documento che riguardasse un pensiero più ampio sull’oggi.

Decidendomi per la seconda opzione abbiamo scelto di mantenere l’intervista nella sua quasi totale integrità, sottotitolandola, proprio perché possa avere, per chi non ha potuto confrontarsi con la Arias e il suo pensiero, il potenziale di un documento a cui riferirsi per comprendere una modalità di lavoro che sicuramente vede lei dentro il più grande movimento di artisti internazionali che cercano di confrontarsi con la complessità del presente, utilizzandolo come suggestione creativa per una serie di esiti spesso crossmediali.
Proprio la suggestione del teatro come macchina del tempo è il punto di partenza di questa conversazione. Ampia.
Prendetevi un tempo fuori dalla fretta per ragionare con noi e guardarlo.
Anche questa è una scelta.

1 COMMENT

  1. Scelta saggia e consolante quella di lasciare all’intervista il suo tempo e, così, a chi l’ascolta e la guarda, il tempo per portarla dentro. Moltissimi gli spunti di questa intervista: il teatro come luogo in cui incontrarsi e fare “discussioni” culturali e politiche potrebbe essere la (sola) forma futura (prossima) del teatro. Grazie Renzo, davvero un bel lavoro e un bell’incontro anche per noi.