VINCENZO SORI | Il desiderio del successo che diventa feroce ossessione; l’incapacità di prendere in mano il proprio destino e dire basta; il corpo utilizzato come strumento di riconoscimento, attraverso una coazione a ripetere che fa dell’essere umano un mero esecutore di azioni già programmate. Non si riduce al piano cronachistico-civile 28 Battiti, monologo scritto da Roberto Scarpetti nel 2012, allestito per la prima volta a Teatro India sul finire del 2016 e ora di nuovo in giro per teatri dopo due anni di (non molte) date lungo lo stivale.
Prodotto da Teatro di Roma – Teatro Nazionale, il lavoro del regista di Prima della bomba (2016) e Viva l’Italia, le morti di Fausto e Iaio (2014) riesce nella non facile impresa di smarcarsi dal piano di lettura più immediato, quello che prende le mosse dalla vicenda giudiziaria e sportiva del marciatore altoatesino Alex Schwazer, campione olimpico a Pechino nel 2008 e poi squalificato per due volte per doping. In scena al Teatro Traiano di Civitavecchia nell’ambito di una speciale rassegna sul teatro d’autore, 28 Battiti utilizza il fatto di cronaca come esca, pretesto per mettere in piedi la narrazione di una condizione più o meno universale: il disfacimento di un corpo che prova a superare se stesso, la traiettoria esistenziale di un essere umano incapace di stare dentro il gioco perverso dell’ambizione e delle aspettative.
Mani. Braccia. Schiena. Gambe. Piedi.
L’azione sulla scena ripercorre i cinque capitoli del testo di Scarpetti. Cinque porzioni di corpo che sono cinque tappe di una via crucis fatta di parola, gesto, respiro, sudore, movimento, stasi. La narrazione è lo svelamento di una serie di contraddizioni: il marciatore che in realtà voleva fare il rugbista; un padre ingombrante; lo sportivo che vorrebbe vivere una vita normale – «fumarsi una canna e andare a letto a mezzanotte» – ma che in fondo non sembra capace di fare altro; il marciatore che sogna di mettersi a fare un gioco di squadra – «perché quando si perde, non si perde da soli, ma tutti insieme» –; che riesce a mettere il silenziatore al rumore di fondo soltanto marciando.
L’azione è il testo di Scarpetti, ma sarebbe più corretto dire che l’azione è Giuseppe Sartori. Nell’algida profondità di uno spazio scenico nel quale c’è giusto il posto per una sedia di formica bianca e uno sgabello, il centro inevitabile dello spettacolo è l’attore veneto classe ’86, scuola Piccolo Teatro e a lungo impegnato nel recente passato nelle produzioni di Ricci/Forte.
Al suo primo monologo esclusivo, Sartori è il corpo attraverso il quale parla Scarpetti, dispositivo biomeccanico fatto di carne, parola, vibrazioni. Il personaggio deve essere ossessivo, ossessionato e ossessionante, e Sartori riesce a renderne bene il profilo psicologico. La luce è sapientemente utilizzata, alternando toni, intensità e punti di fuoco, con una simmetria quasi perfetta rispetto ai passaggi nevralgici di un testo in ogni caso ben costruito, scorrevole, cinematografico, tra realismo e lirismo. È comunque soprattutto mediante il corpo e la parola di Sartori che il testo si fa ossigeno, immagine in grado di incontrare, con ritmo via via più incalzante, lo sguardo dello spettatore.
Malgrado i riferimenti alla nota vicenda di Schwazer, 28 Battiti non è un lavoro di teatro di denuncia, né di teatro “civile” (espressione orribile). 28 Battiti è teatro di parola. E di corpo. Importante lo studio di Marco Angelilli sui movimenti che Sartori esegue con dinamismo e precisione alternando diagonali improvvise dello spazio scenico, danze oniriche e piccole maratone della mente (oltre che del corpo).
Già, il corpo: è lui il vero protagonista sulla e della scena, il corpo di un atleta che non è più in grado di fare i conti con sé stesso se non attraverso la coazione a ripetere. Un meccanismo beffardo e subdolo – continuare a vivere procrastinando il momento – reso sul palcoscenico da un attore nervosamente plastico come Sartori, che sa fare a sportellate (performativamente parlando) anche dentro recinti angusti.
In effetti la regia tenta di scardinare l’immobilità del testo con la musica (Bauhaus, Bach, Smiths) e le interessanti videoproiezioni sul fondale (Luca Brinchi e Daniele Spanò) ma la sensazione è che il lavoro resti nel suo complesso piuttosto ingessato malgrado le inevitabili scosse dettate principalmente dalla debordante abilità dell’attore.
Ed è forse proprio questa inevitabilità, questo solido schematismo il limite più evidente del lavoro di Scarpetti: uno spettacolo al quale manca respiro ulteriore, profondità aggiuntiva, approdi potenziali.
Quella stessa mancanza di vie di fuga che porterà il protagonista a decidere, in maniera assolutamente lucida e consapevole, di barare per (illudersi di) tornare a vincere/vivere.
28 BATTITI
scritto e diretto da Roberto Scarpetti
con Giuseppe Sartori
video Luca Brinchi e Daniele Spanò
movimenti Marco Angelilli
live video Maria Elena Fusacchia
assistente alla regia Elisabetta Carosio
Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale
Teatro Traiano, Civitavecchia
13 gennaio 2019