ROBERTA RESMINI | Gli spettacoli messi in scena a Campo Teatrale hanno un grande pregio: quello di valorizzare temi che fanno slalom fra classici e attualità, lasciando spazio alla sperimentazione di compagnie non di rado giovani ed emergenti. Campo Teatrale si occupa da sempre di proporre un’offerta culturale accessibile, che cerca un dialogo con il pubblico del territorio, tendenzialmente anch’esso di fascia giovane, alla ricerca di un teatro di intrattenimento ma capace, allo stesso tempo, di diventare elemento per ragionare e comprendere i mutamenti della società. All’interno di questo scenario si è inserito, dal 15 al 20 gennaio 2019, Una classica storia d’amore eterosessuale, della compagnia Domesticalchimia, che deve la drammaturgia a Camilla Mattiuzzo e la regia a Francesca Merli.
Lo spettacolo, risultato vincitore del Bando Theatrical Mass 2018 e del Bando Opera Prima Festival, vede in scena tre attori: Davide Pachera, Giulia Maulucci, Massimo Scola. La storia è quella di un ragazzo undicenne, nato per errore in uno dei primi appuntamenti tra suo padre e sua madre, che va in psicanalisi. Un figlio che pensa al suicidio e che fa ricadere la causa della sua infelicità sulla madre, in primis, e poi su un padre incapace di sopperire alle mancanze di questa. Il siparietto famigliare si completa con la coppia di marito e moglie che litiga in continuazione per l’educazione del figlio ma soprattutto per le reciproche inadeguatezze e frustrazioni. Lei, senza un’occupazione stabile ma anche priva di passioni durature, passa le sue giornate sperimentando varie arti e sport estremi senza riuscire a trovare appagamento in nessuno di essi. Lui un giornalista di necrologi con un desiderio irrealizzato di diventare scrittore di successo. Alle spalle un romanzo le cui poche copie sono state acquistate, a sua insaputa, in gran parte dai genitori di lei, e un nuovo romanzo in costruzione.
L’intenzione dichiarata è indagare i temi classici dell’amore, della sessualità, della famiglia e dei ruoli all’interno di essa (padre-madre, marito-moglie, figlio) con una modalità nuova, che utilizza vari strumenti (video, dialogo diretto col pubblico, recitazione, musical) e che spazia avanti e indietro nel tempo con una serie di rimandi che partono dal punto zero, quello della narrazione, per poi tornare indietro a dodici anni prima, momento in cui emergono le paure e le ansie da prestazione del primo appuntamento, la voglia di conoscersi. Poi con un balzo in avanti si arriva al momento della routine, della noia, del calo di desiderio e infine un flash forward accenna a quando il figlio sarà a sua volta un adulto, maturo (forse) e, a sua volta, dovrà rivestire il ruolo che è stato di suo padre.
Al di là dei tre attori che si muovono sullo spazio scenico, c’è il pubblico, chiamato a rappresentare la figura dello psicologo, e impegnato, in una sorta di metanarrazione, a compilare un questionario le cui risposte sono lette dopo pochi minuti e diventano fonte di ispirazione per il romanzo del padre.
È uno spettacolo che fa riflettere sui ruoli sociali. Lo esprime molto bene il ruolo della madre quando, in preda a una sbronza, lamenta di dover essere una moglie presente e una madre brava, attenta alle esigenze del figlio e della famiglia, senza che nessuno le domandi cosa vorrebbe veramente dalla vita.
L’ambientazione è fissa (un tavolo, delle sedie, un piccolo guardaroba), ma non impedisce la sua trasformazione in base alle esigenze narrative: da studio medico a cucina, a locale del primo appuntamento. I costumi, semplici e quotidiani, ma in alcuni momenti eccentrici, ben accompagnano i cambiamenti di scena e le stravaganze dei personaggi.
La luce è sapientemente utilizzata da Isadora Giuntini: si allarga alla platea e si restringe poi al palcoscenico, alternando toni e punti di fuoco per sottolineare il movimento e i passaggi nevralgici della narrazione.
La regia riesce nel tentativo di rendere vivo un tema non innovativo e già ampiamente discusso, attraverso le musiche proposte da Federica Furlani e le videoproiezioni sullo sfondo (di Elena Boillat e Soheil Raheli), che si fanno parole, pensieri, immagini ironiche e divertenti e completano ciò che non arriva con la recitazione.
Allo spettacolo manca però una profondità aggiuntiva il che lascia una sensazione di incompletezza. Il personaggio meglio definito e complesso è il figlio: un preadolescente che va in psicanalisi su direttive dei genitori ma che cresce, impara dagli errori e sa perdonare. Meno riusciti sono invece i caratteri dei genitori, decisamente tipizzati e senza molte sfaccettature, che deludono in parte le aspettative. Non si ascoltano realmente, né esprimono ciò che pensano. Parlano ciascuno per conto proprio, portando avanti la propria linea. Annaspano, barcollano, chiedono una ragione per sentirsi ancora desiderati, utili, necessari a se stessi prima che agli altri.
Ci sono tutti gli elementi che caratterizzano la compagnia: «A noi di Domesticalchimia piacciono i travestimenti, gli psicanalisti dell’età evolutiva, i rollé, i film d’autore polacchi, gli alieni, Sean Connery, il Cynar, i necrologi, i premi letterari, il Natale, gli elettrodomestici autogestiti, i primi appuntamenti, le poesie francesi, le tette, l’opera, Spielberg, le flessioni, le madri che bevono, i colpetti, le promesse, le ambizioni, i fallimenti, i caschi della moto, l’amore tragico, l’amore platonico e anche l’amore romantico».
La sensazione generale è che il lavoro soffra, nel suo complesso, di qualche artificiosità, con alcune forzature drammaturgiche che allungano il tempo del racconto e lo appesantiscono: è probabilmente un aspetto anche voluto, per rappresentare l’inevitabilità del trascinarsi anche nelle storie d’amore classiche, dove prima di prendere decisioni importanti si tenta il tutto per tutto nel tentativo di mantenere lo status quo. I continui sbalzi temporali in cui tutto ciò si ambienta, però, non agevolano la fruizione, tant’è che in alcuni momenti il ritmo addirittura si blocca, producendo il risultato di uno spettacolo un po’ troppo tagliato e ricucito.
UNA CLASSICA STORIA D’AMORE ETEROSESSUALE
ideazione Francesca Merli e Camilla Mattiuzzo
con Davide Pachera, Giulia Maulucci, Massimo Scola
scene Flavio Pezzotti
produzione Domesticalchimia con il contributo di Cantiere Moline, Emilia Romagna Teatro e Armunia
regia Francesca Merli
drammaturgia Camilla Mattiuzzo
light design Isadora Giuntini
movimenti scenici e video Elena Boillat
musiche e sound design Federica Furlani
grafiche e locandina Ehsan Mehrbakhsh
organizzazione Valeria La Corte
costumi Federica Furlani e Francesca Merli
foto Elena Boillat e Soheil Raheli
assistente progetto Margherita Pizzoferrato