Disegno: Renzo Francabandera – collezione privata

ANTONIO CRETELLA | Una riflessione impopolare: il giorno della memoria ha il difetto di tutte le ricorrenze, ovvero trasformare il fatto in reliquia, in oggetto di culto che come tale risulta meno reale, meno concreto, meno “forza operante nella storia”.
La retorica, con la sua inalienabile pesantezza formale, ha fatto sì che per certi versi la Shoah sia diventata come il Rinascimento di Burckhardt: completamente chiusa in sé, isolata dalla storia, un satellite del passato orbitante attorno al presente. La si vede, la si racconta, la si testimonia, ma con un senso incolmabile di alienazione. Non è un difetto proprio solo delle nuove generazioni che non hanno vissuto la contiguità storica con l’evento, è un’anestesia diffusa. Si arriva al paradosso in cui più si ricorda, più ci si distacca dal fatto, che diventa racconto della pura esteriorità del cordoglio.
La conseguenza immediata di ciò è che non si colgono nel presente i segnali di riemersione dei sintomi del disastro, lungi dall’essere cancellati, al contrario vivi e operanti nelle coscienze con un costante lavorio psicologico. Il risultato è che ci ritroviamo razzisti e omofobi al governo, che ricordano la Shoah senza avvertire il minimo stridore col proprio operato. Non c’è soluzione. La storia, diceva Wilde, si ripete sempre due volte: prima come tragedia, poi come farsa.

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