ESTER FORMATO | A ridosso della guerra del Peloponneso, intorno al 414 a.c. Aristofane rappresentava Gli uccelli; la commedia antica, della quale lo stesso fu maggior esponente, ci racconta che Atene, il “sogno americano” del VI-V secolo, è ormai una lontana utopia.
Di tutto questo clamoroso passato del nostro occidente il grande teatro greco è testimonianza indelebile, in grado, a distanza di millenni, di possedere vibranti parole e grandiosa vivacità. Ma questo si sa…
Nonostante siamo abituati, specie nella stagione estiva, a un pullulare di allestimenti di testi greci, diventa sempre più complicato riuscire nell’operazione, che spesso appare stucchevole o comunque incapace di offrire permeabilità fra il pubblico e il linguaggio di queste opere.
In queste settimane però, nella città di Milano sono andati in scena Gli Uccelli di Aristofane per l’appunto, al Tieffe Menotti per la regia di Emilio Russo, spettacolo prodotto dallo stesso teatro, e Antigone in scena all’Elfo Puccini, adattamento di Maddalena Giovannelli, diretto da Gigi Dall’Aglio, produzione ATIR. Due teatri dunque, preponderanti nella cultura scenica meneghina attuale si trovano alle prese il classico per eccellenza.
Quando ci troviamo ad assistere a Gli Uccelli dimentichiamo istantaneamente la difficoltà con la quale spesso ci approcciamo a un testo aristofanesco; se facciamo un po’ fatica ad immaginare che ciò che leggiamo portasse la platea greca a ridere di gusto e ad allietarne occhi e orecchie con canti, colori e balli, possiamo ben dire che lo spettacolo di Emilio Russo ci facilita un po’ le cose.
Ci troviamo al cospetto di una scena del tutto sgombra di ogni orpello retorico, il che corrisponde ad una pulizia che si è fatta anche a livello di drammaturgia la quale rispetta la funzione del coro – attribuito proprio agli uccelli – e allo stesso tempo dà spazio all’elemento musicale (imprescindibile, secondo quanto sappiamo della Commedia), attraverso l’esibizione dal vivo di cantante e musicisti disposti al lato dell’assito.
La scena è molto semplice perché costituita essenzialmente da larghi spalti lignei che sembrano richiamare l’identità collettiva dell’antica polis, e a mezz’aria da piume e piume che si prestano a giochi d’ombra eseguite dalla Compagnia Controluce. Questo assetto consente di incanalare l’attenzione alla caratterizzazione dei personaggi e alle sequenze dialogiche che sono il pezzo forte della commedia classica.
Due cittadini ateniesi, schiacciati dai debiti e stanchi della degenerazione politica della loro polis, vogliono fondare una nuova città – Nubicuculia – nel mondo degli uccelli, eletti come esseri superiori perché preesistevano alla manifestazione degli dèi. Cosa balza alla mente se non le novecentesche prefigurazioni distopiche di Jarry e di Orwell? Un archetipo della Fattoria degli animali? Può essere, e se questo è un modo per far rientrare Aristofane nella nostra sensibilità contemporanea, ci pare una buona intuizione.
Ma al di là di questo, lo spettacolo mantiene un ritmo vivace, riprende l’intrinseca comicità adottando prevalentemente il dialetto siciliano, una lingua in grado di restituire e, al contempo, di irridere la natura demagogica dei protagonisti. Il ritmo incalzante rispetta e valorizza la compagine drammaturgica che si caratterizza nei tanti dialoghi botta e risposta ben orchestrati, dando compattezza a tutto lo spettacolo e rendendo alcuni elementi atavici della commedia antica godibili anche nei giorni nostri.
Un’interessante riuscita anche per l’Antigone di ATIR. Anche qui, si parte da elementi originari del testo di Sofocle come la partitura dei cinque stasimi intervallati dal coro che si riappropria del centro del palcoscenico, facendo da contrappunto alla solitudine morale di Antigone. In vesti rosse sgargianti, la protagonista si contrappone cromaticamente al tenue beige della pusillanime sorella Ismene; Arianna Scommegna nel ruolo della protagonista non è però l’unico fulcro della tragedia, l’altro è Creonte, – la cui fine è qui segnata da un’imponente maschera che ne sottolinea fortemente l’emblematicità), che l’adattamento di Maddalena Giovannelli dirotta sulle grandi orme del predecessore Edipo, in un gioco speculare fra questi due e la stessa Antigone e nel quale è continuo il rimando della rispettiva hybris.
Il lavoro di Atir ha un sapore brechtiano; soprattutto nel denso senso politico che si dà a questo allestimento dal quale scaturisce un processo dialettico fra i personaggi. Antigone ed Ismene, Antigone e Creonte, Creonte e il figlio Emone sono le figure campali che incarnano una propria idea, una l’opposta dell’altra, sfumature diverse della stessa dicotomia tra legge umana e legge divina e degli affetti. È perciò suggestivo vedere quanto il testo sofocleo si presti, dunque, ad un contemporaneo teatro politico – inteso nella più nobile accezione –e riverberi inevitabilmente la storia e le ispirazioni teatrali del Teatro Ringhiera. Itinerante da più di un anno, per la chiusura dello spazio di piazza Fabio Chiesa avvenuta nel 2017 per urgenti lavori di ristrutturazione, la compagnia scorpora le sue attività distribuendole in vari spazi e teatri milanesi, pur di continuare a essere un avamposto culturale della città.
Non è perciò casuale che il personaggio di Creonte vesta abiti moderni, configurandosi come un politico nostrano sostanzialmente mediocre, incapace di aggiungere al suo compito di tiranno quella visionarietà in grado di rendere la sua città un posto umanamente migliore. Tebe piomba probabilmente in una condanna ben peggiore rispetto a quanto aveva visto con le tristi sorti di Edipo, vale a dire nello svilimento di qualsiasi forma di norma morale a vantaggio di una fredda e chirurgica prospettiva dell’ordine costituito contro la quale si batte Antigone. È proprio la frattura intrinseca nella legge fra ragione pratica e natura divina, che attraversa questo personaggio e lo ingigantisce, sebbene sia privo di quella forza (distruttiva) di Fedra o di Medea, di quel dolore violento che incarna Ecuba. Del resto, alla virtuosa figlia di Edipo spetta una sofferenza più elegiaca, destinata a essere sedata non tanto dalle estreme azioni (se non che il suicidio), quanto dal logos, dalla ragione e dal cuore che prendono vita nelle parole da contrapporre a quelle di Ismene e di Creonte, e del flebile personaggio di Emone e che ci fa accostare il testo sofocleo a una concezione tragica più moderna, quasi (ancora) brechtiana.
Stagliandosi su uno scenario arido, troneggia quasi al centro dell’assito una enorme pietra funebre destinata a spezzarsi, dietro alla quale si nasconde il corpo di Polinice dato in pasto agli avvoltoi; un grande dosso di sabbia al fondo ci lascia immaginare la tracotanza di Antigone nell’aver dato sepoltura al fratello, accusato di aver tentato di usurpare il trono paterno. L’apparente hybris di Antigone però si rovescia sulla casa di Creonte che vede il figlio Emone uccidersi per amore della stessa Antigone e la moglie, pazza di dolore. Uno scacco forte e suggestivo che Gigi Dall’Aglio sottolinea trasformando così il tiranno tebano in un nuovo Edipo dal quale eredita dunque, la sua maledizione, riprendendo per questo i versi finali dell’altro testo sofocleo, l’Edipo Re che echeggiano forti nella sala dell’Elfo, prima degli applausi conclusivi.
GLI UCCELLI DI ARISTOFANE
adattamento e regia Emilio Russo con Camilla Barbarito, Giuditta Costantini, Nicolas Errico,
Ludovico Fededegni, Claudio Pellegrini, Claudio Pellerito, Giulia Perosa, Maria Vittoria Scarlattei, Chiara Serangeli musiche eseguite dal vivo da Dimitris Kotsiouros, Marta Pistocchi, Roberto Romagnoli assistente alla regia Claudia Donadoni scene Lucia Rho costumi Pamela Aicardi interventi di teatro d’ombra della Compagnia Controluce luci Mario Loprevite prodotto da Teatro Tieffe Menotti assistente alla produzione Cecilia Negro foto di scena Gianfanco Ferraro
Teatro Tieffe Menotti, Milano
domenica 20 gennaio 2019
ANTIGONE di Sofocle
Regia di Gigi Dall’Aglio
Traduzione e adattamento a cura di Maddalena Giovannelli
in collaborazione con Alice Patrioli e Nicola Fogazzi
con Aram Kian, Carla Manzon, Stefano Orlandi, Francesca Porrini, David Remondini, Arianna Scommegna, Sandra Zoccolan
scene Emanuela Dall’Aglio, Federica Pellati
costumi Katarina Vukcevic assistente ai costumi Riccardo Filograna
supervisione artistica alle scene e ai costumi Emanuela Dall’Aglio
assistenti alla regia Fabiana Sapia, Giada Ulivi
luci Giancarlo Salvatori Prodotto da ATIR Teatro Ringhiera Foto di scena Serena Serran
Teatro dell’Elfo Puccini, Milano
martedì 22 gennaio 2’019