VINCENZO SORI | Un filosofo destinato a lasciare ai posteri un’eredità gigantesca – Friedrich Nietzsche –, e la relazione che nella seconda metà dell’Ottocento questi intrattiene con l’amico, tedesco e filosofo anche lui, Paul Rée e la giovane russa Lou von Salomé. Un sodalizio fatto di frequentazioni e scambi epistolari, amori e gelosie, slanci ideali e fervide elaborazioni intellettuali: un ménage à trois destinato in ogni caso ad alimentare le più diverse interpretazioni – chi ha influenzato chi, secondo quali intenzioni e sulla base di quali direttrici di pensiero -; una relazione che, soprattutto nella sua fase iniziale, fra l’aprile e l’ottobre del 1882, ha accompagnato uno dei momenti più decisivi della produzione del filosofo di Röcken, scandendone il momento filosoficamente più devastante, l’elaborazione della dottrina dell’eterno ritorno dell’uguale.
Si sviluppa all’interno di un preciso quadro storico, umano e, se si vuole, anche politico, Il sogno di Nietzsche, lo spettacolo diretto da Ennio Coltorti su testo di Maricla Boggio, in scena in questi giorni e fino a domenica al Teatro Stanze Segrete di Roma.
Una pièce che, per come è stata pensata e poi portata in scena in questo minuscolo spazio nel cuore di Trastevere, ha il merito di raccontare una figura affascinante e complessa come quella di Nietzsche secondo una linea narrativa ispirata allo stile della cronaca letteraria, quindi senza esplicite ambizioni filologiche ma, al contrario, con l’idea di restituire l’umano, o il troppo umano del filosofo tedesco, la sua parola, così come può aver vibrato all’interno di una specifica rete di relazioni. Il risultato che si ottiene, sommando tutti gli elementi della drammaturgia, della recitazione e della messa in scena, è uno spettacolo che si pone essenzialmente sulla scia del teatro di prosa, senza sperimentazioni, né linguaggi particolari, ma con un rispetto rigoroso e puntuale delle regole classiche.
Alla terza ripresa nell’ambito della stagione del teatro romano aperto (in altra sede) da Aurora Cafagna nel 1992, nel Sogno di Nietzsche due sono gli elementi che, più degli altri, determinano il respiro della performance: Ennio Coltorti e lo spazio. Senza nulla togliere agli altri due attori presenti sulla scena – Jesus Emiliano Coltorti e Adriana Ortolani, rispettivamente Paul Rée e Lou von Salomé – è Ennio Coltorti il centro irradiatore delle percezioni, il dispositivo attoriale interamente votato, con la voce, il corpo, lo sguardo e i movimenti, alla narrazione di un vissuto attraverso l’esperienza di un essere umano. Mentre Emiliano-Paul e Adriana-Lou restituiscono dei personaggi che, tranne piccole eccezioni, restano sempre uguali a sé stessi, il Nietzsche di Ennio Coltorti sa essere epico e allo stesso tempo fragile, eroico e malato, drammatico e sentimentale in un avvicendarsi repentino e vertiginoso di toni che arrivano in superficie dopo essersi “dematerializzati” da un testo nel quale trovano posto sia citazioni dalle opere del filosofo (anche piuttosto ampie) sia un intreccio narrativo complesso fatto di meccanismi psicologici, motivi “generazionali” e condizionamenti sociali.
Si diceva di Coltorti e dello spazio. Accanto alla prova del direttore delle Stanze, che firma una regia pulita e una messa in scena coerente con gli obiettivi e le possibilità, sarebbe un peccato non menzionare il modo in cui viene utilizzato e popolato lo spazio di ridottissime dimensioni di un teatro al quale spesso si associa l’appellativo di “salotto”. Senza entrare nell’analisi dei motivi che ne potrebbero spiegare siffatta connotazione, vale la pena di ricordare i tre tavoli antichi, in legno lavorato, sui quali i protagonisti siedono per leggere e scrivere; gli oggetti semplici come calamai, penne e fogli di carta; la scala che conduce al ballatoio dove sono ricavate tre nicchie che “staccano” dal plot per digressioni del pensiero; gli specchi, numerosi, grazie ai quali lo spettatore che siede sul limitare della scena riesce a realizzare la sua personalissima successione di punti di prospettiva. Tutto è condensato in pochi metri quadrati, il respiro degli attori scandisce i silenzi dentro questa “piccola mandorla di luce” (definizione meravigliosa presa in prestito dalla grande Ermanna Montanari), la dimensione è più verticale che orizzontale, finanche scomoda, e lo sguardo deve essere vispo, operativo, niente affatto comodo accomodante (ma a noi sta bene così!). Niente da dire sull’uso del buio e della luce (Matteo Fasanella), sui costumi sobri ed eleganti di fine Ottocento (Rita Forzano) e sulla selezione musicale di Sergio Pietro: tutto ciò rende Il sogno di Nietzsche uno spettacolo piacevole, ammaliante, sicuramente didascalico se ci si ferma agli aspetti più legati alla filosofia nicciana, ma che ha comunque il merito di rispolverare con garbo ed eleganza la personalità e le mille sfumature di uno degli intellettuali più controversi e fraintesi della storia.
IL SOGNO DI NIETZSCHE
di Maricla Boggio
regia Ennio Coltorti
con Ennio Coltorti, Jesus Emiliano Coltorti, Adriana Ortolani
allestimento scenico Ennio Coltorti
costumi Rita Forzano
selezione musicale Sergio Pietro
aiuto regia Matteo Fasanella
produzione T.T.R. di Tato Russo
Teatro Stanze Segrete, Roma
29 gennaio-10 febbraio 2019