RENZO FRANCABANDERA | Il rapporto con le scuole e i grandi formatori è un elemento cruciale di ogni arte che parta in sè dalla creatività artigianale. E le arti sceniche non fanno eccezione.
Esistono poi artisti che fanno di questo scambio di conoscenze un momento fondante del proprio percorso. Molti di coloro che sono gravitati in questi ultimi quaranta anni attorno ai grandi centri di studio sul teatro hanno finito per creare interessanti esperimenti di ibridazione culturale e creativa. Lorenzo Gleijeses è senza dubbio fra questi. Un figlio d’arte emancipatosi negli anni dal codice parentale per cercare, nei suoi progetti, vie autonomie ad una creatività non di rado crossmediale, spesso in partnership con altri esperti di linguaggi diversi.
mente_collettiva2È quello che è successo, per esempio, dalla primavera 2015 in avanti, momento dal quale il progetto 58° Parallelo Nord ha riunito in un cantiere teatrale aperto Eugenio Barba e Julia Varley (attrice icona dell’Odin), Luigi De Angelis e Chiara Lagani (Fanny & Alexander) Michele Di Stefano e Biagio Caravano (mk, altra storica compagnia della scena italiana della ricerca), chiamandoli ad intervenire attivamente in sessioni separate di lavoro su alcuni materiali performativi proposti da Lorenzo Gleijeses e dal musicista Mirto Baliani.
Da questa fase iniziale di esplorazione hanno preso forma due differenti progetti produttivi, che vedono protagonista Gleijeses, accompagnato dalle musiche originali eseguite dal vivo dallo stesso Baliani: il primo è Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa, in collaborazione appunto con Barba e Varley, mentre il secondo è Corcovado, sul materiale coreografico proposto da Michele Di Stefano e rielaborato da Biagio Caravano. Entrambi furono presentati nella loro forma di primo studio a Napoli alla Galleria Toledo nel 2016.
Una giornata è il primo dei due lavori a vedere la luce ed è di recente transitato a Milano nella notevole stagione della Triennale, dopo l’anteprima al Napoli Teatro Festival e il debutto torinese al TPE.
In realtà questo lavoro ha finito per incorporare un po’ tutte le suggestioni del grande gruppo creatosi intorno alla progettualità di 58° Parallelo Nord: Barba, infatti, condivide per l’occasione la regia e la drammaturgia con Gleijeses e la Varley, mentre gli oggetti coreografici sono di Michele Di Stefano e la consulenza sulla drammaturgia di Chiara Lagani.

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foto Tommaso Le Pera

Che succede in questo spettacolo? Lo possiamo in un certo senso tripartire: una prima parte, costruita con sagomatori di luce e movimenti ricorrenti, ci porta dentro una sala prove dove il danzatore viene sottoposto ad esercizi ripetitivi e scanditi dalla voce di un maestro (quella dello stesso Barba) che lo richiama ad una concentrazione ed intenzione artistica assoluta. Il passaggio dal primo al secondo quadro, che porterà il giovane artista nel suo ambiente domestico, accenna alla tematica che già il titolo richiama, a quella suggestione di ispirazione kafkiana che la creazione si porta attorno.

A volte le creazioni nascono da materia apparentemente inerte. Lo racconta lo stesso Barba:

«Non riuscivo a scorgere niente in quei movimenti astratti: l’unica vaga associazione l’avevo avuta quando era al suolo e si contorceva come uno scarafaggio rovesciato sul dorso. Scherzando gli dissi che avrebbe potuto chiamare il suo spettacolo “La metamorfosi” di Kafka. Diceva Meyerhold che non bisogna mai scherzare con i pedanti, perché prendono tutto alla lettera. Lorenzo non è un pedante. Cosa sia, lo potete immaginare quando il giorno dopo, sempre nello stesso corridoio, mi pregò di vedere come aveva adattato i suoi materiali al testo della “Metamorfosi”. Durante la notte aveva registrato il testo di Kafka che adesso, nella parte finale, una voce fuori campo interpretava durante le sue contorsioni. Il risultato era embrionico, non capivo se fosse maschio o femmina, che cosa volesse diventare, se avesse vitalità per crescere durante i futuri mesi di gestazione. Ero però, impressionato dalla determinazione di Lorenzo e Mirto Baliani che nel giro di una notte avevano trasformato una battuta ironica in realtà scenica: una presa di posizione. […]

Ecco quindi che lo spettacolo nasce da un’intenzione caparbia, da un pretesto che arriva da qualcosa che, fino all’innesco del cortocircuito, non c’è. La provocazione, lo schiaffo. Quel rapporto docente-discente così peculiare, a tratti feroce. Si ricorderà una bella e a suo modo violenta pellicola di un paio d’anni fa, Whiplash, film del 2014 diretto da Damien Chazelle e interpretato da Miles Teller e da J. K. Simmons. La trama ha un po’ a che fare con questo cortocircuito, con un insegnante, in quel caso dal tratto un po’ deciso (di Barba non sappiamo), che spinge un giovane allievo del corso di percussioni fino all’ossessione del non riuscire, del non farcela, per poi arrivare a scatenare in lui quella reazione profondissima che solo chi ha qualcosa da dire all’arte arriva a produrre. E Gleijeses prende di petto il pretesto per affondare il colpo su un tema che per lui ha evidentemente a questo punto del suo percorso un doppio intreccio: il rapporto con la figura del padre/maestro e il tema dell’emancipazione, della ri-trasformazione dello scarafaggio in uomo, quel tentativo che a Gregor Samsa non riesce nel libro.
Il tema del rapporto con la figura paterna filtrata attraverso l’ispirazione kafkiana viene rivelato con il ricorso esplicito alle parole di un altro testo centrale della poetica dello scrittore praghese, la Lettera al padre.

Si fa quindi esplicito il riferimento che suona, sulle labbra di Gleijeses, quasi  autobiografico: è lui in quanto personaggio della finzione scenica o è lui in quanto figlio d’arte, a suo modo, come immaginabile, impaurito dal confronto con la figura paterna, dal raccoglierne un’eredità e soprattutto da cui emanciparsi per sviluppare una propria identità non autodistruttiva?
Seguiamo Gregorio nel suo ritorno a casa, una stanza e un animale domestico digitale, una specie di robot che gli ronza attorno mentre lui prova appunto a ripercorrere con la mente gli esercizi fisici del training artistico, per creare qualcosa di proprio, di originale. L’arte come assillo, una malattia che divora, in cui il pretesto creativo diventa racconto di quello che Barba ci testimonia essere successo veramente. Alla fine questo ragazzo cade al suolo stremato, mentre il robottino-cagnolino quasi va a consolarlo di tanta fatica. Umano e disumano che cercano un dialogo senza parole.
La terza fase è quella in cui la creazione vera e propria prende il sopravvento, in cui il ragazzo, liberato dalle sue fatiche, rielabora in forma creativa e trasponendo questa fatica in una specie di viaggio/corsa verso la luce del sole, in cui tutto il ragionamento sui movimenti, sullo scarafaggio, sul rapporto con la fase di creazione ed elaborazione diventa un fatto singolo, soggettivo. È lui, solo lui, finalmente capace di stare in piedi e dare al suo linguaggio una dignità autonoma. Certo, il personaggio Gregorio, interpretato da Lorenzo, sempre diretto da Eugenio è… Però la narrazione a suo modo è chiara, lascia trasparire questi controluce sul biografico in cui lo spettacolo evidentemente trova profondità, ed arriva ad una creazione capace comunque di emozionare la sala, di arrivare, pur con qualche momento di flesso narrativo.

UNA GIORNATA QUALUNQUE DEL DANZATORE GREGORIO SAMSA

con: Lorenzo Gleijeses
drammaturgia e regia: Eugenio Barba, Lorenzo Gleijeses e Julia Varley
suono e luci: Mirto Baliani
voci off: Eugenio Barba, Geppy Gleijeses, Maria Alberta Navello, Julia Varley
assistente alla regia: Manolo Muoio
consulenza drammaturgica: Chiara Lagani
spazio scenico: Roberto Crea
oggetti coreografici frutto di un incontro con Michele Di Stefano per il progetto 58° Parallelo Nord
produzione: TPE Teatro Piemonte Europa, Nordisk Teaterlaboratorium, Gitiesse Artisti Riuniti
Durata: 70’
Triennale di Milano, 27 gennaio 2019