ELENA SCOLARI | C’è una notizia, di pochi giorni fa: il Leone d’Argento per il Teatro 2019 è andato al regista-autore olandese Jetse Batelaan, direttore artistico della compagnia Theater Artemis e creatore di innovativi spettacoli per ragazzi e non solo. Lo ha stabilito il Consiglio di Amministrazione della Biennale di Venezia, presieduto da Paolo Baratta, accogliendo la proposta del direttore di settore Antonio Latella. Quanti lo hanno saputo e ci hanno fatto una riflessione?
Il fatto è senz’altro importante, da salutare con favore? Così ci auguriamo, pur non avendo mai assistito agli spettacoli di Batelaan non abbiamo ragione di dubitare della loro qualità. Certo in Italia non siamo privi di grandi registi e autori che lavorano per i giovanissimi, e per puntare il faro su questa branca dell’arte teatrale, che nel Belpaese risulta ancora reietta, poteva essere interessante cercare “prima tra gli italiani”…
Sabato scorso sul Corriere della sera un articolo cita la notizia del premio, autrice Emilia Costantini. Non si parla spesso di teatro ragazzi sui quotidiani nazionali, non se ne parla spesso affatto, non a una platea più ampia di quella rappresentata dagli operatori.
Nella lettura dell’articolo mi colpiscono alcune cose, cui affianco alcune osservazioni.
Si fanno dei numeri: in Italia sono circa 200 le compagnie nazionali, 100 quelle a carattere regionale, 10 i centri riconosciuti dal Ministero, 10 i festival di settore, 1000 persone tra artisti, organizzatori, tecnici, 5000 recite all’anno, circa 1 milione il totale degli spettatori. E questo è un punto che il Ministero stesso chiamerebbe “dimensione quantitativa” del sistema. Benché solo una parte di questo “sistema” sia costituita da soggetti riconosciuti dal Mibac. Queste cifre sono sempre in movimento: perché, vivaddio, in movimento è l’ambito artistico: nuovi festival nascono, altri chiudono, alcune compagnie cessano la loro attività, artisti di teatro per adulti si accostano a quello per ragazzi (non sempre con sincera passione) o viceversa, molte sono le compagnie nate con lavori dedicati all’infanzia che producono spettacoli per le stagioni serali, ecc.
Ricerche e documenti interessanti sul settore – difficilmente reperibili altrove – si trovano raccolti nella sezione Archivio del sito di Unoteatro, piattaforma torinese dedicata alla produzione teatrale per le giovani generazioni, coordinata da Fabio Naggi e ancora in fase di lavorazione.
Il primo e principale luogo on line che si è occupato e si occupa di teatro ragazzi in maniera sistematica e continua è senza dubbio Eolo, rivista diretta da Mario Bianchi e sulla quale si trovano centinaia di recensioni raccolte in anni di festival/vetrine dedicati ai piccoli; tutte le novità sulle manifestazioni; video e interviste; i premi Eolo, consegnati ogni anno dal 2006 agli spettacoli giudicati i migliori da una giuria di operatori e (pochi) critici del settore. E a proposito di critici, è solo di recente che alcuni rappresentanti della categoria si occupano di questa disciplina. L’esempio più strutturato è l’esperimento di Planetarium, un osservatorio formato dalle redazioni di quattro magazine di critica teatrale (Altre velocità, Stratagemmi, Il tamburo di Kattrin e Teatro e Critica), che segue i festival Teatro fra le generazioni, Segnali, Maggio all’infanzia. Esiste poi il sito dell’associazione Utopia, con una sezione recensioni. Guardare al teatro per i piccoli e saperlo poi raccontare, criticamente, richiede esperienza, conoscenza dell’alfabeto teatrale, la capacità di essere un po’ infantili ma con una consapevolezza adulta, un occhio in grado di vedere anche ciò che non funziona, teatralmente e pedagogicamente parlando.
Il racconto sugli spettacoli per bambini è però seguito perlopiù dagli operatori del settore. Ancora deve essere fatto il passo che allarghi il pubblico dei lettori anche a genitori, maestre e maestri, ai ragazzi stessi e magari anche a spettatori tout-court.
I redattori di PAC hanno parlato più volte di spettacoli per ragazzi, continuare a farlo, insieme ad altri colleghi, è una strada perché questa importante fetta dell’arte scenica acquisisca visibilità e interesse più trasversali, e anche per provare a dissipare alcuni altri equivoci che ancora creano fraintendimenti.
Le due parole ‘teatro’ e ‘ragazzi’ possono avere diverse preposizioni a unirle: ‘per’ ma anche ‘dei’. Pare pedante, mi rendo conto, ma è distinzione fondamentale: qui stiamo parlando di professionisti che creano pensando ai ragazzi come pubblico destinatario delle loro opere. Esiste anche il teatro fatto dai ragazzi, sotto la guida di operatori, utilissimo, ma è un’altra cosa.
Non di sole fiabe si tratta ma gli spettacoli per bambini affrontano anche temi come sessualità, guerra e malattie, sottolinea Costantini. Ma siamo sicuri che questo sia il punto?
Si cade ancora una volta nel pregiudizio “adulto” che riesce a dare valore ai lavori teatrali per ragazzi solo se si occupano di argomenti scomodi e/o di solito affrontati dai grandi. Che, ammettiamolo, può essere anche una scorciatoia per sollevare polveroni mediatici a volte indipendenti dalla riuscita teatrale dello spettacolo.
L’importanza artistica, pedagogica ed estetica (nel senso filosofico di “capacità di sentire”) risiede invece nella qualità e nella cura del lavoro, anche quando il contenuto che si mette in scena sono I tre porcellini o Il brutto anatroccolo. Fiabe classiche e fiabe moderne contengono fantasia e insegnamenti, essenziali per la crescita intellettuale di un bambino, tanto quanto possono esserlo testi contemporanei che trattino oggetti più inconsueti per il modo dell’infanzia. E nelle fiabe succedono cose spaventevoli, che molto hanno a che fare con la vita (e la morte).
Auspicando che anche qualche lettore “non militante” stia leggendo, può non essere superfluo aggiungere che più arti si possono incontrare in questo mondo: il teatro di figura (burattini pupazzi, marionette), il teatro di narrazione e d’attore, il teatro/danza, la clownerie, le ombre, il teatro su nero… e perfino alcune cosiddette nuove tecnologie (seppur ormai non più nuove da almeno 15/20 anni) sono state sperimentate proprio negli spettacoli per bambini: il soundbeam, le videoproiezioni, l’interazione con il pubblico tramite dispositivi in connessione…
Sarebbe banale sostenere che – per grandi o per piccoli – il teatro è buono oppure no, sembrerebbe altrettanto banale dire che è sciocco continuare a tenere in piedi barriere e divisioni “di genere” (e non parliamo di maschi e femmine), purtroppo invece non è scontato perché ancora netti sono i recinti che settorializzano il teatro in correnti. E mercato, istituzioni, critica non sono affatto alieni a questa abitudine. In teatro. Al cinema e in letteratura non succede: Miyazaki o Collodi sono autori senza altre specifiche, così come Verne e Salgari, scrittori di romanzi pieni di matura profondità, o Schulz, i cui Peanuts sono bambini più adulti degli adulti, o ancora Matt Groening e i suoi scorrettissimi Simpson.
Ancora si fatica far sapere che il teatro per i bambini e i ragazzi richiede competenza, attenzione, creatività, cura, poesia, pregi che i professionisti del settore applicano quotidianamente nel rivolgersi al pubblico dei giovanissimi.
Tutt’altro che un gioco da ragazzi.