ANTONIO CRETELLA | L’Atene del periodo classico è più volte citata come massimo esempio storico di democrazia diretta, ove il popolo era chiamato a discutere e approvare le leggi dello Stato e, in generale, a partecipare in modo attivo all’amministrazione della città.
Per quanto l’importanza storica della democrazia ateniese sia innegabile, l’identificazione di essa con l’espressione diretta di un “popolo sovrano” è un inganno fondato sulla nozione stessa di popolo, spesso confusa con quella di popolazione. Se la popolazione è l’insieme delle persone che abita in un territorio, il popolo è via via definito a seconda delle società di riferimento come un sottogruppo della popolazione che si distingue per il godimento dei pieni diritti politici. Nella polis Ateniese, donne, schiavi, giovani non avevano diritto di voto: si stima che sui circa 300.000 abitanti di Atene, solo tra i 30.000 e i 50.000 godessero dei pieni diritti civili, costituendo di fatto una minoranza elitaria. Un dato interessante è che già allora la letteratura, la satira e in particolare il teatro, forma di spettacolo popolare per eccellenza, fossero usati almeno in parte come strumenti di propaganda e di influenza del corpo elettorale, anche attraverso una narrativa non rispondente appieno con la realtà.
È dunque semplice costruire un “grande esercizio di democrazia diretta” espressione immediata del “popolo”: basta dare il nome di popolo a 50.000 iscritti di un sito a fronte di 60 milioni di persone, influenzarli con uno storytelling a metà tra marketing e complottismo e una sguaiata satira dai nomignoli offensivi e la grande illusione dell’Atene postmoderna prende forma nelle sciagurata sembianze di una mediocrazia tutt’altro che virtuale.
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