MATTEO BRIGHENTI | Solitudine. Disperazione. L’abuso di autorità calpesta l’idea di qualsiasi futuro lontano dal suo scarpone. Il tempo si dilata in un presente eterno, definitivo. Ciò che è accaduto continua ad accadere. Adesso e per sempre. Ogni ordine è un sopruso che ci fa piccoli, più piccoli, ancora più piccoli. Invincibile o quasi, perché ci possiede e muove dal di dentro, dall’interno del nostro spavento.

La paura è il buio fitto che riduce allo stato di marionetta tanto Maurizio Lupinelli in Ella di Herbert Achternbusch quanto tutta La classe di Fabiana Iacozzilli. Il burattinaio è l’istituzione, donne e uomini che sorvegliano e puniscono la fragilità, invece di accoglierla, prendersene cura. Che sia la famiglia o la scuola, lo psichiatra o la maestra, il proposito di fare del bene è ugualmente distorto. Perché si attua privando della qualità distintiva che ci rende umani: la libertà. A tal punto da sentire estraneo il proprio corpo, finanche la propria mente.
Sembra impossibile, eppure sta succedendo qui, ora, davanti ai nostri occhi. Non possiamo non vederlo, non sentirlo. Nell’evidenza dello stacco tra considerazione e percezione, questi due spettacoli ci mettono addosso la vergogna, almeno, per quando abbiamo alzato le spalle e ci siamo voltati dall’altra parte.

Ella - foto di scena
Ella foto di scena

Ella è la rielaborazione di un capitolo del romanzo Verrà il giorno (1973) di Achternbusch, riscritto nel 1978 su commissione di Klaus Peymann, allora direttore dello Staatheater di Stoccarda. Maurizio Lupinelli, diretto da Eugenio Sideri, lo interpreta dal 2001: la sua intensità gli è valsa una segnalazione ai premi Ubu come migliore attore.
Una luce verde ritaglia nell’oscurità una larva di uomo, annunciata dalla registrazione audio del suo respiro battente. Lupinelli è accasciato in mutande nella Sala Teatro del padiglione numero 16 dell’ex manicomio di San Salvi, a Firenze (in programma al festival irregolART dei Chille de la balanza). Il corpo è teso, allucinato, una nascita dall’ombra per Josef, il figlio, che impersona la madre Ella e il coacervo inestricabile della sua tragica esistenza. Sono ricordi di una memoria sconquassata, che accumula, scompone, recupera episodi in un’assoluta sconnessione cronologica.
Nel chiarore della casa del matrimonio impostole dal padre il lungo vestito che ha indossato si scopre essere a fiori, che pur non leniscono le botte e le brutture cui è stata sottoposta fin da piccola. La postura energica, l’urlo che esplode in bocca, sono come armi immaginarie contro una società che le ordina cosa fare, senza chiedere mai il suo consenso. Via via perde la capacità di esprimersi, ma è ferrea nel riferire i simboli delle gerarchie che l’hanno oppressa. La sua sfacciataggine sarebbe stata disubbidire a regole semplicemente disumane.

Maurizio Lupinelli
Maurizio Lupinelli

Nessuno la vede per com’è davvero e gli anni passano in “ville”, galere, manicomi, che le mutano i connotati in una maschera cupa, tetra. Quando non hanno i lunghi capelli sopra, gli occhi, perennemente illuminati dall’alto, assomigliano a due buchi neri. L’attore si carica più volte sulle spalle una porta in legno, lo stigma che chiude Ella fuori dal mondo e dietro cui, alla fine, si chiuderà lei stessa. Sognando l’amore che solo la madre le ha dato.

Gli spazi e gli interventi non sono sempre chiari e definiti, per la tanta foga e furia del dire, accusare, smascherare, ma ciò che colpisce di Maurizio Lupinelli è la commovente adesione emotiva, propria di chi vuole restituire un’umanità perduta attraverso la testimonianza della sofferenza. Per Ella Achternbusch si è ispirato all’omonima zia, di cui è stato tutore; parimenti, Lupinelli ha avuto la madre ricoverata in manicomio. È una ferita che si porta dietro, rivela al pubblico dopo gli applausi finali, ed è da lì che nasce la sua arte.

La classe foto Cosimo Trimboli

La ferita di Fabiana Iacozzilli, invece, si chiama Suor Lidia. Era la sua maestra delle elementari all’Istituto Suore di Carità dell’Immacolata Concezione d’Ivrea. La classe è il suo modo di tornare bambina o, meglio, di guardare alla bambina con gli occhi dell’adulta, e affrontarne i ricordi, insieme agli ex compagni. In bilico tra La classe morta di Kantor e I cannibali di Tabori.
Si tratta di un “docupuppets”. Stralci di interviste, infatti, punteggiano una narrazione documentaria agita dai fantocci/burattini di Fiammetta Mandich (sue anche le scene), creati a immagine degli scolari che furono. Ognuno è seduto al suo banchino, appoggiato su un banco gigantesco, che li unisce, sul palcoscenico del Teatro Cantiere Florida di Firenze, a un uguale destino di angherie: una riduzione di scala dal generale al particolare, uno zoom per avvicinarsi, fino a entrare dentro i loro più piccoli pensieri, manovrati dai performer Michela Aiello, Andrei Balan, Antonia D’Amore, Francesco Meloni, Marta Meneghetti.

È il primo giorno di scuola e anche tutti gli altri cinque anni. La marionetta che impersona Iacozzilli è attaccata per le spalle a una lavagna; stringe le mani a due figure senza testa, colorate con i gessetti. Sotto di una c’è scritto “papà”, sotto l’altra “mamma”. Si sentono gli schiamazzi di alcuni bimbi e una campanella, o forse una sveglia. Da lì, da quella finestra cieca, ma comunque rassicurante, essa viene staccata a fatica. Il cuore le batte forte nelle casse acustiche. Sa bene che il saluto dei genitori, in realtà, è l’annuncio del loro abbandono: un colpo di cimosa e scompaiono per sempre.

foto Piero Tauro

Il suo banchino è in fondo al banco gigantesco, girato da principio per lungo rispetto al palco. Una pista per una camminata quasi lunare, carica di attesa quanto di ansia. Attesa perché sì, cambierà. Ansia perché no, non cambierà. La testa è pesante, tuttavia deve andare, prendere il suo posto. Così è stato deciso e così è.

Non c’è soluzione, né liberazione da Suor Lidia, figura viva tra soggetti inanimati, poiché li tiene in pugno nel suo di tempo, unica presenza in carne e ossa. S’intravede soltanto il cappuccio della tunica, una mano, quanto basta per dimostrare il suo potere: volontà e azione. Per il resto, La classe è un campo visivo di tenebre (le luci sono di Raffaella Vitiello), in cui l’occhio è guidato dai rumori, le matite che scrivono, i compagni che respirano, i gessetti che si consumano, i passi che incombono. È duro, claustrofobico, e il non vedere rappresentati quegli episodi di violenza vissuti tra i sei e i dieci anni d’età ti porta a immaginarli, a sentirli tuoi, rendendoli ancora più spaventosi.
C’è una scena che riassume in un’icona struggente l’infanzia sottratta. Alla lavagna è scritto “Ricreazione”. Le marionette sono in un qualche cortile, davanti a un pallone. Nessuno osa calciarlo, neppure avvicinarsi. Il vento scuote le foglie su un ramo solitario. Il mondo continua a girare e le stagioni a cambiare, incuranti che a loro sia stato tolto il gioco, il sorriso. Vivere, qui, è riuscire a rialzarsi dal banco a fine giornata. Sempre che Suor Lidia non ti abbia legato troppo stretto.

Prima che quel vento, da ultimo, li disperda letteralmente, c’è però una sorpresa: la riabilitazione della maestra dispotica. La voce registrata di Fabiana Iacozzilli riconosce che ciò che è oggi lo deve proprio a lei, visto che all’epoca le ha affidato la regia di una piccola scena all’interno di una recita per la festa della mamma. Il giudizio, in definitiva, resta sospeso, come i pareri contrastanti degli ex compagni. E così La classe s’interrompe, irrisolta, nell’elogio marionettistico del senno di poi.

 

ELLA
di Herbert Achternbusch

traduzione Luisa Gazzero Righi
con Maurizio Lupinelli
ideazione Maurizio Lupinelli e Eugenio Sideri
regia Eugenio Sideri
produzione Nerval Teatro

Chille de la balanza, Via di San Salvi, 12 (padiglione 16), Firenze
16 febbraio 2019

LA CLASSE
un docupuppets per marionette e uomini

uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli
collaborazione artistica Lorenzo Letizia, Marta Meneghetti, Giada Parlanti, Emanuele Silvestri, Tiziana Tomasulo, Lafabbrica
performer Michela Aiello, Andrei Balan, Antonia D’Amore, Francesco Meloni, Marta Meneghetti
scene, marionette Fiammetta Mandich
luci Raffaella Vitiello
foto di scena Tiziana Tomasulo
consulenza Piergiorgio Solvi
organizzazione, comunicazione Giorgio Andriani, Antonino Pirillo
coproduzione CrAnPi, Lafabbrica, Teatro Vascello, Carrozzerie | n.o.t
supporto Residenza IDRA, Teatro Cantiere Florida/Elsinor nell’ambito del progetto CURA 2018 e con il supporto di Settimo Cielo/Residenza Teatro di Arsoli e di Nuovo Cinema Palazzo
un ringraziamento speciale ai miei compagni di classe

Vincitore del bando di residenze interregionali CURA 2018
Finalista ai Teatri del Sacro 2017
Finalista al Premio per le arti sceniche Dante Cappelletti 2018

Teatro Cantiere Florida, Firenze
18 gennaio 2019

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