GIORDANA MARSILIO | È il 1922, Bertolt Brecht ha ventiquattro anni e porta in scena al teatro Kammerspiele di Monaco di Baviera la sua seconda opera – dopo Baal – Tamburi nella notte. Novantacinque anni dopo il regista Christopher Rüping ridà vita a questa pièce dalla trama semplice, eppure concettualmente complessa. Lo spettacolo di Rüping risale alla stagione 2017/2018 e, dopo la sua partecipazione al prestigioso Berliner Theatertreffen, viene nuovamente riportato in scena al teatro Kammerspiele di Monaco.

Sono gli anni della rivoluzione in Germania, quando tra il 1918 e il 1919 un giovane Brecht comincia a lavorare a quest’opera che doveva chiamarsi Spartakus come la lega spartachista, nata come un’organizzazione socialista e rivoluzionaria. In seguito il titolo fu cambiato in Tamburi nella notte, poiché nella storia il tamburo diventa simbolo della ribellione.

La scena (Jonathan Mertz) è scarna e prevale il colore nero. Sulle pareti sono appoggiate delle grosse tavole di legno. Un microfono pende dal soffitto e l’attore che interpreterà Murk (Nils Kahnwald) preannuncia quello che succederà in scena e la genesi dell’opera, In pieno stile brechtiano esce dal suo personaggio, ancora prima di cominciare. Ben presto lo spettatore si rende conto che questa non sarà una serata a teatro come le altre. Brecht scrisse quest’opera pensando esattamente al Kammerspiele, alla sua disposizione, alla posizione delle porte. Rüping ha potuto quindi affidarsi completamente all’autore per la messa in scena, nonostante abbia voluto in qualche modo rinnovare il pezzo – come si vedrà nel finale alternativo.

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Foto Julian Baumann

Sulle balconate e sulle porte sono appesi degli striscioni con su scritto “Non fissare così romanticamente!”. Brecht vuole andare contro il naturalismo e il teatro reale e già nella sua seconda opera mostra la direzione che il suo filone teatrale prenderà: quello del teatro epico.

Dopo l’annuncio in sala da parte di Kahnwald la scena, che era vuota e calma, diventa frenetica. La scenografia prende vita e viene quindi preparata dai tecnici, volutamente ben visibili in scena– e così sarà insistentemente durante tutto lo spettacolo –. Sulle grandi tavole sono abbozzati a matita dei grattacieli. Davanti a questo sfondo una piccola casa borghese, quella della famiglia Balicke: uno specchio, una credenza, tavola con sedie e un grammofono. Da quest’ultimo suoneranno musiche all’apparenza dalla funzione diegetica, come l’inno tedesco degli anni ’20, ma in realtà la musica (Paul Hankinson e Damian Rebgetz, con la consulenza musicale di Christoph Hart) più che accompagnare le scene, cercherà di togliergli completamente la veridicità, rendendole quasi assurde.

Dopo lo scoppio della rivoluzione  la Germania viene investita dal senso di responsabilità politica che porta alla nascita di gruppi reazionari di sinistra. Tra questi, nella pièce di Brecht, c’è anche Andreas Kragler (Christian Löber), combattente al fronte durante la Prima Guerra Mondiale e a lungo prigioniero in Africa, torna dalla sua amata Anna (Wiebke Mollenhauer). La giovane, però, è promessa dai suoi genitori, Karl (Hannes Hellmann) e Amalia Balicke (Wiebke Puls) per motivi economici al borghese Murk. L’arrivo in scena di Kragler è d’effetto: si cambia i vestiti e si ricopre dalla testa fino ai piedi di vernice bianca. Forse nella guerra, così come nella rivoluzione, perde la sua identità, non è riconoscibile. Forse nella massa dei rivoluzionari non è più un singolo individuo, ma parte di un gruppo. Si unirà quindi ai rivoluzionari o lotterà per il suo amore? Kragler infatti si chiede:  “La mia carne deve finire in un tombino, cosicché  le vostre idee possano andare in cielo. Siete ubriachi?”.

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Foto Julian Baumann

Nella versione del drammaturgo tedesco Kragler vivrà il conflitto tra il suo Essere-politico e il suo Essere-privato, ma alla fine quest’ultimo prevarrà e abbandonerà così la rivoluzione, mettendo da parte i suoi ideali, per stare vicino alla sua Anna.

Christopher Rüping, in pieno stile brechtiano, pone al suo spettatore due possibili finali. Uno nel quale il senso politico del protagonista trionfa sugli interessi personali. Un altro, invece, fedele alla versione originale. Non sarà certo lo spettatore a decidere quale fine sia più di suo gradimento, poiché bisogna pur sempre ricordare che non siamo sulla piattaforma Netflix, ma a teatro. Qui sarà il destino a decidere per il pubblico, dal momento che i due finali vengono alternati di sera in sera.

Nelle scene più sentimentali il pathos emotivo viene sempre bruscamente interrotto – come ad esempio  durante l’incontro tra Anna e Kragler – facendo diventare la scena assurda fino al ridicolo. Il disturbatore principale è l’attore Damian Rebgetz– australiano- dallo spiccato accento inglese quando parla in tedesco,  che ha il ruolo di super partes, di spettatore sul palco. Commenta, disturba, interrompe e spesso si cala in divertenti scene canore intonando: Someone like you di Adele, Billie Jean di Michael Jackson o When a man loves a woman di Percy Sledge. Addirittura fa fermare tutto per chiacchierare con qualcuno dietro le quinte. La rottura della quarta parete è assolutamente rispettata. A rafforzare questa rottura ci pensano gli attori salendo e scendendo di scena, sedendosi tra il pubblico e parlando con loro.

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Foto Julian Baumann

Il gruppo attoriale funziona molto bene insieme, poiché, nonostante recitino distanziati proprio per ricreare l’effetto di estraniamento voluto da Brecht, non si sforzano nel modulare in modo distaccato la voce. Sono i loro personaggi a pronunciare le parole, non loro.

Sono vestiti (Lene Schwind) tutti di nero, tranne nella scena finale in cui i toni e le luci cambiano. Prima di rivelare se Kragler e Anna torneranno insieme oppure Andreas si unirà alla rivoluzione, l’atmosfera cambia completamente, diventando quasi futuristica, un mondo borghese e passato è in via di scomparire e si fa largo ad una nuova realtà. Pilastri luminosi si calano dall’alto e gli attori sono vestiti tutti di bianco – tranne Kragler – con una sorta di tutina di plastica e parlano al microfono. Un fumo annebbia la scena. Fino a quel momento le luci (Christian Schweig) avevano avuto un ruolo di sottofondo, creando un atmosfera fredda e non accogliente. In questa scena gli attori parlano in coro e non più con il tono distaccato, bensì più sentito.  Qui dicono apparentemente frasi scollegate tra loro, ma che ritornano in realtà sempre sul tema della rivoluzione: “Non avete sentito i tamburi?”. Le luci in sala si accendono come a voler risvegliare il pubblico e a distaccarlo dal racconto e gli attori tornano nei loro ruoli. Rüping mette in scena quasi cento anni dopo, Tamburi nella notte, restando fedele al senso e all’estetica brechtiana, ma allo steso modo rendendo il testo moderno.

Sullo sfondo di un dramma familiare borghese la rivoluzione si fa sentire, si sentono le grida della gente in strada. Il gruppo di rivoluzionari sta invadendo il “quartiere dei giornali”. I Balicke parlano di quello che succede fuori le loro mura, anche se non sembra interessarli davvero. Su di loro erge per tutto lo spettacolo una luna rossa, simbolo della rivoluzione e forse dei sentimenti romantici a teatro, rifiutati da Brecht. Alla fine Kragler decide di abbandonare la rivoluzione, di lasciar stare i “tamburi” simbolo della rivolta, a favore di “un grande letto bianco” che sta per l’interesse del privato, che ha superato la lotta per gli ideali. Ma è giusto sacrificarsi per valori collettivi e morire per essi? A tal proposito Kragler dirà: “Io sono un porco e il porco se ne va a casa”. A quanto pare lui ha trovato la sua risposta.

Brecht faceva un teatro politico senza politicizzarlo. Molti studiosi si sono chiesti se un Brecht più maturo avrebbe scelto lo stesso finale scritto dal giovane Brecht. Nel suo diario scrive che il finale non poteva essere diversamente, una capitolazione del romanticismo e del senso politico. Brecht sceglie consapevolmente di non fare nessuna scelta politica sul palco. Non avrebbe senso. Ma in fondo anche non compiere una scelta politica è uno statement politico. Kragler se ne va con Anna, i tecnici arrivano sul palco e iniziano, non a smontarlo, ma a distruggerlo completamente, con un trita legna. La luna rossa viene staccata dal soffitto e distrutta in mille pezzi.

 

TAMBURI NELLA NOTTE
di Bertolt Brecht

regia Christopher Rüping
drammaturgia Katinka Deecke
scene Jonathan Mertz
costumi Lene Schwind
luci Christian Schweig
trucco e acconciature Aldo Signoretti
con  Hannes Hellmann Nils Kahnwald Christian Löber Wiebke Mollenhauer Wiebke Puls Damian Rebgetz
produzione Münchner Kammaspiele

Münchner Kammerspiele, Monaco di Baviera
20 Febbraio 2019