RENZO FRANCABANDERA | Alla fine, chi più chi meno, lo siamo tutti. Casi umani, voglio dire. Chi non lo è? Con le sue manie, con le sue abitudini, il sistema di ordini e disordini, il complesso di vite prima da single e poi da coppia, e quel giorno preciso in cui qualcuno ti lascia lo spazzolino da denti in bagno e quei pochi centimetri di spazio diventano, nella tua mente, un campo di calcio.
E i piccoli inciampi del vivere. Quello che ha preso 59 invece che 60 alla maturità. Chi vuole un genitore nuovo di pacca, chi una risposta dall’INPS a cui ha scritto diverse centinaia di reclami.

È un topos artistico. Ci avevano già provato, a raccontare questa normalità in scena. Diciamo che è evidentemente il motore concettuale della loro poetica quello di non affrontare il palcoscenico portando in luce storie di eroi e miti, ma persone normali, buffe, goffe, nelle quali alla fine ci si riconosce un po’ tutti. Qui e Ora Residenza Teatrale è ormai attiva da oltre un decennio e basata come residenza nella Bergamasca dove agisce assai intensamente come compagnia di produzione e residenza teatrale, lavorando su drammaturgie autografe, ma anche con una spiccata attenzione al contemporaneo. Opera in stretto contatto con il territorio e promuove progetti culturali legati al teatro in luoghi insoliti.

Ci avevano già provato, dicevamo, con Silvia Gribaudi e lo spassoso My Place, un ragionamento sul senso dell’abitare oggi.
Adesso Francesca Albanese, Silvia Baldini e Laura Valli, con il loro sodalizio artistico che è la compagnia Qui e Ora, utilizzano lo stesso modulo creativo, ovvero affidarsi come attrici a una regia esterna. E questa volta è il turno dei Fratelli Dalla Via (premio Kantor 2010, premio Scenario 2014).

unnamed.jpg

Cosa ne è venuto fuori? Un noir dell’incompiutezza in cui alla fine le tre protagoniste, donne della categoria “desperate”, invece di soccombere a se stesse trovano una forza in qualche modo unitaria.
A inizio spettacolo ritroviamo Sofia, Samuela e Asia in fila in uno strano ufficio pubblico mentre aspettano che venga chiamato il loro numero per reclamare, farsi sentire, rivendicare. Nei loro monologhi l’esito di esistenze che denunciano, in fondo, il/i loro fallimento/i.
Sofia Lavinia Uboldi (Francesca Albanese) chiede «il reintegro di un punto di maturità e relativo risarcimento per mancata qualità della vita». Un 59 al posto del meritato 60.
Samuela Viviana Baldisserotto (Silvia Baldini) invece chiede un «Certificato di attribuzione di un padre facente funzione», visto che quello biologico pare assente.
Asia Selvaggia Baldazzi (Laura Valli) ha già scritto all’istituto 743 reclami pur di ottenere «un certificato di morte con possibilità di nuovo inizio». Ci vuole un’altra vita, cantava Battiato.

Il tutto avviene in una sorta di buio da autocoscienza, da psicanalisi, tutt’altro che l’ambiente illuminato da luci al neon di questa fantomatica INPS. In realtà stanno affrontando un percorso di ricognizione identitaria, proposta in scena attraverso monologhi dal tratto autoironico, caustici riflessi di inadeguatezza al consesso sociale sfidante.

qui
È proprio in questo turbine di divertenti autoflagellazioni e nel piccolo vortice di monologhi via via sempre più brevi e a incastro che le tre arriveranno, nel finale, alla ricetta della rivoluzione da sala d’attesa, all’aggregante “uno più uno” che matura sull’immaginario linoleum algido delle stanze INPS.
Queste donne, che a inizio spettacolo nella penombra tagliata da qualche puntatore, si nascondono, incomunicabili l’una all’altra, dietro pupazzi giganti come personaggi di Shultz, in qualche modo capiscono che, superando le diffidenze reciproche, possono arrivare a mettere assieme le loro istanze e le loro solitudini per riscaldarsi con quel tepore umano che mitiga le asperità, smussa le loro rivendicazioni farneticanti in nome di un più realistico intento aggregativo.

Divertenti i tre caratteri, ben interpretati. La struttura drammaturgica che parte come sempre divertente e scoppiettante fra satira sociale e gag comica, perde un po’ di mordente nel seguito, quando invece servirebbe un po’ di ciccia per sostanziare l’arrivo al rivoluzionario.
Così, almeno dal punto di vista critico e strutturale, si aspetta, se non un cambio di registro, un qualche propulsore concettuale, che la regia profondamente non genera, lasciando il codice verbale progressivamente a corto di lievito nella dinamica scenica. Si può ancora lavorare per trovare alcuni ingredienti utili a un ulteriore slancio e vigore. Anche perché al pubblico comunque il tutto piace. C’è ironia, divertimento, accessibilità. Cose non secondarie per un lavoro come questo.
Le piccole rivoluzioni meglio iniziarle in allegria.

 

I WILL SURVIVE

con Francesca Albanese, Silvia Baldini, Laura Valli
testo Francesca Albanese, Silvia Baldini, Laura Valli
supervisione drammaturgica Diego Dalla Via
regia Marta Dalla Via
produzione Qui e Ora Residenza Teatrale
con il sostegno di Campo Teatrale

Campo Teatrale, Milano
12 febbraio 2019