La copertina di Teatro di Josep Maria Miró (Cue Press)

RENZO FRANCABANDERA e MATTEO BRIGHENTI | MB: Uno spettro si aggira per i nostri appartamenti. È lo spettro della disoccupazione. Prima, infesta i sogni di una vita agiata e sicura. Poi, svuota le case di cose e persone. Nessuno è al sicuro, da nessuna parte. Perché ormai solo ciò che facciamo definisce chi siamo. Nient’altro. Perso il lavoro, perdiamo tutto: l’amore, la famiglia, noi stessi.
Al debutto nazionale al Teatro di Rifredi di Firenze, Nerium Park di Josep Maria Miró, diretto da Mario Gelardi e prodotto dal Nuovo Teatro Sanità (ntS’), si mostra come l’attestato della vittoria incontrastata del mercato, sotto forma di thriller psicologico in dodici scene. La traduzione è di Angelo Savelli, che nel febbraio scorso ha messo in scena, sempre al Rifredi, Il principio di Archimede, il primo testo di Miró rappresentato in Italia.

RF: Se mi permetti aprirei una parentesi, perché questi giorni del debutto sono coincisi con la presenza in Italia del drammaturgo catalano, accompagnato da Xavier Albertì, direttore del Teatre Nacional de Catalunya, che ha favorito l’organizzazione, sabato 2 marzo, di un incontro di presentazione in collaborazione con l’Istituto Ramon Llull del bel volume, edito da Cue PressTeatro  di Josep Maria Miró, con quattro delle sue opere più significative, fra cui appunto Nerium Park, ma anche il notevole Il principio di Archimede, rappresentato da Savelli, come hai ricordato, e con un ottimo esito.

La presentazione del volume di Miró al Rifredi

Un allestimento potente per un testo intrigante e che rivela la capacità di Mirò di costruire un tempo scenico a incastro, fra pathos e psicologia. È una capacità che ritorna non solo nella messa in scena che ha visto la collaborazione fra Rifredi e ntS’, ma anche negli altri scritti di Mirò che, grazie alla pubblicazione, abbiamo potuto conoscere.
In particolare, Dimentichiamoci di essere turisti, di cui in apertura dell’incontro di sabato è stato proposto un apprezzato reading, affidato alle vibranti interpretazioni di Monica Bauco, Riccardo Naldini, Samuele Picchi, già protagonisti de Il principio di Archimede, e di una avvolgente Sandra Garuglieri. Un reading riuscito, a tratti commovente, per un’opera che intreccia la storia recente del continente latinoamericano a quella di alcune vite private, e che fa venire in mente alcuni rimandi logici a sceneggiature cinematografiche; in particolare il recente Roma di Alfonso Cuarón, in cui l’affresco storico si adagia, quasi sfocato, sullo sfondo di alcune vite emblematiche, seppur comuni, portate in primo piano.
Con questa operazione il Centro di Produzione Pupi e Fresedde-Teatro di Rifredi prosegue nella sua attività di promozione della nuova drammaturgia contemporanea, che ha favorito la diffusione di autori conosciutissimi all’estero, ma sconosciuti in Italia, come il francese Remi De Vos (di cui Savelli ha portato in scena, nella stagione scorsa, Alpenstock), o il franco-belga Eric Emmanuel Schmitt (L’intrusa con Lucia Poli). Ma torniamo a Nerium Park.

MB: Chiara Baffi e Alessandro Palladino sono Marta e Bruno, una giovane coppia che ha deciso di acquistare, con un mutuo trentennale, un prestigioso appartamento nel nuovo complesso residenziale di “Nerium Park”, immerso tra i sempreverdi oleandri (l’unica specie proprio del genere nerium). È un’oasi di felicità, all’apparenza: quella pianta è tanto profumata quanto tossica, alla stregua delle promesse economiche a tasso agevolato.
L’ambiente scenografato da Michele Lubrano Lavadera è un salotto composto da un divano, due lampade, una da terra, una dall’alto, una parete grigia alle spalle e due cubi davanti, agli angoli più estremi di questo universo di asettica funzionalità. Quei cubi, simili a scatole, sono il segno che l’orizzonte è, comunque, il trasloco, e che la loro convivenza sarà fondamentalmente precaria. In proscenio, al limite del quadrato, sta un’immaginaria finestra.

Nerium Park foto di Vincenzo Antonucci

L’attenzione di Marta e Bruno è rivolta sempre fuori, all’esterno, pur essendo ritratti unicamente fra le quattro mura. Così, incontri, fatti, situazioni, sono visibili nella misura delle conseguenze che producono in scena. Le cause, lontane, sono altrove. Non qui. Qui è notte, anche di giorno, non si fa mai chiaro. Il cielo è perennemente grigio.
Risiedono in uno stabile disabitato, fantasma, quanto il loro rapporto, unito soltanto da ciò che presto li dividerà: l’appartamento.
I mesi passano in quadri che si succedono, nel disegno luci di Alessandro Messina, tra freddi tagli blu e fucsia e i toni caldi, soffusi delle due lampade. Una successione, sottolineata dal commento musicale da “sala d’aspetto” di Tommy Grieco, che frastaglia il ritmo. E la suspense. Marta, difatti, ha visto qualcosa vicino alla piscina, forse una sagoma, oppure un’ombra, a cui Bruno dà un nome: Sergio. Un disoccupato, come lo è diventato lui. All’improvviso.
Le informazioni che muovono la vicenda compaiono quasi involontariamente, nel parlare d’altro, di tutto e niente. Nerium Park è una partita di sguardi e posizioni, che Miró ammanta di diabolica naturalezza. Gelardi prova ad assecondarla guidando gli attori attraverso il vuoto di una coppia che perde via via il contatto con l’altro e la (sua) realtà. Ognuno vede quello che vuole vedere, che siano paure o desideri: da te stesso non scappi nemmeno se metti le scarpette e corri fino al Poggio.

RF: Parliamo di una prova con il testo più chiuso fra quelli del drammaturgo, anche per via del numero ridotto di personaggi, solo due, rispetto alle più intricate e studiate drammaturgie polifoniche di cui abbiamo fatto cenno, alcune addirittura da kolossal. Ad esempio, quel Tempi Selvaggi prodotto dal Teatre Nacional de Catalunya, che prevedeva la realizzazione di quattro appartamenti con affaccio a vista su un interno con piscina. Uno spettacolo diretto proprio da Albertì, in cui il gioco a incastro della polifonia di Mirò ha trovato davvero un’esaltazione scenica notevolissima.

Tempi selvaggi - Josep Maria Miró © May Zircus
Tempi selvaggi foto di May Zircus

Nerium Park somiglia a una versione ridotta di quel complesso, anche nella drammaturgia, per taluni versi. Ritorna il tema della piscina, comune a diverse scritture di Mirò, come luogo attorno al quale si consumano vicende umane che di quella limpidezza azzurra non hanno la parvenza. Sembra quasi uno specchio inquietante di umanità oscure, confliggenti con la trasparenza del simbolo per eccellenza del benessere da edilizia residenziale.
Marta e Bruno paiono aver raggiunto il loro equilibrio di coppia a inizio spettacolo, ma presto lo perdono, e un segno scenico che a questo si riferisce dovrebbe essere la posizione inquietante delle lampade, oblique e non verticali. Elementi che cercano una dinamismo interno all’allestimento, che però paga, probabilmente, un qualche squilibrio nel testo, nella parte che volge alla chiusura e in cui la meccanica tipica di Mirò, che schiaccia menti ed eventi verso finali dal sapore morale controverso, pare meno stringente che in altre opere. Anche la regia, giocando quasi tutto sul luogo mentale asfissiante, chiude il respiro scenico sulla relazione fra i due.

MB: Il tono e la qualità della relazione non cambiano, sono fissi, al pari del contesto, dove pur gli interpreti intervengono a vista, spostando mobili, inserendo oggetti per nuovi scontri. I personaggi mancano di evoluzione, crescita, sviluppo. Baffi è e resta energica, determinata, esuberante; Palladino, invece, appare ogni volta intimorito, fuori posto, sotto esame oppure accusa. Il legame è tanto squilibrato che paiono due estranei ritrovatisi, in dolce e eppur avvelenata attesa, a condividere lo stesso sofà.
Ciò che non viene mai meno è la curiosità di sapere come va a finire. Scegliere cosa è vero e cosa è falso spetta alla sensibilità di ciascun spettatore. Il pubblico è la presenza realmente concreta di una caccia evanescente all’ignoto e alla capacità di reagire.

RF: Mi trovo concorde. I due personaggi vengono inquadrati, nella lettura registica, entro una banda emotiva che ha bisogno di ampliarsi. Rispetto a questo debutto, probabilmente una maggior riflessione sull’evoluzione psicologica dei due caratteri e una minor fissità relazionale e di spazio scenico, non può che aiutare l’operazione a sviluppare intenzioni di maggior respiro, giocando su toni meno alti e favorendo quel bisbiglio nero che, invece, nelle opere di Mirò serpeggia e lascia interdetti.

 

NERIUM PARK

di Josep Maria Miró
traduzione Angelo Savelli
con Chiara Baffi, Alessandro Palladino
musiche Tommy Grieco
costumi Alessandra Gaudioso
scenografia Michele Lubrano Lavadera
luci Alessandro Messina
aiuto regia Davide Meraviglia
regia Mario Gelardi
produzione Nuovo Teatro Sanità

Teatro di Rifredi, Firenze
1-2 marzo 2019

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