LAURA BEVIONE | Quante volte al telegiornale abbiamo visto le immagini dei tragici sbarchi di migranti a Lampedusa ovvero ci siamo commossi sfogliando sulle riviste i reportage – spesso un po’ troppo patinati in realtà – dall’isola siciliana. Volti e gesti che hanno catturato la nostra attenzione per qualche minuto, senza interrogarci davvero nel profondo, non tanto per insensibilità o indifferenza, quanto per quella trascuratezza per ciò che non richiede immediata applicazione – il lavoro, la cura della casa e dei familiari, il cane da portare fuori – che sovente sfoca la nostra consapevolezza sulla realtà in cui ci ritroviamo a vivere.

Ci costringe, invece, a fermarci e a ricalibrare il nostro sguardo il monologo che Davide Enia – drammaturgo, attore, regista palermitano – ha tratto dal suo romanzo Appunti per un naufragio, una sorta di riflessione ad alta voce su quanto stava avvenendo nella sua esistenza: il soggiorno a Lampedusa e l’impatto con la tragedia dei viaggi in mare, il rapporto con il padre – che lo accompagna e documenta con la sua macchina fotografia gli sbarchi cui i due assistono -, ma pure la malattia esiziale dello zio e la difficoltà a rintracciare il mezzo giusto per raccontare ciò che aveva testimoniato.

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Foto di Futura Tittaferrante

Davide è con il padre a Lampedusa, ospite nel bed&breakfast di una coppia di amici: i quattro cenano sereni e, all’improvviso, la notizia dell’avvicinarsi di una nave stracarica di migranti. La prima reazione è rimanere a casa, sbarrare le porte e, lasciando fuori quanto sta accadendo, illudersi che non sia reale, un incubo che si è riusciti a scacciare. Ma l’istinto di sopravvivenza a volte può essere vinto da un’altra, atavica, pulsione, ossia quella di salvare i propri simili, garantendo così la sopravvivenza dell’umanità.

Ecco, allora, che i quattro abbandonano il tonno con patate e olive e corrono verso la spiaggia a fare quanto, non tanto la loro ragione, quanto un salvifico istinto primordiale suggerisce loro: l’amica Paola soccorre un migrante – anche se poi non ricorderà più di averlo fatto perché, benevola, la nostra memoria tende a non trattenere i ricordi traumatici – il padre di Davide scatta fotografie…

Un’esperienza che segna inevitabilmente Davide, che vuole saperne di più e così guarda innumerevoli video che documentano le impensabili traversate – nel Mediterraneo, nell’Egeo – di uomini e donne alla ricerca di un destino migliore e accolti da soccorritori altrettanto disperatamente coraggiosi.

Un percorso di conoscenza che l’autore/attore condivide con lo zio e con la compagna, ai quali non riesce a nascondere il senso di inadeguatezza, il mutismo – lo stesso che caratterizzava suo padre e che le tragedie cui l’uomo ha assistito hanno magicamente sciolto – e quell’impotenza che troppo spesso diventa alibi per non fare nulla.
Davide sa che quella notte trascorsa su una spiaggia di Lampedusa significa qualcosa, lo obbliga a dire e fare qualcosa di concreto – non solo la marmellata di arance che continua a preparare mentre angosciosamente si interroga sulla propria esistenza che sa non potrà più tornare a essere quella precedente.

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Foto di Futura Tittaferrante

Nasce così il romanzo – la prima bozza viene letta dallo zio, bloccato a letto dall’aggravarsi del cancro – e poi lo spettacolo, che vede in scena l’artista palermitano accompagnato dal musicista Giulio Barocchieri.

Enia racconta quanto gli è accaduto con nuda schiettezza, condividendo con il pubblico – assorto e commosso – dubbi e debolezze e accompagnando la parola con pochi, significativi gesti che esplicitano la disperazione, il dolore, l’inquietudine, l’incertezza senza mai, però, tramutarsi in vuota retorica. Anzi, c’è molta sentita concretezza in questo spettacolo che non ricerca virtuosismi né espedienti arguti bensì dichiara con semplicità la propria impellente urgenza.
L’artista palermitano mette a nudo la propria anima, non indietreggiando allorché si tratta di rivelare l’abisso che si è aperto nella sua coscienza, forte della convinzione che sia quello l’unico strumento non soltanto per placare la propria inquietudine ma altresì per attribuire alla propria esperienza una dimensione universale, capace di parlare agli spettatori e smuoverne l’indifferenza.
Senza vanità né toni predicatori però, ma con la forza della sincerità e della verità, invitandoci a non ignorare l’abisso che è in ciascuno di noi e a pacificarci con esso. Allora avremo anche la determinazione per indignarci non superficialmente di fronte alle immagini degli sbarchi di quei migranti che sono lo specchio non deformante in cui si riflettono le nostre confortevoli vite.

 

L’ABISSO

di e con Davide Enia
tratto da Appunti per un naufragio (Sellerio Editore)
musiche composte ed eseguite da Giulio Barocchieri
produzione Accademia Perduta, Romagna Teatri, Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Teatro Biondo di Palermo; in collaborazione con Festival internazionale di narrazione di Arzo

Teatro Gobetti, Torino
5 marzo 2019