LAURA BEVIONE e RENZO FRANCABANDERA | LB: Chi di noi non ha mai visto una puntata di C.S.I.? Quanti figli, nipoti, allievi dichiarano con determinazione di volere diventare criminologi? E, ancora, chi non ha mai letto almeno uno dei gialli storici di Dan Brown? Strizzano l’occhio a tutti questi appassionati del mistero e dei complotti Marco Ivaldi, Chiara Cardea e Silvia Mercuriati con il loro Enigma Caravaggio, una vera e propria indagine, accuratamente documentata, sulla morte del celebre pittore, tuttora avvolta dall’incertezza.

I nostri, però, sono troppo intelligenti per assecondare pedestremente una vera e propria moda e, al contrario, la cavalcano soltanto apparentemente, allo scopo di costringere gli spettatori, da una parte, a mettere alla prova la propria consapevolezza del presente e, dall’altra, a riflettere su fede e razionalità, oggettiva presenza e soggettiva astrattezza.

RF: Io onestamente non ho mai visto una puntata di C.S.I. Ma in compenso sono andato a vedere una replica di Enigma Caravaggio in una surreale e rinfrescante replica di fine gennaio in provincia di Ivrea con una platea riscaldata con la stufetta. Se Caravaggio ha fatto una brutta fine, pure noi abbiamo un po’ sofferto, ma le indicazioni del Maestro a distanza di quattrocento anni ancora vivono. L’amore per l’arte oltre ogni barriera. Tornando seri, diciamo invece che questa serie di sempre più diffuse e strutturate costruzioni per il teatro appartiene alla categoria dell’infotainment, sotto la cui insegna vanno ascritte le creazioni volte a una dimensione ibrida fra pratica scenica e divulgazione scientifica. Un maestro di questa pratica, anche per la sua memoria sconfinata e le sue conoscenze ampie, è ad esempio Luca Scarlini, che a Caravaggio e al suo periodo siciliano ha dedicato una delle sue dottissime lezioni/narrazioni. Ma anche Augias da anni istruisce processi su questo o quell’assassinio di età classica. Insomma è un dispositivo che il pubblico gradisce e che, se fatto con intelligenza, può anche servire a indagare questioni non marginali del rapporto di suggestione delle collettività, come questo spettacolo in diverse maniere porta alla luce.

LB: Le due interpreti – con i nomi di Anna e Maddalena, due delle amanti di Caravaggio di cui però, argutamente, si scambiano i cognomi – entrano in una scena che è studio/laboratorio, con due originali strutture – scrivania/cassettiera/podio da oratore/cassone –  ricoperte da quadernini e cartelline, da cui vengono estratti fogli e immagini proiettati su una sorta di pala d’altare priva di dipinti.

Le due severe ricercatrici-detective si rivolgono direttamente al pubblico, attivamente coinvolto in un vero e proprio corso accelerato di introduzione all’arte dell’indagine che ha come scopo privilegiato non tanto quello di verificare quanto gli spettatori abbiano appreso dalla visione delle serie tv crime, quanto ricordare loro quanto sia importante osservare quanto avviene attorno a noi – di che colore sono i capelli del ragazzo invitato a interpretare la parte del “morto/cadavere” e che ora  è diligentemente disteso sul palcoscenico? -; quanto sottolineare la vitali necessità di essere ognora presenti a se stessi, consapevoli di dove si è e di che cosa sta accadendo – quasi grotowskiana awareness

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Foto di Stefano Kewan Lee

Un prologo che si conclude con la scelta di alcuni “avvocati del diavolo”, incaricati di seguire con speciale attenzione l’istruttoria per mezzo della quale le due interpreti potranno formulare la propria teoria riguardo la fine di Caravaggio.

RF: Occorre porre in debita luce come, in questa prima parte della costruzione scenica, continuino gli esperimenti già da anni avviati dalla compagnia Ivaldi/Mercuriati sulle suggestioni della mente rispetto alla dimensione del vero e del verosimile, con indagini sul campo, di cui in fondo gli spettacoli sono parte, sulla condizionabilità della massa e sulla percezione del vero e falso. Le due donne attrici, avrai notato, si rivolgono al pubblico con un fare a tratti militaresco e dittatoriale, creando una inspiegabile eppure accolta soggezione. Alla fine anche quando si sa che si è nella finzione, si accettano modalità e comportamenti dal piglio quantomeno equivoco. Ed è un meccanismo che osserviamo anche a livello macro con le modalità con cui la politica pone in essere comportamenti e dinamiche comunicative sempre più aggressive. Sarebbe utile una rilettura de La nazionalizzazione delle masse, libro profetico di G. L. Mosse. Questo per approfondire, ma ovviamente lo spettacolo non arriva a questioni socioantropologiche in forma esplicita. E ad un certo punto l’esperimento si annacqua in una dinamica creativa più inclusiva.

LB: Dopo questo esordio, infatti, lo spettacolo vira direzione e alla severa – ma in fondo bonaria – interazione con il pubblico si sostituisce una serrata e dettagliata ricostruzione degli eventi che punteggiarono gli ultimi anni della vita dell’irrequieto Michelangelo Merisi, il pittore che segnò il passaggio dal fulgente Rinascimento all’inquieto Barocco.

Cardea e Mercuriati rievocano provocazioni e malefatte di Caravaggio, citano amanti e protettori ma, soprattutto, nemici, esplicitamente dichiarati ovvero artatamente celati. Le interpreti ci mostrano dettagli di dipinti che rivelano l’esplicita volontà dell’artista di denunciare la corruzione della chiesa romana – prostitute mantenute da eminenti cardinali ritratte nelle vesti della Vergine – ma anche di omaggiare suoi illustri colleghi – il Leonardo dell’Ultima cena, Annibale Carracci, Raffaello.

RF: È la divertente parte dello spettacolo in cui alcuni prescelti fra il pubblico vengono chiamati a una sorta di gioco di conoscenza della storia dell’arte. Pur davanti ad opere di una certa celebrità, come Il mangiatore di fagioli di Annibale Carracci, al più viene riconosciuta l’icona, ma gli autori sono misconosciuti. Artisti colossali che hanno fatto la storia dell’arte ma che non fanno parte del patrimonio di conoscenze della comunità nazionale. Anche questa è una delle considerazioni che lo spettacolo lascia a chi lo fruisce fino al finale con illusione ottica. Viviamo in un universo di false credenze ma anche di scarse conoscenze. Più preparato invece durante la mia replica è stato l’uditorio sulle vicende di cronaca nera legate alle vita del pittore…

LB: Calandosi a tratti nell’atmosfera cupa dell’esordio del XVII secolo, avvolte nell’oscurità e ricorrendo alla distorsione della voce, le due attrici tratteggiano il profilo di un artista niente affatto innocente né tanto meno tormentato da scrupoli, piuttosto un ribelle, un maudit seicentesco che scelse la libertà – di azione e di pensiero – quale unico mantello con il quale avvolgere la propria esistenza. Libertà di sedurre un paggio o di prediligere una meretrice quale modella per un soggetto sacro ma, soprattutto, di dichiarare apertamente il proprio pensiero: denunciare ipocrisie e mettere in discussione la stessa fede. Caravaggio appare una sorta di Galileo dell’arte: egli, però, avrebbe sicuramente rifiutato l’abiura e difeso fino alla morte i propri dubbi su verità ancestrali oramai prive di fondamento. E probabilmente fu proprio a causa di questa sua testarda coerenza, ci dicono Cardea e Mercuriati, che l’artista incontrò la morte e l’indegna sepoltura in una fossa comune.

La prova ultima risiederebbe nella Vocazione di San Matteo, la celebre tela di Caravaggio, in cui c’è tutto – anche le briciole di pane sotto il tavolo – anche se il buio apparentemente le nasconde. D’altronde cos’è davvero reale? Ciò che il nostro occhio vede chiaramente – o, meglio, crede di vedere – o ciò che è, anche se ancora avvolto dal buio, quest’ultimo generato dal sonno della ragione o dalla conveniente fiducia nel passato?

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Foto di Stefano Kewan Lee

Un quesito con cui si conclude lo spettacolo di Ivaldi-Cardea-Mercuriati, che ha il merito di approcciare un personaggio assai attraente scansando la superficialità che caratterizza certe operazioni pseudo-storiche – e, anzi, implicitamente mettendo in guardia da esse gli spettatori, in particolare nella prima parte del lavoro – e invitando, invece, all’approfondimento e all’attenzione al dettaglio. E certo facendo venire voglia di andare a Roma, alla chiesa di San Luigi dei Francesi, a contemplare con maggiore consapevolezza quel capolavoro che è appunto la Vocazione di San Matteo

RF: E magari anche di leggere qualcosa sul povero Carracci… Quello della famosa uscita dall’altro lato del sottopasso della stazione di Bologna. Uscita Via de’ Carracci. È lui. Con tutta la sua famiglia di pittori. Sapevatelo!

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ENIGMA CARAVAGGIO

drammaturgia e regia Marco Ivaldi
scena e visual concept Eleonora Diana
costumi Armuar Torino
fonica illuminotecnica Loris Spanu
interpreti Chiara Cardea, Silvia Mercuriati
produzione Progetto Zoran

Officine Caos, Torino
8 marzo 2019