MARGHERITA SCALISE | «Ho i nervi a pezzi stasera. Sì, a pezzi. Resta con me.Parlami. Perché non parli mai? Parla. A che stai pensando? Pensando a cosa? A cosa? Non lo so mai a cosa stai pensando. Pensa».

Con queste parole, pronunciate con vocina infantile a uno scheletro giocattolo, Annig Raimondi invita lo spettatore ad inoltrarsi con lei in La Terra Desolata, in scena al PACTA . dei Teatri ex Salone di Via Ulisse Dini. Con questa stagione, lo spettacolo compie ventidue anni di vita, portandosi sulle spalle una storia di adattamenti, spostamenti, rivoluzioni spaziali e comprensioni sempre più profonde dei significati del testo. Lo spettacolo entra nel Progetto DonneTeatroDiritti.

Annig Raimondi, regista e unica attrice in scena, ripropone l’intero testo di The Waste Land di Thomas Stearns Eliot nella traduzione di Roberto Sanesi (peraltro l’unica avallata dallo stesso Eliot, e che potete trovare a questo link). Al corpo del poemetto sono state aggiunte alcune delle ricche note dello stesso autore, come a fare da magma sotterraneo all’intero spettacolo (qui il testo originale con commenti ai versi), degli inserti audio con frammenti dai Quattro Quartetti di Eliot e la Favola del Fuoco degli Upanishad.

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Thomas Stearns Eliot, insieme a Ezra Pound, Virginia Woolf e altri (i cosiddetti “modernisti”), introduce nella poesia, sulla scia dell’esperienza simbolista, il concetto di correlativo oggettivo, ovvero la proposta di un’immagine che crei, per correlazione, un’emozione nel lettore – lo stesso farà in Italia Eugenio Montale in Ossi di Seppia. Ed è proprio a partire da questa particolare figura che Annig Raimondi coglie la sfida teatrale di materializzare in scena le immagine poetiche.

The Waste Land raccoglie citazioni provenienti dalle più disparate epoche e culture: fluidamente, per associazioni libere, vengono citati Ovidio, gli Upanishad, Baudelaire, Shakespeare e molti altri. Il poemetto è diviso in cinque sezioni, esplorando i più svariati registri linguistici; si succedono versi lirici e sillabe scomposte, canzonette popolari e mantra orientali. Il monologo di Annig Raimondi rimane in ascolto con queste peculiarità del poemetto: il passaggio tra un frammento e l’altro è di carattere associativo e mai narrativo, saltando tra registri e situazioni diverse.

L’attrice si trasforma nei molteplici personaggi richiamati dal testo, passando da una sedicente tarologa (la Madame Sosostris di Eliot) a una sguaiata cameriera che parla in friulano; dal guerriero titanico al marinaio fenicio affogato… Giocando continuamente con la plasticità del proprio corpo, Annig Raimondi crea attorno a sé ambienti  e spazi diversi, proprio come in The Waste Land Eliot salta da uno sguardo a un altro. I punti di vista sono costantemente molteplici: così come Eliot riversò nel componimento tutte le prospettive che provenivano dai suoi studi e dai suoi viaggi, così lo spettatore di La Terra Desolata si ritrova a dover cambiare ogni volta la propria prospettiva culturale per comprendere lo svolgersi dell’azione.

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Annig Raimondi nei panni di Tiresia in Terra Desolata

La figura di Tiresia, centrale nel poemetto, viene qui trasformata in un presentatore di cabaret; oltre all’efficace resa scenica del “guardone” che commenta il rapporto sessuale tra una dattilografa e un agente immobiliare, la scelta mette in evidenza la presa di posizione rispetto alle vicende umane da parte di Tiresia (And I Tiresias have foresuffered all / Enacted on this same divan or bed).

La presa di distanza dell’autore rispetto al contenuto del testo è una delle dinamiche considerate da Peter Szondi nel suo Teoria del dramma moderno come antesignana del dramma epico: dalla fine dell‘800 infatti nella scrittura teatrale si iniziano a intravedere alcune caratteristiche che contamineranno il dramma assoluto fino a renderlo quello che oggi viene definito teatro epico brechtiano, e da cui oggi è quasi impossibile prescindere. Nella poesia modernista queste caratteristiche sono già forti e chiare e legittimano alla perfezione una sua realizzazione scenica, a differenza di altri testi di matrice poetica che darebbero poco materiale per una pratica teatrale.

Nasce spontanea una riflessione sulla contemporaneità di questo testo del 1922: scritto dopo la Prima Guerra Mondiale, quando il Regno Unito sta ancora contando i propri morti (la prima sezione di Waste Land si intitola The Burial of the Dead) e inizia a inventare le prime politiche di welfare; ancora non si può immaginare la dimensione di globalizzazione che si aprirà definitivamente con la Seconda Guerra Mondiale. Eppure, le sensazioni di angoscia, di alienazione e di frammentazione dell’uomo pervadono ancora la nostra esperienza contemporanea. Perché, a cento anni di distanza, sentiamo così vicina a noi l’esperienza di un autore vivente in un contesto post-bellico? Forse la risposta sta nella visione di circolarità storica ripresa dallo stesso Eliot nei Quattro Quartetti: «in my beginning is my end / in my end is my beginning» (East Coker).

 

LA TERRA DESOLATA (The Waste Land)
di Thomas Stearns Eliot

traduzione Roberto Sanesi
regia e con Annig Raimondi
musiche Maurizio Pisati, La Cruz, Antonio Scarano, Richard Wagner
costumi Nir Lagziel
scene e luci Fulvio Michelazzi
produzione PACTA . dei Teatri