ALBERTO CORBA | Il personaggio di Punisher nasce nei fumetti nel 1974 come antieroe in un’avventura di Spiderman. Frank Castle è una macchina da guerra forgiata nel fuoco di mille battaglie, ma è anche un tenerone con figlioletto, figlioletta e mogliettina che cucina cookies e torte di mele.
Quando la famiglia viene massacrata, resta solo la macchina da guerra assetata di giustizia.095_crime_111_unit_03137r-e1505930095217
Al cinema sono arrivati tre adattamenti, quello del 2008 è passato allegramente sotto silenzio, cancellando le discrete impressioni della pellicola del 2004 con Thomas Jane e John Travolta. Esiste poi una versione con Dolf Lundgren (1989) che può e deve essere dimenticata.
Nessuna delle tre pellicole ha fatto esattamente esplodere i botteghini, perché in video, Punisher diventa facilmente una versione metropolitana di Rambo… e sa di già visto.

Nell’ultimo franchise Marvel distribuito su Netflix, Punisher compare per la prima volta nel 2016 come side story di Daredevil. Jon Bernthal ha come dotazione di serie una faccia che sembra già presa a pugni: il suo Punisher è violento, cinico e cattivo, riesce addirittura a stemperare un pochino l’appiccicoso rapporto tra Daredevil ed Elektra.

Il suo tormento è vero, onesto. Funziona anche l’ottimo contraltare con Karen Page (Debra Ann Woll). Comprendiamo la sua inflessibilità, i più sensibili si coprono gli occhi di fronte ai suoi massacri, ma tutti ne vogliono ancora.

Nel 2017 Netflix gli regala uno show tutto suo. Il trailer ci fa impazzire perché è fatto per noi nerd, noi non-più-giovani in sovrappeso, che avevamo vent’anni negli anni ’90: due minuti in cui si promette una storia con i controciufoli e in sottofondo una versione un po’ distorta di One dei Metallica.

Nella prima stagione in solitaria, Frank Castle è dipinto come uno che ha preso più colpi in testa che sul giubbotto antiproiettile…
Dimenticando che la sua origin story l’abbiamo già capita in Daredevil, gli autori ci mettono davanti alla sua depressione: la caduta e rinascita. Peccato che Punisher depresso sia inguardabile.
Il povero Castle passa più tempo a spaccare pietre che teste. E quando lo fa dà anche un po’ fastidio perché non ha un vero motivo per ammazzare la gente. Anzi, quando veramente si trova di fronte a chi ne merita tante, le prende di santa ragione: alla fine ovviamente la ha vinta lui, ma la “punizione” è abbastanza insulsa. Per lo più la serie è una delusione.

È arrivata a gennaio la seconda stagione. Chi scrive si è accinto alla prima puntata con la disperazione di chi sa che la Disney ha annunciato il prossimo lancio del proprio servizio di streaming: Netflix, pertanto, cancellerà tutte le serie Marvel…

Prima puntata, premo play e nemmeno me ne accorgo e sono a metà della terza. Ok terza puntata: no sono alla sesta… Quante ne mancano? Solo altre sette!?! No! Altre tre perché sono già alla decima …

Cos’è successo a quel tizio capace solo di urlare con voce roca e ammazzare gente fuori contesto?… È diventato Punisher! ha recuperato la sua violenza, che non è gratuita; si è ricordato di avere un cuore e si è preso una cotta per Alexa Davalos (The man in the high castle – vedi a volte nomen omen) si è affezionato a una ragazza sbandata che ha l’età che avrebbe sua figlia se fosse viva, Amy… che ha gli occhi splendidi, malinconici e giganteschi di Giorgia Whigham (13 reasons why e The Orville).

Frank non è realmente cambiato così tanto rispetto alla prima stagione: urla e spara, ha sempre quella faccia di gommapane e quella voce da faringite mal curata. Ma ha cura degli altri e non è tutto solo centrato su se stesso: come sempre i mostri sono tanto più belli quanto più sono umani.

La seconda stagione di Punisher è la vera origin story del personaggio: finalmente vediamo nascere quel codice che lo rende completo, che aggiunge un significato ai suoi gesti terribili.

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Ora che abbiamo visto il codice, finalmente conosciamo Punisher. E non ci serve una terza stagione per immaginarlo là fuori a seminare tempesta. Speriamo che l’immancabile reboot della Disney non rovini tutto.