LAURA BEVIONE | Il Progetto internazionale del Teatro Stabile di Torino ci permette di conoscere il lavoro di una giovane – trentasette anni – ma già affermata regista ungherese, Kriszta Székely, associata da tempo al giustamente rinomato Katona József Theater di Budapest – e questo dato ci dovrebbe far riflettere sul ricambio generazionale così arduo nei teatri nostrani…
Székely, un diploma come ballerina classica e un master in regia presso l’università di teatro e cinema di Budapest, si dedica in particolar modo alla rivisitazione in chiave contemporanea di testi classici, collaborando nella maggior parte dei casi con il drammaturgo Ármin Szabó-Székely. Proprio come in questa rilettura di Casa di bambola di Ibsen, significativamente ribattezzato Nora-Natale in casa Helmer, così da puntualizzare immediatamente il focus, insistentemente centrato sulla protagonista, e il particolare contesto: le festività natalizie, occasione di unione familiare che, assai di frequente, è detonatore di risentimenti e fraintendimenti che nella quotidianità rimangono inespressi.
Gli Helmer sono benestanti e la recente promozione del capo-famiglia garantirà una rasserenante sicurezza economica: quale modo migliore di festeggiare che acquistare un gigantesco abete di Natale, da decorare con mille luci, e lussuosi regali? Certo tutti quegli scontrini sembrano irritare la petulante formichina Torvald Helmer, ma sua moglie, la cicala Nora, è talmente affascinante…
La bionda ed elegante padrona di casa – abito attillato e tacchi vertiginosi – pare riuscire a ottenere tutto ciò che vuole dal marito, che acconsente pure ad assumere, nella banca di cui è stato appena nominato direttore, l’amica Kristine, rimasta da poco vedova.
Nora – interpretata dalla straordinaria Eszter Ónodi, raffinata ed eclettica, capace di rendere la contraddittoria complessità del suo personaggio con mille dettagli, gesti appena accennati ed esplicita mimica facciale – è una donna apparentemente realizzata: nei suoi quindici anni di matrimonio ha avuto tre splendidi figli – che a tratti scorrazzano allegri per il palcoscenico – e un marito che le ha regalato agio economico e sicurezza affettiva. Un’ombra che oscura tanto luccichio tuttavia c’è: un prestito e la falsificazione di un contratto taciuti al marito che, in quel frangente del passato della coppia, attraversava un momento di difficoltà.
Ora che tutto pare sistemato, ora che nulla sembrerebbe poter turbare l’idillio di casa Helmer, quell’ombra ritorna nelle vesti di Krogstad che, con il suo ricatto, mette indirettamente in discussione l’esistenza di Nora, regalandole la consapevolezza dell’artificiosità della favola in cui credeva di vivere.
E quanto le fondamenta – affettive in primo luogo – di casa Helmer fossero fragili è esplicitato dalla regista fin dal fulmineo esordio: in proscenio i protagonisti – Nora ovviamente al centro – intessono dialoghi rapidi e intrecciati, coagulando luoghi e tempi differenti in un’unica bolla spazio-temporale, finalizzata a condensare temi e umori dello spettacolo.
Tutto avviene nell’ospitale salotto degli Helmer, con camino e testa di cervo, delimitato su un lato da vetrate che consentono di tramutare i personaggi, che attraverso di esse entrano ed escono, in creature ectoplasmatiche, fantasmi che circondano l’unica vera realtà che la regia vuole narrare, ossia lo strapparsi del manto dorato nel quale Nora e Torvald hanno avvolto il proprio matrimonio.
Sull’altro lato del palco, in parte celati da alcuni alberi che rimandano alla Norvegia di Ibsen, due musicisti – indossano maglioni con decori nordici a tema – che chiosano e accompagnano l’azione, così nel tragicamente vitale assolo di Nora in Somebody to Love.
Székely semina nello spettacolo indizi più o meno evidenti dell’infelicità di Nora: l’ardore con cui la donna sottolinea la propria fortuna, il malcelato fastidio con cui spazzola i lunghi capelli alla figlia, l’affetto troppo passionale con cui si avvicina all’amico prossimo alla morte, la bottiglia di Baileys nascosta al marito che teme che lei ingrassi… E poi certi abortiti gesti di stizza, un sopracciglio alzato, un eccesso di entusiasmo.
E, prima dello svelamento finale e della conseguente decisione di Nora di abbandonare il marito, la scelta di interpretare la coppia della famiglia Addams nelle festa mascherata organizzata dal ricco e potente vicino e gli aggressivi approcci sessuali di Torvald.
La regia è assai abile nel suggerire e nel sottintendere così come nell’escogitare soluzione visive apparentemente minime eppure pregnanti: così, nel finale, intuiamo la conquistata consapevolezza di sé da parte di Nora dal suo abbigliamento che, dagli abiti sexy, ha virato verso il casual.
Un’inventività non estemporanea né tanto meno compiaciuta bensì al servizio della narrazione e dell’interpretazione dell’opera elaborata dalla regista, decisa a denunciare la sopravvivenza di ataviche convinzioni, quale quella che una donna si possa realizzare soltanto nel matrimonio e, dunque, debba fare di tutto – in primo luogo rinunciare alla propria individualità – per garantirne il successo, finché morte non ci separi…
Un’interpretazione che risulta efficacemente incarnata nella recitazione, nella scenografia e, in generale, nella direzione dello spettacolo e che quindi non richiede quell’ulteriore e un po’ didascalica ripetizione nel dialogo finale fra Torvald e Nora: non è necessario che lei ci spieghi cosa l’ha irritata nel comportamento di lui, al pubblico era apparso subito chiaro. Un eccesso di didascalismo che, tuttavia, non mina la compattezza e l’energia di uno spettacolo che conferma l’alto valore del Katona.
NORA – NATALE IN CASA HELMER
di Henrik Ibsen
regia Kriszta Székely
drammaturgia Ármin Szabó-Székely
scene Juli Balázs
costumi Fruzsina Nagy
luci József Petõ
musiche Flóra Matisz
interpreti Eszter Ónodi, Ernõ Fekete, Tamás Keresztes, Réka Pelsõczy, Gergely Kocsis, Koppány Varga, Zorka Varga, Emil Engárd, András Himmler, Álmos Szalai
produzione Katona József Színház, Budapest
Teatro Carignano, Torino
14 marzo 2019