RENZO FRANCABANDERA | Parliamo di due cose, viste una dietro l’altra: Menelao, la messa in scena di Teatrino Giullare del testo di Davide Carnevali, e il one-man-show del maestro burattinaio cinese Yeung Faï. Il mio rapporto con Carnevali e Faï è nato circa dieci anni fa in giro per festival in Europa: Carnevali allora giovane drammaturgo ospite del Theatertreffen a Berlino, Faï con un suo spettacolo ad Avignon Off. Mi ricordo che in quello spettacolo, per mostrare al pubblico in che modo l’arte del burattinaio gli aveva modificato il corpo, faceva vedere gli esercizi sull’allargamento delle dita per tenere i burattini, ed era impressionante il modo in cui, allargando il suo dito indice e quello medio riuscisse quasi a fare una “spaccata”. Impressionava.
Carnevali per fortuna era più tranquillo.

E quest’anno li ho ritrovati in programma in quello che è uno dei maggiori contenitori di divulgazione di prospettive culturali in Italia sullo spettacolo dal vivo: attraversare VIE festival di ERT significa confrontarsi con il ruolo profondo e rappresentativo che le arti sceniche hanno rispetto alla società e al sistema cultura in generale, in Italia e non solo, abbinato in questa edizione a un’altra serie di occasioni di conoscenza imperdibili, quelli dentro Atlas of Transitions Biennale – HOME, il programma di eventi del progetto europeo Atlas of Transitions promosso a Bologna da Emilia Romagna Teatro Fondazione e realizzato per la cura di Piersandra Di Matteo, una serie di pensieri e riflessioni sul mondo in evoluzione, in cui sono “gli altri”, “loro”, a trasmetterci elementi per conoscere e capire. Atlas ha ospitato artiste provenienti da Costa d’Avorio, Mali, Estonia, Ruanda, Siria, Palestina, Cuba, instaurando una relazione privilegiata con le comunità straniere residenti a Bologna, convocando la cittadinanza su progetti e azioni anche con fasce d’età di solito poco seguite, come gli adolescenti, e dando spazio alle ricerche artistiche delle seconde generazioni. Interessantissimo e da seguire con sguardo ampio.
L’edizione di VIE 2019, dopo la pausa dell’anno scorso, si è peraltro spostata in una collocazione temporale nuova ed interessante, non sovrapposta ad altri eventi, e capace di catalizzare un’attenzione di pubblico e critica straordinaria.

Arriviamo in Emilia, dopo il grande successo della compagnia dell’uruguaiano Blanco, per vedere due lavori assai diversi fra loro ma capaci di raccontare le grandi potenzialità espressive del teatro.

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Foto Luca Del Pia

Iniziamo quindi da Menelao: lo spettacolo nasce dalla collaborazioni fra due nuclei creativi assai interessanti, quello drammaturgico di Davide Carnevali e quello scenico di Teatrino Giullare. La vicinanza concettuale fra le loro densità sviluppa un’idea spettacolare veramente suggestiva, che ruota attorno a una figura antica ma modernissima nella declinazione che ne dà Carnevali: il fratello di Agamennone prototipo dell’insulso, il fratello del vincitore, l’incapace di conquistare e riconquistare la moglie, quello che rifiuta il combattimento con l’eroe avversario per paura di morire, schiacciato dall’aver tutto ma dal non essersi conquistato nulla. E dunque di non aver merito alcuno. Questa dimensione da essere inferiore viene sublimata in un’idea scenica che lo vede per quasi tutto il tempo in una sorta di sottoscala, teca mortuaria sotto un ideale altare sacrificale.
L’ambientazione, infatti, mescola suggestioni rituali dell’antichità classica a riverberi museali. Sullo sfondo una serie di statue di divinità greche, al centro delle quali campeggia quella di Zeus, dalla cui testa, a inizio spettacolo nascerà Atena, dea della Ragione. Il registro testuale è quello arguto, sagace, l’autoironia dell’uomo occidentale in piena crisi di identità e di valori. Qualcosa in stile Woody Allen, per rendere l’idea.
Parla Menelao ma in realtà parla l’uomo contemporaneo, il cugino impiegato di Zygmunt Bauman.

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Foto Luca Del Pia

Le statue sul fondo, così come le maschere, appartengono da sempre al codice e alla ricerca di Teatrino Giullare. E alcune di queste si animano, prendono vita: dagli oggetti alle statue, ai libri, in un continuo soffio vitale capace di restituire profondità rituale alla sapienza del teatro di figura. Lo schema teatrale sviluppa un percorso fra immagini, movimenti, espressività e inespressività, come quella del protagonista, cristallizzato in una maschera che ricorda quella funeraria di Agamennone.

Le ultime uscite di Teatrino Giullare avevano colpito per la precisone degli allestimenti, per la fatica della rappresentazione scenica, per i segni mai banali. In una oscurità che sa di notte nell’accampamento acheo, mentre gli altri guerreggiano, l’insulso è intento a scrivere di questioni filosofico-biografiche che ovviamente, ca va sans dire, non avranno alcuna rilevanza. La moglie lo abbandonerà ben presto per noia alla solitudine delle sue elucubrazioni.
Incombe un senso premortuario, ma in realtà potentemente limbico, da Purgatorio. Stupende le atmosfere luminose di luci Francesca Ida Zarpellon ma tutte le creazioni e le idee  sono preziose, quasi in spregio all’insulsa essenza del protagonista.

Quest’individuo non merita neanche la dannazione, che pare arrivargli in sogno, quando i cani lo mordono al culo, e lo irridono della sua inerzia al viversi. Ma in fondo a che serve esercitare il dirtitto a essere se stessi quando si sa che non si potrà eccellere in alcunché?
Menelao incarna proprio questo dilemma, e Teatrino Giullare porta a compimento un’operazione di grande pregio, estetico, con riguardo alla ricchissima macchinazione scenica, e concettuale, mettendo in scena in forma così complessa, compiuta, simbolica un testo dalle pieghe non banali, conferendogli, per ossimoro ambientale, un ritmo filosofico molto contemporaneo.
Rimaniamo legati alla visione sacrificale dell’incubo in cui ci svegliamo di soprassalto e prendiamo piena coscienza del nostro stato miserabile. E non sappiamo se riderne o piangerne: lo spettacolo ci permette di esercitare entrambe le possibilità, mentre la nostra anima brucia insieme a quella dell’inetto sul sacro fuoco. Fatuo.
Menelao è una creazione riuscita che merita molte repliche e l’attenzione di chi ama il teatro, le sue magie, e nonostante tutto serba pietà per la miseria umana.

Usciamo da questa pensata filosofico-ironica interamente costruita dentro l’Occidente contemporaneo e corriamo a Castelfranco dove arrivo giusto in tempo per il mio dieci anni dopo con il maestro burattinaio cinese.
La sua scelta spettacolare è disarmante, destrutturata, antidrammaturgica. Dalla complessità oscura dei suoi lavori precedenti, arriviamo qui alla summa della tradizione delle storiellette da strada dell’arte burattinaia cinese, che immaginiamo con i suoi codici, diversi ma in fondo uguali a quelli dei burattini della commedia dell’arte. Le situazioni, i ritmi, il gioco precisissimo del movimento.
La tigre che divora il buon monaco, gli studenti che si scontrano in una lancinante lotta con la spada come nei film dei samurai, i piatti che volano e non si frantumano mai, coppie imperiali in preda a liti e amori.
Il burattino qui assolve a un compito opposto a quello cui assolveva in Menelao; accarezza l’anima, grazie alla maestria assoluta del movimento del maestro, con la leggerezza e la fantasticheria.
img-3082.jpgYeung Faï, erede di una dinastia di burattinai (cinque generazioni, secoli di pratica), torna proprio da dove è venuto, dalla cultura cinese secolare che ha dovuto abbandonare con la rivoluzione culturale che condannò lui e la sua famiglia. Suo padre fu arrestato e la famiglia cacciata di casa. Trovarono rifugio in una baracca e furono costretti a rovistare per la strada alla ricerca di cibo. «Avevo solo 7 anni». Alcune persone lo aiutarono a sopravvivere. «Dopo la rivoluzione culturale, decisi di lasciare la Cina». Ma non quell’arte che pratica da quando ha 14 anni.
E qui utilizza per il teatro uno stupendo chiosco dei burattini in bambù realizzato da Michel Klein. Due teli neri, una quindicina di burattini, le dita snodabili, un’esperienza decennale nella resa finissima del movimento anatomico, un bagaglio di sguardi, visioni, arditezze figlie dell’incrocio con la giocoleria e la consapevolezza assoluta del tempo comico che in quaranta minuti o poco più non ha bisogno di altro per conquistare la platea. In ogni età.
A prescindere da quale che sia la cultura di appartenenza.
Qui un breve video che parla da sè.

 

MENELAO

testo di Davide Carnevali
uno spettacolo costruito, interpretato e diretto da Teatrino Giullare
luci Francesca Ida Zarpellon
si ringrazia Gianluca Vigone
una coproduzione Emilia Romagna Teatro Fondazione e Teatrino Giullare
con il sostegno di Regione Emilia-Romagna

Arena del Sole, Bologna
3 marzo 2019
prima assoluta


THE PUPPET-SHOW MAN

design, performance Yeung Faï
direzione Eric Domenicone
design del chiosco dei burattini Michel Klein
design dei burattini Yeung Faï
luci Marc Laperrouze
produzione Manege Maubeuge – Scene Nationale
coproduzione Perth International Arts Festival  Australie

Teatro Dadà, Castelfranco Emilia (MO)
il 03 marzo 2019
prima nazionale