LAURA BEVIONE | Nel 1994 alcune donne – italiane e migranti, professioniste del teatro e principianti assolute – si riconobbero in un progetto comune, cui diedero il nome di Almateatro. Gli obiettivi, allora come oggi, consistevano nella volontà di costruire un dialogo creativo fra culture differenti e nello sforzo di coinvolgere attivamente le comunità migranti.

L’associazione, nata a Torino, ma nota in tutta la penisola grazie alla circuitazione di alcuni degli spettacoli realizzati, festeggia i suoi primi venticinque anni con un ricco programma di appuntamenti e incontri che sta animando vari spazi – soprattutto non teatrali – della città. Ce ne parla Gabriella Bordin, regista e drammaturga, che di Almateatro è stata una delle fondatrici.

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Quest’anno Almateatro compie venticinque anni: com’è nata la vostra “compagnia”?

Il gruppo è nato nell’autunno del 1993 presso il Centro interculturale delle donne Alma Mater di Torino. L’idea di coinvolgere in un laboratorio teatrale donne migranti, che in quegli anni erano presenti a Torino in numero sempre maggiore, è partita da Rosanna Rabezzana e da me. Il nostro specifico erano il teatro e la danza e, così, abbiamo provato a coinvolgere alcune donne su questo terreno. Alcune di esse, Maria Abebù Viarengo, Suad Omar e Flor Vidaurre sono tuttora nel gruppo. Al laboratorio hanno aderito in venticinque, di tredici nazionalità diverse, nonostante le difficoltà della vita (lavoro, permessi di soggiorno, difficoltà linguistiche, ecc.). Ci siamo rese conto che contava per tutte essere presenti come soggetti culturali, per poter parlare con la loro voce di molti temi, non solo legati alla migrazione.
Il primo spettacolo, Righibé, è  andato in scena al Teatro Adua l’8 marzo del 1994. Teatro pieno all’inverosimile, con gente rimasta fuori… Si è visto per l’occasione un pubblico nuovo, gente della Torino migrante, internazionale, invisibile culturalmente.

Quali sono state le tappe più importanti del vostro percorso artistico?

La messa in scena di tanti spettacoli, quasi uno all’anno, come Chador e altri foulards, sui veli islamici e occidentali.  Chi è l’ultima?, sulle modificazioni del corpo femminile  per obbedire a norme societarie. Tutto compreso, viaggi a confronto attraverso il mondo: turisti dal mondo ricco e migranti dal mondo povero. Scarti, in cui si ragiona sul modello di sviluppo che scarta oggetti e persone. E tanti altri che hanno debuttato a Torino e sono stati replicati in molti contesti (teatri e associazioni in Italia e all’estero).
Poi, di recente, La giovine Italia, spettacolo del 2016 sul rapporto madri/figlie, la prima e la seconda generazione di migrazioni, e in seguito al quale entrano in Almateatro otto ragazze. Con questo progetto abbiamo vinto quell’anno, unica compagnia in Piemonte, il bando ministeriale MigrArti. Vinto di nuovo, poi, nel 2017.
Altra tappe importanti sono state le ospitalità di artiste del mondo, come ad esempio le Tartit, donne musiciste Tuareg, e Were Were Liking, drammaturga camerunense.
E, ancora, il teatro di comunità, nelle scuole e nei quartieri. I laboratori teatrali rivolti alle nuove migranti ospiti nei centri d’accoglienza. Nel 2018 il Festival delle Migrazioni: quattro giornate di teatro, arte e letteratura, organizzato in collaborazione con altre due compagnie torinesi, che ha avuto molto successo in città – 4.500 presenze – e che contiamo di replicare nel 2019.

Avete spesso lavorato con gli adolescenti – abbiamo anche condiviso due esperienze insieme, quando insegnavo all’istituto alberghiero Beccari. Perché è così importante ascoltare e fare teatro/arte insieme ai ragazzi?

Noi abbiamo da sempre rivolto il nostro lavoro non solo a un pubblico adulto, ma anche alle scuole, soprattutto alle scuole secondarie di secondo grado. Partendo dalla presentazione alle classi dei nostri spettacoli, abbiamo condotto molti laboratori di educazione all’intercultura, approfondendo i temi trattati in scena con i docenti e gli allievi e fornendo materiale per studiare più da vicino quello che viene prima proposto attraverso il linguaggio teatrale.
È fondamentale che questi approfondimenti siano condotti anche da donne non italiane di origine, arrivate con la migrazione. Per sconfiggere gli stereotipi sulle presenze delle migranti e sul loro ruolo nella società.
Molte ragazze partecipanti a questi nostri laboratori negli anni passati hanno poi fatto il servizio civile in strutture che lavorano nella migrazione o nell’ambito artistico/culturale. Hanno fatto tesi universitarie sull’esperienza di Almateatro.
Altro discorso è il lavoro molto importante di produzione del cortometraggio Tutto è possibile, girato con i ragazzi dell’Istituto Beccari come protagonisti. Ragazzi migranti venuti in Italia con i ricongiungimenti famigliari. È molto importante far vedere questi documenti video, sono un pezzo di storia della migrazione. È importante dare voce ai ragazzi, migranti e non; è importante che si sentano soggetti culturali nella società. I giovani occorre ascoltarli, dare loro coraggio di parlare ed educarli all’ascolto. Che è un modo per sconfiggere gli stereotipi razzisti.

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Quali sono i prossimi appuntamenti del ricco cartellone che avete preparato per festeggiare i vostri venticinque anni?

Abbiamo presentato già cinque appuntamenti da novembre 2018 a oggi. Il prossimo in cartellone è per domenica 14 aprile, una presentazione di estratti dello spettacolo La giovine Italia e dell’intero percorso drammaturgico agli allievi della Scuola di Teatro Maigret&Magritte.
Da mercoledì 17 a venerdì 19 aprile, invece, ci sarà il debutto  dello spettacolo Prima fu la volta dei migranti – Inchiesta sull’Europa dei muri al teatro Baretti di Torino.
Da marzo a maggio, poi, abbiamo in programma Ilaria. 25 anni di solitudine, una serie di iniziative sulla vicenda di Ilaria Alpi: incontri, concerti e spettacoli organizzati e promossi in collaborazione con Associazione culturale Candelaio Fuorionda, Articolo 21, Associazione Chiaro e Tondo, Casa del Quartiere, Teatro Baretti, Tempio Valdese, Luoghi comuni.

Quali sono i progetti a cui state lavorando in questi mesi? Come dicevi, avete organizzato anche un festival dedicato alle migrazioni…

Personalmente sto lavorando con Suad Omar e Elena Ruzza alla messa in scena dello spettacolo Prima fu la volta dei migranti – Inchiesta sull’Europa dei muri, un progetto articolato in tre momenti: un percorso di formazione civile rivolto a un gruppo di venti giovani italiani di origine, di seconda generazione, migranti da poco in Italia; dal materiale raccolto sarà fatto un breve video che servirà da prologo allo spettacolo vero e proprio. Esso sarà una “lezione” in forma teatrale e avrà come obiettivo quello di rendere memoria di scelte politiche, responsabilità e fatti che, in vent’anni di storia, hanno permesso il contesto che oggi si sta affermando nell’Unione europea. L’intera inchiesta si sviluppa  sulla base di una rigorosa documentazione.
Vesna Scepanovic, invece, sta lavorando all’iniziativa dedicata a Ilaria Alpi.
Stiamo, poi, lavorando per realizzare la seconda edizione del Festival delle Migrazioni  che si svolgerà, come l’anno scorso, con una giornata a giugno e alcune giornate a settembre,  a Torino e in alcuni luoghi del Piemonte. I temi principali, quest’anno, saranno la migrazione al femminile e l’internazionalità del fenomeno migratorio.

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Quale significato, quale valore ha oggi l’esperienza di Alma Teatro, osservando anche il cielo plumbeo che sovrasta le nostre teste qui in Italia…

Il nostro è un impegno artistico e politico di contrasto a ideologie di odio e di razzismo. Mi sembra che venticinque anni di lavoro artistico e sociale svolto insieme, tra persone, tra donne, arrivate da molte parti del mondo, siano una risposta valida a questo clima insensato dovuto a facili stereotipi, a semplificazioni e banalizzazioni di temi complessi. Questo è il ruolo della cultura.
Mi piacerebbe che, in questo momento, la nostra esperienza fosse più conosciuta a livello nazionale.