ANTONIO CRETELLA | L’Occidente, in particolare l’area mediterranea, viene definito come “civiltà del grano” per contrasto con le “civiltà del riso” asiatiche e quelle “del mais” del sud America. Classificazioni sommarie, ma abbastanza evocative della via di civilizzazione perseguita da ogni gruppo umano nei momenti cruciali della rivoluzione agricola che segnò una svolta epocale nella speranza di sopravvivenza degli esseri umani, non più completamente dipendenti dai frutti spontanei della natura, ma padroni di mezzi di produzione e trasformazione del cibo che in parte potevano controllare e ammaestrare a seconda dei loro bisogni. La panificazione è il simbolo di tale passaggio, il momento della scoperta e dell’applicazione di una tecnologia alimentare che crea un prodotto “innaturale”, cioè impossibile da trovare in natura senza l’operato trasformatore dell’uomo. Il pane è pertanto cultura nel senso più ampio in quanto uno dei primissimi risultati di una conquista intellettuale dell’essere umano che si avvia alla comprensione del linguaggio chimico e fisico della natura. Sin da allora la stratificazione simbolica del pane ha generato una monumentale cattedrale di significati spirituali, religiosi e politici attorno al più semplice degli alimenti: pane come benessere, pane come necessità primaria, pane come condivisione, pane come sacrificio, pane addirittura come simbolo della teofagia alla base della cultura cristiana; pane motore delle rivoluzioni in cerca di giustizia sociale. Chi lo calpesta, come gli sciagurati di Torre Maura, calpesta l’umanità stessa.
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