RENZO FRANCABANDERA e NATHALLY ALVES | C’è ancora molta vergogna intorno al tema della dislessia. Questo disturbo viene ancora percepito con imbarazzo e senso di colpa e così chi ne soffre spesso tende a nasconderlo per timore del giudizio sociale. In Italia la dislessia è ancora poco conosciuta, anche se si stima interessi migliaia di ragazzi in età scolare. Si tratta di un disturbo specifico dell’apprendimento (DSA), come la disgrafia e la discalculia: tre disturbi delle reti neuronali che riguardano la capacità di leggere, di scrivere e di calcolare in modo corretto. Prende spunto da questa peculiare circostanza relativa al disturbo e alla sua ampia diffusione, decisamente poco analizzata e compresa, Teatro Officina di Milano che ha messo in scena uno spettacolo sulla dislessia, interpretato e di fatto ideato da ragazzi, per i ragazzi.
L’occasione è stata una commissione della Fondazione Natalino Sapegno, che ha sede a Morgex; lo stesso comune valdostano in cui si tiene Prove Generali, la rassegna di spettacolo e cultura dal vivo organizzata dalla Compagnia Palinodie, che PAC sta seguendo da vicino, e che ha deciso di ospitare una replica dello spettacolo il 16 aprile nella bella programmazione in corso.
Abbiamo quindi intervistato Daniela Airoldi Bianchi, storica figura di programmatrice culturale in Teatro Officina, ed Enzo Biscardi, regista dello spettacolo Ci ho le sillabe girate.
Il tema della lettura oggi è emblematico della società italiana, sia per chi ha un disturbo specifico e ne è impossibilitato – come le persone a cui è dedicato il vostro spettacolo – e sia per chi invece pur potendo non lo fa. E mentre la possibilità di farlo si moltiplica, emerge invece la consapevolezza della difficoltà di riuscire a farlo. Come è nata l’idea dello spettacolo e quali tipi di riflessione ne sono poi conseguiti?
DAB: L’idea è nata da un atteggiamento di ascolto: al Teatro Officina esiste da venticinque anni un laboratorio teatrale per ragazzi dai 13 ai 18 anni, che conduco io. All’interno di un laboratorio in cui avevo lavorato per cinque anni c’erano alcuni ragazzi dislessici. Quando hanno compiuto i 18 anni e il percorso formativo con me sarebbe terminato mi hanno fatto questa proposta: perché non facciamo uno spettacolo sulla dislessia? Ho costruito per loro un progetto che prevedeva la copresenza di un regista (Enzo Biscardi) e di un dramaturg (Alberto Cavalleri) mentre sul palco – attraverso il lavoro di improvvisazione e di autodrammaturgia – i ragazzi esprimevano i loro vissuti con quel particolare disturbo dell’apprendimento che è la dislessia. Da lì è nata l’idea di fare una commedia brillante – il progetto voleva evitare ”programmaticamente” la lagnosità – e di far seguire allo spettacolo un confronto diretto con il pubblico (fra cui c’è sempre qualche dislessico) durante il quale si condividono riflessioni e vissuti attorno al tema. Il Teatro Officina ha costruito per questo gruppo di ragazzi una cornice organizzativa che consentisse loro di fare il mestiere dell’attore.
EB: Il pubblico innanzitutto si diverte molto, si immedesima nei personaggi arrivando a ritrovarsi coinvolto emotivamente nei fatti che si susseguono durante la pièce. Ride di gusto e però viene anche “infastidito” da una voce fuori campo che parla sia con i personaggi che con il pubblico stesso (“il mondo”) facendo affermazioni talvolta ignoranti e ciniche che tutti – ahinoi! – abbiamo forse fatto, perché si tratta della vulgata e dei luoghi comuni sulla dislessia.
Dopo lo spettacolo ci sono ragazzi che a volte si alzano anche solo per dire “io sono discalculico” come a significare “eccomi qua, ci sono anche io”; è capitato un po’ di tutto: a volte ci sono genitori che piangono, troviamo spesso insegnanti che chiedono alla platea stessa “cosa possiamo fare per aiutarvi”, ci sono bambini che ridono, ragazzi che dicono “io all’inizio della scuola mi sentivo uno stupido”. Diciamo che un po’ tutti poi tornano a casa più leggeri. Alcuni genitori ci hanno contattato in seguito per dirci che i loro figli, dopo lo spettacolo, hanno cominciato a usare gli strumenti compensativi con meno timore e fatica. Rafforzati, senz’altro.
Dopo il debutto tre anni fa, durante i primi confronti con il pubblico, spesso ci trovavamo di fronte a una platea che non sapeva molto sui disturbi specifici dell’apprendimento e soprattutto non sapeva proprio come relazionarsi con questo mondo. In soli tre anni abbiamo riscontrato un diffuso aumento della consapevolezza e, soprattutto, una minore preoccupazione di tipo ansiogeno. L’azione capillare dell’AID (Associazione Italiana Dislessia) nelle scuole e nel territorio è stata, a nostro parere, decisiva per conseguire questo risultato. Tre anni fa lo scambio con il pubblico molte volte era segnato da una rabbia muta, ma non silenziosa, che si percepiva nelle parole dei genitori, degli insegnanti e dei ragazzi. Ora fortunatamente molto meno. La vergogna e il dolore son lì, quando parliamo con il pubblico, ma riposano in una zona così intima che vale la pena lasciarla abitare nel rapporto con se stessi.
DAB: Cerchiamo semplicemente di mostrare che gli occhi di un dislessico aprono visioni plurali, altri sguardi possibili sul mondo, e che i disturbi che loro vivono possono essere facilmente compensati attraverso l’uso di molti strumenti utilissimi (computer, calcolatrici, app, ecc.).
Questi giovani attori poi sono così bravi teatralmente che a volte gli spettatori dislessici confessano persino di aver provato un sentimento di orgoglio e di riscatto. E tutti i non dislessici capiscono un po’ meglio “come vede il mondo un dislessico”, e si regolano più facilmente quando hanno a che fare con una persona che ha questo disturbo.
Come e quando è nata la vostra compagnia e quale tipo di progettualità vuole proporre? Secondo voi esiste uno specifico del teatro ragazzi e se sì, come si coltiva questo linguaggio?
DAB: Il Teatro Officina opera a Milano da 45 anni ed ha una competenza specifica sul teatro sociale e sui territori; mettiamo in scena spettacoli che coinvolgono in prima persona i testimoni che ascoltiamo e dai quali raccogliamo il materiale drammaturgico: è accaduto con i contadini della Lomellina nel 1997, poi con gli operai di Sesto San Giovanni espulsi dalla chiusura delle grandi fabbriche nel 1998, e oggi lo facciamo con gli stranieri e rifugiati ospiti nei centri d’accoglienza. Questi spettacoli diventano grandi affreschi di un “mondo” e un prezioso momento di restituzione sociale, sia per coloro che quel mondo lo hanno conosciuto e abitato che per coloro che non ne sanno nulla.
Abbiamo organizzato fin dagli anni ’90 Teatro nei cortili portando spettacoli nelle case popolari e da alcuni anni ne portiamo anche nelle mense dei poveri.
E poi lavoriamo in profondità con il nostro quartiere, che è la zona più multietnica di Milano. Non ci occupiamo quindi specificamente di teatro ragazzi – non abbiamo mai fatto spettacoli per bambini, ad esempio – ma diciamo che siamo attenti e interessati alle persone in quanto tali, e i ragazzi per noi sono persone, al pari di altre.
EB: Ci ho le sillabe girate non è soltanto uno spettacolo per ragazzi: è soprattutto uno spettacolo fatto dai ragazzi; gli attori sono giovanissimi, interpretano personaggi che sono praticamente dei coetanei dei ragazzi che spesso siedono in sala. Con Ci ho le sillabe girate ci posizioniamo quindi in una fascia di spettacoli per pre-adolescenti e adolescenti, realtà in cui il tema della dislessia è molto vivo e a volte ancora poco condiviso. Un’età dove inizia a maturare una significativa relazione tra insegnanti e alunni che può essere rinforzata da una reciproca e maggiore conoscenza dell’altro, anche attraverso uno strumento culturale e divertente come il nostro spettacolo.
Che impressione avete del progetto Prove Generali, cosa vi ha avvicinato a questa iniziativa in Valle D’Aosta? Si possono condividere percorsi nelle arti sceniche o è un universo a suo modo un po’ egoistico?
DAB: Ci siamo avvicinati grazie alla Fondazione Natalino Sapegno, che ha espresso una bellissima sensibilità verso le difficoltà che i dislessici trovano nella lettura, e ci ha chiesto di dare un contributo a una giornata laboratoriale che organizza a Morgex.
Con la compagnia Palinodie è nata subito un’empatia istintiva. Poi capisci perché: “Relazione. Persone. Fragilità. Cambiamento possibile. Resistenza culturale” sono i presupposti che muovono Prove Generali e che sono incarnati nel nostro agire teatrale, sono parole che si ritrovano pari pari nelle nostre dichiarazioni di poetica.
Come Teatro Officina siamo abituati a lavorare in rete perché il teatro sociale e il lavoro sul territorio ti abitua a pratiche di condivisione – spesso anche con soggetti completamente diversi da te. Questo ci mette un po’ al riparo dal rischio di derive “egoistiche” e soprattutto dal problema dell’autoreferenzialità, che è forse un pericolo ancora più grave. Parlarsi addosso e rivolgendosi a quelli che ti somigliano è stato uno dei “vizi capitali” dei teatranti. Un’asfittica autoreferenzialità che non solo esclude gli altri ma porta, a mio parere, a un abbassamento dei livelli culturali e artistici: perché laddove viene meno il legame profondo con le persone e con il tempo presente, ci si allontana dalla possibilità di maturare consapevolezza culturale, responsabilità del dire, bellezza dell’essere.
CI HO LE SILLABE GIRATE
Dramma dislessico per giovani attori
drammaturgia di Alberto Cavalieri
regia Enzo Biscardi
con Francesco Arioli, Stefano Grignani, Sebastian Luque Herrera, Pietro Versari
produzione Teatro Officina