Disegno di Renzo Francabandera

ANTONIO CRETELLA | Sull’alienazione del ceto impiegatizio, sull’esplosione di una follia sopita sotto pile di faldoni, di gesti forzatamente ritualizzati dalla routine, sulla figura del travèt sospeso tra meschinità, rabbia, impotenza e un frustrato senso di rivalsa, letteratura, teatro e cinema hanno prodotto nel corso del Novecento una mole imponente di pagine e metri di pellicola, rendendo il ceto dei colletti bianchi l’epitome del secolo. I personaggi gogoliani e quelli kafkiani, Fantozzi, il Belluca di Pirandello, il Bill Foster del Giorno di ordinaria follia, il Walter White di Breaking Bad sono tutte incarnazioni dello schiacciante peso della mediocrità, ognuno con la sua particolare risposta a quello che la psichiatria odierna chiama burn out.
Battiato ci insegna che è difficile restare calmi e indifferenti mentre tutti intorno fanno rumore, e il Social Media Manager dell’INPS che, nei giorni scorsi, ha risposto con messaggi al vetriolo agli utenti della pagina Facebook dell’ente che chiedevano indicazioni sul Reddito di Cittadinanza, mostrando scarse o nulle competenze informatiche, non fa certo eccezione: lungi dal voler giustificare la tagliente aggressività con cui ha apostrofato tali utenti dai nomi fantasiosi e dall’ortografia incerta, come Dante di fronte a Paolo e Francesca, pur condannando il peccato, scaturisce spontaneo un moto di comprensione nei confronti di questo personaggio consumato dal quotidiano confronto con le soverchianti brutture di un’umanità tagliata fuori dalle più basilari conquiste dell’intelletto umano.

Se infatti analizziamo sociologicamente, per quanto possibile nell’esiguo spazio di un articolo, ciò che si evidenzia da quei commenti alla pagina INPS, per prima cosa emerge il quadro desolante di una o due generazioni a bassa scolarizzazione, i famosi analfabeti funzionali, per i quali non esiste prospettiva di lavoro qualificato mancando delle famose competenze divenute impalcatura della didattica. La scuola può agire solo sul segmento giovane della popolazione, aumentando paradossalmente il divario cognitivo invece di sanarlo poiché non vi è un investimento di formazione per gli adulti che la scuola l’hanno già lasciata da tempo. Questo divario è una delle ragioni strutturali della poca tenuta democratica del Paese nonché del suo arretramento economico. Andando più nel dettaglio, scandalizza il fatto di leggere in commenti pubblici diretti all’INPS la confessione autonoma di essere lavoratori a nero: eppure la diffusione capillare del sommerso gestito spesso dalle mafie è una fetta consistente dell’economia italiana, quasi entrata a sistema. L’autodenuncia inconsapevole indica che addirittura il lavoro nero non sia percepito affatto come reato, ma come unica alternativa alla povertà, quale nei fatti essa è per persone poco qualificate che non trovano nel circuito legale un inquadramento professionale. È evidente l’intreccio malsano tra mancata formazione, mancato investimento in politiche del lavoro, insufficiente contrasto all’evasione fiscale, che a loro volta si innestano sulla congenita diffidenza verso lo Stato e il prelievo fiscale alimentata dalla carenza dei servizi che quelle tasse dovrebbero garantire. Ne consegue l’evidenza di un problema sistemico che coinvolge aspetti culturali, economici e sociali a tutti i livelli, da quello delle classi sociali emarginate e de-istruite, fino ai vertici del governo incapaci di trovare soluzioni a lungo termine che, di solito, sono anche le più impopolari sul breve periodo.

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