RENZO FRANCABANDERA | È uno dei progetti legati al teatro più attesi e ambizioso fra quelli sostenuti all’interno della progettualità di Matera 2019. In realtà la ciurma della nave è partita già da tempo, per una impresa che si prefigura leggendaria e che nasce da uno dei mostri che l’architettura, non in grado di dialogare con il territorio, ha lasciato nelle periferie delle nostre città nell’epoca in cui si pensava bastasse mettere qualche installazione in cemento per riqualificare quartieri abbandonati o aree degradate.
Fin dal loro arrivo a Potenza, il sogno di Carlotta Vitale e di Mimmo Conte di Gommalacca Teatro è stato quello di aiutare la città e i suoi quartieri in maggiore difficoltà a ripensare in modo organico il tema della cittadinanza, dello spazio condiviso e ridurre la distanza fra centro e periferia. Il progetto La Nave degli Incanti, sottoposto alla direzione artistica di Matera 2019, è stato proprio questo: far muovere simbolicamente il Mostro di cemento e portarlo come un novello Fitzcarraldo ad attraversare la Basilicata per arrivare da Potenza a Matera; nel mezzo del viaggio una serie di tappe che coinvolgeranno a luglio diversi centri abitati, ma già hanno coinvolto scuole, drammaturghi, operatori teatrali e intere comunità in un progetto che mira a comunicare il senso profondo del cambiamento possibile tramite l’arte.
Abbiamo intervistato Carlotta Vitale e Mimmo Conte.
Il vostro progetto #AWARE La nave degli incanti, fondamentalmente ruota attorno a un semplice concetto di movimento, di passaggio da uno stato di stasi a uno stato dinamico. Quando è nata in voi questa convinzione? E quale squadra avete messo assieme per spostare il macigno?
La condizione che descrivi come alternanza di movimento e stasi, ci appartiene fin dalla fondazione della compagnia, ed è insita nella nostra natura. Siamo arrivati in Basilicata da due regioni limitrofe (Puglia e Campania) credendo nella scoperta e nell’inaspettato. Se per un primo periodo del nostro lavoro eravamo con un piede fuori e gli occhi dentro la città, dal 2012 in poi abbiamo individuato nel quartiere in cui lavoriamo, il Serpentone di Potenza, il nostro luogo di residenza, di ricerca pedagogica e poetica. Ci siamo assegnati una funzione rispetto alla pratica del teatro con le persone, immettendoci nell’idea della circolarità, dello scambio delle competenze con i nostri colleghi, le famiglie, le associazioni. Lo “stare” e lavorare in profondità con le persone, intendendo il teatro come strumento di connessione a se stessi tramite l’altro e lo spazio pubblico, ha determinato definitivamente, a un certo punto, la volontà di sperimentare gli approcci, sbagliare, ritrovarsi, attraverso la pratica delle arti.
La grande nave di cemento incastrata tra due palazzi del Serpentone è diventata un luogo sensibile e di possibilità. “Spostare” il moloch è impossibile. Chiudere gli occhi e immaginare che possa accadere sì, è l’esercizio che abbiamo sempre fatto, e come sai se si immagina si è già sulla buona strada. Abbiamo seguito delle linee precise per costruire questa squadra che attualmente conta circa trenta persone tra artisti, tecnici, figure manageriali e di mentoring: lavorare e stabilizzare chi avevamo già incontrato in precedenza, sviluppare nuove relazioni artistiche e di connessione fuori dai confini regionali, potenziare le competenze di tutti per affrontare un tale cambio di scala nel campo produttivo; e siccome si tratta di un progetto molto sfidante abbiamo individuato persone che avessero a cuore il “senso” di Matera Capitale Europa della Cultura, e che volessero affrontare con passione il percorso, con lo spirito di chi vuole conoscere, trasformare e produrre immaginario.
Che simbolicamente è anche un voler rimettere in cammino un territorio, sfruttando certamente l’occasione di Matera 2019…
La Basilicata creativa, da quando la viviamo noi, ovvero dal 2005, è stata sempre considerata come uno scenario sconnesso dal presente. L’artista e il suo linguaggio dovevano scalare prima le altezze delle montagne per cercare conferme fuori, oppure confrontarsi con l’innovazione artistica e sociale che attraverso grandi progetti e processi a partecipazione pubblica, come Visioni Urbane e poi Matera 2019, potessero far avanzare e rafforzare le competenze del comparto.
In tutta onestà il pregio di questi percorsi sta nel creare delle occasioni di conoscenza, scambio e creazione di nuove relazioni con altri operatori anche non teatrali, che agiscono nella regione. L’emersione e la scoperta della bellezza e della solitudine di certe esperienze artistiche – pensiamo per esempio a chi lavora nelle aree interne – è come un balsamo che cura e nutre l’idea stessa che i lucani creativi hanno della loro produzione culturale. Il merito del ragionamento culturale della Fondazione Matera 2019 è stato quello di assegnare la realizzazione di metà del palinsesto agli operatori lucani; condividendo un processo lungo otto mesi di co-creazione, dotandoci di un voucher di 2019 Euro per girare nell’estate 2017 l’Europa, sulle tracce delle esperienze artistiche che potevano ispirarci, spingendoci verso la contaminazione con il partenariato europeo; sbalzandoci improvvisamente nel futuro, pur agendo in una regione da sempre pensata al margine. Questo per noi ha significato lavorare e crescere in un “laboratorio”, non troppo esposti e con i tempi giusti per farci le ossa.
Vi ricordate il giorno in cui siete arrivati a Potenza? Avete delle foto? Quale strada pensate di aver percorso voi da allora?
Carlotta: Io il giorno in cui sono arrivata a Potenza non lo potrò mai dimenticare. Era il 22 luglio del 2005 e per la prima volta scoprii le altezze, le curve in salita e le discesce ripide del capoluogo lucano. Non appena arrivata sbagliai strada, attraversai il fondovalle e mi balzò agli occhi l’immenso complesso di case del Serpentone, ben 750 metri di palazzi di cemento di almeno dodici piani appollaiati su un monte. Riuscii ad arrivare in centro, parcheggiai a caso, e mi consigliarono di raggiungere il Teatro Francesco Stabile a piedi. Praticai la scalinata di via 4 Novembre dedicata a Elisa Claps. Raggiunsi il teatro per sostenere uno dei provini più belli e soddisfacenti del mio lavoro d’attrice, mi stavo candidando infatti a seguire un percorso intenso di circa un anno, tutti i giorni per otto ore, nel teatro stesso con la direzione di Serena Dandini; era un bel percorso sull’autorato e la scrittura comica. Fui presa, il 3 ottobre successivo iniziammo a lavorare e nevicò incredibilmente.
Mimmo: Sono arrivato a Potenza il 22 luglio 2005. C’ero già stato un paio di volte in passato. Per me è iniziato in quell’anno un ritorno alle origini: da parte di mia madre ho radici lucane. Il giorno che arrivai a Potenza, ricordo che la prima impressione fu di una città di persone silenziose, in cui il sole ti tocca appena, e se hai un po’ di caldo puoi stare all’ombra per respirare. Il primo impatto con i potentini lo ebbi in un ascensore pubblico (questa città è piena di scale mobili e di ascensori1). Ricordo che con gli altri un po’ ci guardavamo negli occhi, un po’ guardavamo il soffitto, ma nessuno parlava. La cosa mi sorprese, abituato a un Sud più “chiassoso”. A ogni modo, la sensazione che ebbi è che in quel momento, quella città (e quella regione, perché la Basilicata la percepisci subito come “entità unica”) era un luogo di opportunità.
Ora, che siamo nel 2019, ho di nuovo questa percezione, con una consapevolezza diversa: la possibilità di essere più “attento” nel cogliere questa opportunità, e di essere una parte attiva di questo cambiamento. Il silenzio della città e della regione resta, ma questo è un valore utile a dare più spazio alla relazione, senza creare confusione, dedicandosi con maggior attenzione alle cose, afferrando meglio le opportunità o magari trovarle e crearle. In questi anni abbiamo percorso una strada fatta soprattutto di questo, di relazioni; di nuove opportunità colte e costruite.
Da allora ci siamo ritrovati nel sodalizio artistico, che è il fuoco che alimenta il cammino; abbiamo fondato la compagnia e con umiltà e senza molti condizionamenti ci siamo messi a cercare. Nel nome che abbiamo scelto sono figurate le qualità della resina naturale, il colore vivo, l’amalgama, la duttilità e la fatica dell’artigiano che lavora pazientemente alla manipolazione della materia. Abbiamo dato un contributo all’evoluzione dello status del lavoratore dello spettacolo dal vivo in Basilicata: è del luglio 2014 la legge 37 scritta insieme agli operatori di teatro, cinema e musica che ha preparato il terreno all’impatto con i progetti che stiamo sviluppando per le capitali europee della cultura 2019: Plovdiv e Matera.
Per molti anni la Basilicata è stata al margine della scena artistica nazionale. Adesso, complice questa occasione, pare che ci siano dei sussulti. Cosa è possibile dire ai giovani che vogliono cominciare a fare arte in questo territorio?
Di dubitare, cogliere le occasioni che i progetti europei offrono, di studiare le lingue, di viaggiare e acquisire le competenze trasversali per affrontare il lavoro culturale; poi senz’altro di approfondire e studiare gli strumenti legislativi che riconoscono le attività culturali dello spettacolo ma anche del patrimonio materiale e immateriale della regione normato dalla legge 27 del 2015. Direi che ora è il momento migliore per transitare in Basilicata per leggerla come una terra d’opportunità, come è capitato a noi quattordici anni fa.
Nell’incontro romano (video1–video2) di inizio aprile, durante il quale è stato presentato alla stampa il progetto #AWARE, si è molto parlato di quello che resterà sul territorio dopo l’esperienza della Capitale europea della cultura: cosa rimarrà della nave?
La Nave degli Incanti si configura come un progetto multidisciplinare perché nella sua progettazione non è stata mai intesa come “spettacolo itinerante” tout court. Il nostro cambio di scala produttivo è rappresentato proprio dall’esito di questo progetto, la cui espressione viaggia attraverso un’installazione vera e propria che si configura come oggetto d’arte pubblica indipendente dalla storia che racconta, come spettacolo itinerante lungo una strada statale, in luoghi desueti e con significato paesaggistico e d’insediamento urbano. Si configura come racconto in cinque episodi/spettacoli diversi tra di loro, con un cast misto di attori professionisti, appassionati, allievi dei nostri laboratori di ricerca scenica, e abitanti; è anche (e soprattutto) una metodologia di ricerca attraverso le vie dove si incrontrano la rigenerazione urbana e il teatro. Sta diventando un gioco di ruolo con personaggi e contesti, che è, ovviamente, in via di creazione. La storia scritta da Riccardo Spagnulo e tratta dalla ricerca-azione cuarata da ReCollocal, alla base delle cinque comunità che la Nave degli Incanti toccherà nel suo viaggio, si muove in un ambiente fantastico a metà tra la fiaba e la mitologia. Aware – La Nave degli Incanti ha in sé molte voci con le quali costruire il suo racconto futuro.
Ciò che rimarrà è tutto questo a due mesi dal debutto, se pensiamo alla produzione che è ancora tutta da testare.
Ciò che abbiamo, e che ci resterà senza dubbio, è l’esperienza accelerata nel campo dell’organizzazione e gestione di progetti multidisciplinari, le relazioni fuori dai confini regionali e nazionali, maggiori competenze e una squadra di lavoro più grande.
[…] via AWARE, la nave teatrale su terra, simbolo del riscatto dal brutto – intervista a Gommalacca Teatro… […]