RITA CIRRINCIONE | Festival di Danza e di Linguaggi Contemporanei, ConFormazioni – Progetto di Muxarte con la direzione artistica Giuseppe Muscarello e il sostegno del MiBAC – nell’edizione 2019 ha assunto un carattere internazionale accogliendo compagnie e artisti tra i più significativi del panorama nazionale e provenienti soprattutto da Paesi della fascia mediterranea (Grecia, Spagna, Francia, Belgio). Aprendo a culture e poetiche differenti, coerente con la sua connotazione plurale che richiama atti creativi collettivi, la rassegna ha fatto proprio il principio di accoglienza divenuto identificativo per la città di Palermo in un momento in cui sembrano essere ritornate logiche di porti chiusi e di muri.
Con eventi disseminati in luoghi diversi della città, tra memoria e futuro: dall’Agorà del Museo Archeologico Salinas e dal Teatro Massimo alla Sala Perriera, lo Spazio Franco e il Cre.Zi.Plus, all’interno dei Cantieri Culturali alla Zisa, il festival ha avuto un andamento nomade.
Articolandosi in spettacoli, incontri e workshop, oltre a testimoniare i nuovi volti della danza contemporanea e offrire opportunità di formazione con danzatori e coreografi provenienti da fuori, la rassegna ha suscitato un vivace dibattito sui linguaggi e sulle poetiche emergenti, su temi riguardanti la relazione con il territorio e le politiche culturali.
L’incontro aperto al pubblico Tradire per innovare?, con operatori, studiosi e direttori di festival, è stato un momento di riflessione sullo stato dell’arte della danza nel terzo millennio e un’occasione per fare il punto sulla relazione dialettica fra tradizione e cambiamento rispetto alla contemporaneità. Tradire, dal latino tradĕre, come consegnare, ma anche come svelare, tradire per cambiare, tradire la tradizione per trasformarla, per digerirla e assorbirla: senza questo processo la contemporaneità rischia di cadere nell’ingenuità e nello spontaneismo o di andare verso lo scollamento dalla realtà; intendendo la contemporaneità – secondo la concettualizzazione di Giorgio Agamben – come adesione e al tempo stesso presa di distanza dal proprio tempo, con quella sfasatura che consente di afferrare il senso di una determinata epoca che sfugge a chi vi aderisce perfettamente.
Lo sguardo esterno ha aiutato gli operatori locali a leggere meglio la realtà palermitana e, “sfruttando” la straordinaria presenza di pubblico e di addetti ai lavori, a capire come produrre contagi e innescare ulteriori processi di partecipazione. Il dibattito ha riaffermato l’importanza della funzione sociale dell’arte e della sua capacità di saper comunicare per non cadere in una sorta di autismo e ha ribadito l’esigenza di fare rete soprattutto nell’ambito della danza che forse è la meno “ricca” e “commerciale” delle arti rispetto alla musica, al cinema e perfino al teatro. In questi processi di disseminazione, di formazione del pubblico, di relazione con la comunità, è stata sottolineata la centralità della figura del curatore nel significato più profondo del termine, come colui che si prende cura.
Ma al di là dei “discorsi a tavolino”, la danza 2.0 (definizione di Alessandro Pontremoli, storico della danza presente al dibattito), una danza che forse è già oltre il contemporaneo (una danza postcontemporanea?), l’abbiamo vista incarnata nel corpo dei danzatori e in alcune creazioni coreografiche durante le giornate del festival, in una rappresentazione attraversata da un punto di vista di genere prevalentemente e insolitamente (almeno in questo campo) maschile.
Il disorientamento, l’incertezza, la mancanza di riferimenti della nostra epoca li abbiamo visti nello sguardo vitreo dello spagnolo Diego Sinniger in Dis-connect, un assolo in cui sembrano venire meno la padronanza dello spazio, la gestione del corpo, il controllo del gesto, persino la possibilità della posizione eretta, in una dis-connessione del corpo individuale, metafora di un’impossibile connessione di un corpo collettivo senza testa né direzione. In Liov, dello stesso Sinniger in scena con Kiko Lopez, in un corpo a corpo inestricabile – uno quasi parassita dell’altro –, abbiamo visto la rappresentazione di una relazione necessaria ma possibile solo in un irrisolvibile conflitto, immagine di un’umanità in perenne contrapposizione.
Nei 10 miniballetti di e con Francesca Pennini – una performance molto fisica e allo stesso tempo molto mentale – la danza sembra prendersi gioco di se stessa; una danza incentrata sulla grammatica della disciplina ma solo per canzonarla, come quando la Pennini ironizza sull’approssimazione di certe sue partiture infantili eseguibili in realtà in mille modi diversi.
Biografia di un corpo (di e con Davide Valrosso) e DeltaZero (danza Daniele Ninnirello – live music Adriano De Micco) hanno proposto una riflessione sul corpo del danzatore: il primo, una rappresentazione di un corpo epico e luminoso sotto lo sguardo del pubblico che, in un gioco di luci e ombre, via via confonde e frantuma in mille forme la propria nudità; il secondo, l’esplorazione di uno spazio vuoto che gradualmente si riempie di presenze sonore e diventa una danza a due, un dialogo tra corpo e suono in cui il danzatore finisce con il cedere il passo al corpo del musicista.
Ancora due corpi “gettati nel mondo”, due modi di rappresentare l’efficacia del gesto e la potenza espressiva del corpo maschile, negli assoli della compagnia belga Dame De Pic (concezione e coreografie di Karine Ponties): in lotta con forze interne, quello di Ares D’Angelo con la sua irruente forza vitale, in Fovea; in balia dei fenomeni della natura, quello di Guillermo Weickert Molina con la sua virile e matura consapevolezza fisica, in Benedetto Pacifico.
Carico di forza drammatica il duetto ispirato al personaggio di Goethe, Annotazioni per un Faust/Incontro, (con Marco Bissoli e Ludovica Messina della Compagnia Abbondanza-Bertoni); distaccato e autoironico, quello dei greci Martha Pasakopoulou e Aris Papadopoulos, in un incontro ginnico e giocoso, una relazione all’insegna della mancanza di impegno in tempi di amore liquido, touching.just.
Danza contemporanea è anche quella che non lascia fuori impellenti temi sociali: Shame in Italy (di e con Simona Argentieri) ha presentato una riflessione sullo sfruttamento umano e ambientale che si nasconde dietro lo scintillante mondo della moda; Le fumatrici di pecore (di e con Antonella Bertoni e con Patrizia Birolo, regia di Michele Abbondanza) ha riproposto la vexata quaestio del coinvolgimento di persone “diversamente abili” in messinscena teatrali e performative. Nata da una relazione asimmetrica in cui appare evidente la collocazione up e down delle due, di chi conosce le regole del gioco e di chi no, la performance vede in scena due prototipi femminili, due corpi fortemente segnati simbolicamente: etereo e controllato, portatore di linguaggi e di canoni artistici, l’uno; imperfetto e goffo, abitato da impulsi primari e da codici quasi arcaici, l’altro. In corso d’opera – tra calvari e deposizioni, parti catartici e crocifissioni, giochi infantili e danze liberatorie, urla smodate e silenzi – le carte si sparigliano e si intravedono altri equilibri e cambi di domini ma ciò non toglie che alla fine restino sospese alcune domande: quanto correct può essere il coinvolgimento di una persona “semplice” in un’operazione di astrusi cerebralismi e oscuri simbolismi? Basta a giustificare l’operazione il suo dimostrarsi “diversamente consapevole” o l’atteggiamento di illuminata tolleranza per le sue imperfezioni e intemperanze?
E se un festival, oltre a lasciarci visioni, emozioni, curiosità, idee e progetti, ci lascia delle domande, vuol dire che ha assolto bene il suo compito.
ConFormazioni è un progetto di Muxarte
con il sostegno del MiBAC
direzione artistica Giuseppe Muscarello
direzione organizzativa Danila Blasi
direzione tecnica Gabriele Gugliara
segreteria organizzativa Federica Aloisio
amministrazione Letizia Coppotelli – Massimo Sozzi
ufficio stampa Marta Occhipinti – Sofia Li Pira
Palermo
24-28 aprile 2019