RENZO FRANCABANDERA e MATTEO BRIGHENTI | RF: L’impresa teatrale e performativa del Teatro dei Venti portata a termine con l’allestimento di Moby Dick, che, dopo quattro tappe di avvicinamento nella scorsa stagione, ha debuttato nella sua versione definitiva all’interno di Trasparenze Festival a Modena (2-5 maggio), ha le caratteristiche della grande impresa epica.
A differenza di altre iniziative di livello scenico importante, questa opera di ingegno collettiva è nata dall’ardimento di Stefano Tè e del suo gruppo di lavoro, stretto attorno a un esperimento di teatro sociale attivo in Emilia-Romagna da molti anni. L’impresa si struttura come una delle più importanti iniziative di teatralità acrobatico-performativa di piazza – nata da una produzione indipendente – di cui si abbia memoria tangibile negli ultimi trent’anni in Italia.
Parliamo di un lavoro che incorpora forza di volontà, folle incoscienza, grandissima maestranza artigianale e ingegneristica, di quelle che all’estero ci invidiano.

Moby Dick - Teatro dei Venti - foto Chiara Ferrin
Foto Chiara Ferrin

MB: Il Festival Trasparenze di quest’anno, il settimo, passerà alla storia come l’edizione di Moby Dick, epopea della strenua, infaticabile ricerca di oltrepassare i limiti e i condizionamenti che la natura e la società, la scienza e la tecnica ci impongono. L’immaginazione è il remo di cui il Teatro dei Venti ha fatto «ali al folle volo», al pari dell’Ulisse di Dante Alighieri. Ovvero, la sensibilità di percepire che non è tutto già scritto fin dal principio, che possiamo affermare noi stessi in qualsiasi momento e qualunque sia la nostra nascita o la nostra colpa.
La sfida è inseguire la leggerezza dell’essere in sé, levando l’ancora dalla pesantezza dell’avere su di sé. Allora, anche una balena può librarsi in volo, portandosi dietro un’intera città: il graffito che campeggia nella sede in via Carteria della Konsulta, il gruppo di spettatori under 30 che collabora stabilmente alla direzione artistica di Stefano Tè (affiancato per il terzo anno da Giulio Sonno), è significativamente diventato immagine identitaria e manifesto programmatico della manifestazione (il disegno è di Caterina Vignudelli, Maria Gaia Cafaggi e La Konsulta, la grafica è di Sara Garagnani).

Flussi e flutti dovevano portarci fino a Gombola, frazione di Polinago, per trovare e praticare connessioni alternative fra artisti, operatori, istituzioni, con l’obiettivo cardine di perseguire la centralità della “periferia”, non solo geografica. La pioggia ha risparmiato, all’ultimo, Moby Dick (lo fa dalla prima del 2018 in piazza Roma, come se la possibilità di esibirsi fosse quasi un tributo del Creato alla determinazione del creare umano). Una volta mutata in neve, però, ha impedito di raggiungere quel frammento di territorio modenese sulle prime propaggini dell’Appennino. Forse, a ben pensarci, è stato giusto così: solo il fallimento testimonia realmente lo sforzo fatto e incita il desiderio di tentare ancora e meglio.

RF: Ho pensato anche io la stessa cosa. Era giusto così. Mai sfidare la sorte oltre. Ma continuare con la costruzione lenta e progressiva, che è e deve tornare a essere il codice di Teatro dei Venti.
Tanto la costruzione quanto Moby Dick, di per se stesso, indicano la cifra espressiva di un sodalizio artistico nato da esperienze creative diverse fra loro, ma giunto ormai, negli ultimi anni, a un’interessante maturità compositiva e scenica. Uno spettacolo come questo, ideato e diretto da Tè, con l’adattamento drammaturgico di Sonno, la consulenza alla regia di Mario Barzaghi e l’assistenza di Simone Bevilacqua, rappresenta sicuramente un punto d’arrivo importante.
Si parte con un gruppo di ottanta bambini delle Scuole San Giovanni Bosco e Palestrina, che simbolicamente affronta la sfida dell’ignoto e che, come il protagonista di Herman Melville, si imbarca in un’avventura letteraria che è anche di vita. Da qui in avanti la spettacolare impalcatura diventa adulta e porta in primo piano il succo del lavoro del Teatro dei Venti – dal teatro in carcere alla giocoleria, dall’arte di strada alla composizione scenica di massa – grazie a sedici straordinari attori-performer (che citiamo tutti in rispetto al lavoro collettivo: O. Casolari, M. Cupellari, D. De Blasis, A. Domínguez Escribano, F.Faggioni, T. Ferri, F. Figini, A. Boni, D. Filippi, H. Langanky, G. Maia, A. Martinez, A. Ruocco, A. Santangelo, M. Valente, E. Vignolo).

Al ritmo del sonoro di Luca Cacciatore, Igino L. Caselgrandi e Domenico Pizzulo, sviluppato portando in primo piano le percussioni di Caselgrandi, come nella stiva di una nave, e trainata da una dozzina di interpreti del Carcere di Modena e di Castelfranco Emilia, che la trascinano letteralmente con le funi, si fa largo la grande struttura di legno che fa da protagonista insieme agli artisti.

Moby Dick - Teatro dei Venti - foto Chiara Ferrin
Foto Chiara Ferrin

MB: Muovere utopie è il titolo dato a queste Trasparenze. Eloquente è la scelta che a evocare e muovere l’utopia principe rappresentata da Moby Dick siano proprio dei bambini e dei detenuti: alfa e omega della nostra condizione di libertà, opposti complementari con la medesima dignità di dare corso al Pequod e a ogni suo giorno a venire. Perché non c’è mai luce senza ombra, e viceversa.
I bimbi avanzano in fila, piccole onde ognuna rivestita con un impermeabile, giallo come la cerata dei marinai (i costumi sono a cura di Teatro dei Venti, Luca Degl’Antoni e Beatrice Pizzardo). Camminano, corrono, si fermano a dirci in faccia che non hanno paura della tempesta che sale all’orizzonte: il fortunale che stravolgerà in sorte sventurata la fortuna di stare tutti sulla stessa barca.
Il cuore battente dell’azione è l’ensemble. La Compagnia, nel singolo elemento quanto nel collettivo, sembra impartire un ordine preciso, sovrumano, alle cose e agli eventi. Sono padroni dello spazio e delle situazioni, presenti a loro stessi e all’idea generatrice e realizzativa a tal punto da riuscire a sospendere i termini normali del tempo e della gravità.
La nave, del resto, non è reale, va oltre la realtà. I 13 metri per 5 che arrivano fino a 7 e le 8 tonnellate di scenotecnica e macchine di scena progettate da Dino Serra e Massimo Zanelli costituiscono un vero palcoscenico. Assi tirate, a loro volta, su un altro palco, all’incrocio fra la strada di Aspettando Godot di Samuel Beckett e il palco del palco di Sei. E dunque, perché si fa meraviglia di noi? di Roberto Latini da Pirandello.
I carcerati, novelli Atlante, reggono sulle loro spalle il peso più grande: scontare la pena di non avere più voce su come sono (stati) descritti e narrati fuori, alla luce del sole. Per questo, offrono la loro fatica in dono ad altri, a chi può ancora determinare la sua esistenza davanti agli occhi al mondo. E, così facendo, riscattare anche loro.

Moby Dick - Teatro dei Venti - foto Chiara Ferrin
Foto Chiara Ferrin

RF: La poetica umana, i quadri in movimento, la composizione delle scene di massa raggiungono una capacità coreografica di primario interesse, ma è innegabile che la dimensione artigianale e leggendaria sottesa alla gigantesca struttura lignea che viene montata dal vivo, sotto gli occhi dello spettatore e che si libra nuotando nell’aria, sospesa all’albero maestro di questa immaginaria nave, ha caratteristiche assolutamente mozzafiato. Quando la chiglia della nave, una volta rovesciata, diventa rappresentazione simbolico-scheletrica della balena e viene sollevata a mano, issata come una bandiera gigantesca e poi fatta ruotare nel buio della sera, il pathos dello spettatore raggiunge livelli profondissimi.

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Quest’opera artigianale ha davvero caratteristiche uniche, personalmente mai viste in una produzione indipendente. Si tratta di un gigantesco oggetto di design contemporaneo, frutto di un lavoro creativo minuzioso, che sarebbe stato fin dall’inizio impossibile senza la volontà di questo gruppo di rischiare tutta la sua storia in un’impresa cooperativa che aveva i confini dell’assurdo, del folle.

MB: Moby Dick è adrenalinico, è un’esperienza assimilabile allo storico Orlando furioso di Luca Ronconi. Ogni muscolo, nervo, tessuto che si dibatte su questo mare di legno e tenacia è fatto della stessa sostanza dell’ossessione del Capitano Achab. Dunque, di Stefano Tè: ciò che ha osato ha voluto e ciò che ha voluto farà. Un po’ Amleto, un po’ Don Chisciotte.
Nella suggestione di un simile confronto tra la pagina e la vita, si può giocare all’azzardo di dire che Ismaele, che in ebraico sta anche per “l’atto di Dio di far ascoltare”, sia Melville stesso. O meglio, il teatro di Melville che Giulio Sonno ha disvelato attraverso la materia del romanzo.
Le parole riecheggiano delle intenzioni, crediamo profonde, dello scrittore americano, dischiuse con l’inserimento di passi dal Qohélet e dal Faust di Johann Wolfgang Goethe, nelle traduzioni di Guido Ceronetti e Franco Fortini. Sonno è entrato in risonanza con il testo e il suo contesto storico, culturale, riportando alla superficie il bagliore di un’interpretazione forse originaria, certo originale: Achab come uomo-individuo in eterna lotta per un modello di società umano, solidale, alternativo all’uomo-massa totalizzante, impersonato dalla balena, “the Mob”. «Moby Dick – scrive nelle note – diventa allora il “genio della folla”, la sintesi impossibile, il leviatano spietato di Hobbes che divora il trascendentalismo di Emerson».
L’attesa, l’impazienza, sono occhi puntati fuori dalla barca. L’equipaggio abita in mezzo a uncini, ami giganteschi, che assomigliano a costole mostruose. La nave è la sua rotta e porta costantemente altrove. Tutto quello che salva e, insieme, compromette donne e uomini sul ponte, è il supplizio di lanciare le loro fiocine verso quell’altrove, nel nulla.
Quando la struttura viene issata e le costole si rigirano e chiudono sulle teste dei marinai, il mostro si rivela per ciò che è. «Il male abominevole, / l’assenza di colore» è la bianchezza della balena cantata da Vinicio Capossela: qui, con un’invenzione sorprendente, è un vuoto di ossa. Il vento lo attraversa e muove la vela rotta di quella che, a tutti gli effetti, pare ora una nave fantasma su un mare morto, da cui vediamo riemergere non Pinocchio, ma i richiedenti asilo del Gruppo Marewa.

Moby Dick o Godot o l’Autore non sono altro che l’illusione di un’illusione. Facciamo ciò che non possiamo, perché vogliamo ciò che non abbiamo. Sempre e comunque. È questa tensione all’infinito, però, che ci fa essere umani. E il bacio della balena ad Achab, nella notte solitaria del mistero impenetrabile, è l’onore delle armi a chi, pur sapendo come va a finire, continua imperterrito a navigare.

Moby Dick - Teatro dei Venti - foto Chiara Ferrin
Foto Chiara Ferrin

RF: Tutta questa narrazione viene poi ripresa nel documentario Moby Dick o Il Teatro dei Venti di Raffale Manco, proiettato in anteprima durante il festival: un’opera filmica che davvero riesce a trasmettere sia il senso della costruzione, sia il portato epico assoluto di tutta la vicenda che, dal 2015 in avanti, è diventato il sogno del Teatro dei Venti.
Difficilmente si assiste a sogni di questa portata, emozioni in cui leggibilmente traspare il sogno realizzato di un gruppo di persone. Al di là della materia attorale e drammaturgica pregevole, della costruzione musicale che continua a percuotere ben oltre la durata dello spettacolo, dell’immaginario vorremmo dire junghiano, simbolico-ancestrale di questa creazione, quello che resta e rimane agli spettatori è il desiderio di portare dentro di sé le grandi sfide incoscienti, quelle che danno senso alla vita, impossibili se il sogno di uno non diventa il sogno di tutti.
Indimenticabile!

 

MOBY DICK

ideazione e regia Stefano Tè
adattamento drammaturgico Giulio Sonno
consulenza alla regia Mario Barzaghi
assistenza alla regia Simone Bevilacqua
direzione musicale Luca Cacciatore, Igino L. Caselgrandi e Domenico Pizzulo
costumi a cura di Teatro dei Venti, Luca Degl’Antoni e Beatrice Pizzardo
disegno luci Alessandro Pasqualini
audio Nicola Berselli
scenotecnica e realizzazione macchine di scena Dino Serra e Massimo Zanelli
scenografie Dino Serra in collaborazione con Teatro dei Venti
con Oksana Casolari, Marco Cupellari, Daniele De Blasis, Alfonso Domínguez Escribano, Federico Faggioni, Talita Ferri, Francesca Figini, Alessio Boni, Davide Filippi, Hannes Langanky, Giovanni Maia, Alberto Martinez, Amalia Ruocco, Antonio Santangelo, Mersia Valente, Elisa Vignolo
una produzione Teatro dei Venti
in co-produzione con Klaipeda Sea Festival (Lituania)
con il sostegno di Regione Emilia-Romagna, Comune di Modena, Fondazione Cassa di Risparmio di Modena
con il contributo di Comune di Dolo (VE)
in collaborazione con Associazione Echidna

Estatoff, Modena
4 maggio 2019

Prime date della tournée estiva:
8-9 giugno Holzminden (Germania)
14 giugno Pennabilli (RN)
22 giugno Londra (Inghilterra)

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