LAURA BEVIONE | Si aprirà martedì 21 maggio e proseguirà fino al 30 dello stesso mese l’edizione 2019 di Interplay, il festival internazionale di danza contemporanea ideato e diretto da Natalia Casorati. Per dieci giorni la città di Torino e i suoi dintorni saranno invasi da danzatori provenienti da dieci nazioni diverse, pronti ad animare tradizionali sale teatrali ma anche centri commerciali e musei. Ci spiega tutto la stessa Natalia Casorati.
Quest’anno festeggi venticinque anni di attività nella danza contemporanea: come nacque il festival?
Soprattutto sono venticinque anni che coltiviamo lo stesso spirito, pensando al futuro prossimo, guardando alle nuove generazioni e sempre alla nuova edizione del festival, anche se deve ancora iniziare quella del 2019!
Insomma venticinque anni fa ho immaginato un nuovo percorso per la danza contemporanea con il progetto Out Door: erano tempi in cui non c’era pubblico, non c’erano spazi, non c’erano teatri che programmassero la danza. Dal 1993 con Mosaico Danza ho ospitato, nell’ambito di Contrappunti, artisti programmati con lavori site specific in giro per la città: cortili, chiostri, gallerie d’arte, ovvero spazi per pubblici curiosi e incuriositi. Nel 2001 è nato il festival che si è subito caratterizzato per andarsi a cercare il pubblico, programmando non solo nei teatri, ma soprattutto portando la danza in urbano, con spettacoli gratuiti nelle vetrine dei negozi, nei musei, nelle piazze, nei locali.
In questi anni il mio più grande impegno, come direttore di festival e come associazione, è stato quello di sostenere gli artisti più giovani, cercando di rispondere alle loro urgenze: bisogno di residenze per le nuove creazioni e date in tournée per gli spettacoli. Così abbiamo messo in piedi tante residenze, credendo fortemente nel fare rete in Italia e all’estero: Interplay è l’unico partner italiano di Dance Roads, Les Repérages e Ciudaded Que Danzan, ed è il primo partner piemontese a entrare nel network nazionale Anticorpi XL.
Puoi tracciare un bilancio di questi venticinque anni: come si è trasformato il festival e com’è cambiato l’approccio del pubblico alla danza contemporanea?
L’urgenza dei nostri tempi ci fa capire che non è possibile una progettualità culturale se non si parte da un radicamento nel tessuto metropolitano e dalla necessaria complicità di più realtà territoriali che vi lavorano. La complessità del presente deve incontrare e contaminarsi con le realtà di un territorio, per non perdere il proprio senso e una funzione sociale.
Negli anni Mosaico Danza ha trovato questa complicità nella condivisione di diverse azioni a sostegno della giovane creatività con più soggetti del territorio locale e nazionale. Networking, collaborazioni, scambi e residenze sono oggi gli strumenti di una progettazione culturale allargata che inventa nuove occasioni per artisti emergenti e affermati e, nello stesso tempo, offre al pubblico strumenti nuovi per apprezzarli.
Quali i fili rossi di questa edizione 2019?
È sempre molto difficile trovare un vero tratto comune nel programma del festival, ma credo che una delle tendenze artistiche dei coreografi, che sviluppano ognuno a modo proprio, sia quella del portare in scena la fragilità di un mondo che non sa più dare certezze, di un clima che cambia, di un’economia instabile, di rapporti umani che si sgretolano.
Sono previsti alcuni appuntamenti in luoghi non teatrali – gallerie d’arte, un centro commerciale: perché questa scelta?
Portare la danza fuori dai contesti usuali è da sempre la mia scommessa, il mio tenace tentativo di avvicinare pubblici diversi, sperando di stupirli, incuriosirli. Interplay ha sempre avuto una sezione di “danza urbana”, che quest’anno ho amplificato raggiungendo contesti assolutamente antitetici, come il centro commerciale, la nuova agorà delle periferie metropolitane, e gli spazi asettici di una galleria d’arte, dove i linguaggi del contemporaneo sono di casa, o di un grande e importante museo come GAM [Galleria d’arte moderna].
È il mio progetto di audience engagement, e l’ho in mente da prima ancora che qualcuno decidesse di chiamarlo così! Un progetto di diffusione culturale e di inclusione sociale, perché è lo spettacolo che incontra lo spettatore, lo abbraccia, lo include in modo anche fisico.
Nel cartellone del festival vi è anche un’importante giornata di studi: quali le tematiche che verranno trattate?
Insieme a Fabio Acca abbiamo voluto proseguire anche nell’ambito di questa edizione di Interplay un discorso che da tempo accomuna il pensiero di molti direttori di festival in Italia, che saranno con noi a discuterne finalmente ad alta voce.
I festival riescono ancora a interpretare in modo indipendente, libero da pressioni economiche e politiche, il loro ruolo di scout, di ricerca, di attenzione alle tendenze più interessanti del contemporaneo? Il 24 maggio ci ritroveremo al Polo del ‘900 e cercheremo di rispondere a questa domanda provocatoria.