ELENA SCOLARI | Albert Camus (1913-1960) considerava il teatro il più alto dei generi letterari. Di più, diceva:
E innanzitutto trovo che il teatro sia un luogo di verità. Generalmente si dice che è il luogo dell’illusione. Non lo creda affatto. Sarebbe piuttosto la società a viver d’illusione e lei incontrerà sicuramente meno istrioni sulla scena che in città. Prenda in ogni caso uno di questi attori non professionisti che figurano nei nostri saloni, nelle nostre amministrazioni o, più semplicemente, nelle nostre sale di ripetizione generale. Lo metta su questa scena, esattamente in questo posto, scarichi su di lui 4000 watts di luce, e la commedia allora non durerà più, lo vedrà in un certo senso tutto nudo, nella luce della verità.
Sicuramente sta in questa luce il bravissimo Woody Neri, interprete unico de Lo straniero – un funerale, di Francesca Garolla. In scena c’è anche il regista Renzo Martinelli, alle prese con un ingombrante attrezzo che scorre su binari curvi; con questo segue Neri, un lungo braccio con un faretto/sole, che raccoglie (con un microfono) anche i rumori che l’attore produce.
Le corde metalliche di questa specie di grande balestra sono pizzicate e sfiorate con un archetto da Martinelli a creare gli unici suoni, diradati e astratti, dello spettacolo.
Camus non era un esistenzialista. È lui stesso ad affermarlo, in un’intervista nella quale si distanzia da Sartre, spiegando di non aver mai scritto un libro di idee, considerando invece l’esistenzialismo una corrente di pensiero, filosofico prima e letterario poi, che trova nella ricerca del significato e della possibilità dell'”esistenza” il modo d’essere specifico dell’uomo, caratterizzato dall’irripetibilità e dalla precarietà. Lo scrittore intendeva probabilmente dire che i suoi scritti erano dirette forme d’espressione (ognuno poi ne cavasse ciò che trovava con la propria sensibilità) e non costruzioni teoriche tese a creare una struttura di concetti.
Ne Lo straniero (edito nel 1942), cui l’autrice Garolla si ispira per il testo teatrale, Camus racconta di Mersault, un impiegato che vive ad Algeri in uno stato di indifferenza, di estraneità a sé medesimo e al mondo. Algeri la bianca è rappresentata in scena da un quadrato di mattoni grezzi bianchi, ricordano la luce speciale di quella città portuale, dove una distesa di case si stende di fronte al Mediterraneo.
Il romanzo comincia con la morte della madre del protagonista, per la quale egli sembra non provare alcuna commozione, fedele alla propria condizione di asettico disinteresse. L’uomo intreccia una relazione con Maria, interessato più ai suoi seni che ad altri aspetti della persona; in seguito ucciderà un arabo, sulla spiaggia, senza apparente motivo, sparandogli con una pistola avuta dall’amico Raymond.
Woody Neri entra ed esce dalle pagine del romanzo, parlando in prima persona. L’attore è Mersault ma fa spesso riferimento all’autore Camus, chiosando la scarsezza di parole che attribuisce al suo personaggio, lamentando lo sforzo richiesto al lettore per capire. Ma per capire cosa? Forse è proprio lo smarrimento del non sapere cosa cercare che all’autore interessa provocare. Neri attraversa un labirinto senza punti di riferimento con grande sottigliezza di indagatore, si fa domande, ne pone a noi, si osserva e si misura mantenendo una certa qual ironia. Mi ha ricordato le riflessioni de La morte di Ivan Il’ič di Tolstoj, in cui il protagonista si consuma per via di una strana malattia cui nessuno trova spiegazione; nella prostrazione si interroga e riconosce di aver vissuto una vita artificiale, troverà nella morte il senso di un’esistenza convenzionale.
Lo spazio di movimento di Neri/Mersault è limitato a metà della scena, occupata per l’altra metà dal braccio metallico che abbiamo descritto. Potrebbe essere una scelta registica per rendere l’idea di un pensiero chiuso; di fatto però l’oggetto si fa troppo visibile rispetto all’attore e lo costringe a un’angustia fisica forzata da una presenza tutto sommato non così significativa, dal punto di vista dell’invenzione scenica, ma anzi voluminosa e faticosa (nonché rischiosa) da reggere, per Martinelli che la manovra. Seppur con discrezione e con occhio sempre concentrato su Neri.
Francesca Garolla ragiona sul testo di Camus, non ce ne dice di più, anzi ne evidenzia i vuoti, ne sottolinea il mistero e l’inspiegabilità. Il funerale del titolo allude forse a un’esequie in onore dell’umanità, come genere e come idea, oggi maltrattata, trascurata, bloccata. Nei porti e nei centri di cosiddetta accoglienza.
E proprio in Algeria, anche se nessun nostro TG ne fa cenno alcuno, per la seconda settimana consecutiva ci sono state manifestazioni “monstre” dalla capitale Algeri a Orano e Costantine (seconda e terza città più grandi del Paese) par allontanare lo spettro di un quinto mandato del presidente Abdelaziz Bouteflika, al potere dal lontano 1999 e parzialmente invalido dopo un ictus nel 2013.
Non saprei dire se sia significativo che Camus abbia collocato in Algeria questa storia di uno straniero – fuori luogo con se stesso e con il prossimo – ma certo nel 1942 questo grande paese dell’Africa del nord era ancora una colonia francese e il legame tra le due nazioni stava per sfociare (una decina di anni dopo) nella guerra d’indipendenza algerina, durata otto anni, seppur le proteste nacquero ben prima,
Credo, ad ogni modo, che sia significativo il desiderio di interrogarsi che Garolla esprime con i suoi dubbi, non tanto sul romanzo quanto su ciò cui Lo straniero dovrebbe farci pensare, quindi sul senso di un gesto, di una scelta, irreversibile.
La prova di Woody Neri è alta perché con la sua recitazione fa rimanere il personaggio, in fondo, poco convinto di quello che sta dicendo, il suo non gli pare l’unico atteggiamento possibile. Questa è la luce di verità che il teatro accende.
La paura può farti premere un grilletto, può farti ammazzare una volpe perché nel buio chissà cosa ti è sembrata. È aggirarsi nel buio che fa sembrare tutto straniero.
LO STRANIERO – UN FUNERALE
liberamente ispirato da Albert Camus
di Francesca Garolla
regia di Renzo Martinelli
con Woody Neri
luci Mattia De Pace
assistente alla regia Martina Dell’Utri
costumi ValeriAura
Teatro i, Milano | 18 maggio 2019
in scena fino al 29 maggio 2019
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