ALICE CAPOZZA | Spettacoli, performance, conferenze, tavole rotonde, libri: il ricco programma del Festival Storie Interdette – Fare comunità (già presentato su PAC da Matteo Brighenti) è l’incontro di una comunità dentro le mura di un ex manicomio. San Salvi è stato l’ospedale psichiatrico di Firenze dal 1890 al 1998, un grande parco e complesso edilizio di numerosi padiglioni, ormai parte del tessuto urbano della città, dopo un lungo percorso condiviso perché non fosse più un luogo chiuso.
san-salviSan Salvi Città Aperta si legge sul murale d’ingresso al padiglione 16, sede dei Chille de la Balanza. Al festival si respira aria di casa: pubblico, artisti, tecnici, collaboratori, stagisti (presenti anche gli studenti dell’Istituto “Giuseppe Peano” in alternanza scuola-lavoro) hanno condiviso una tre giorni (10-12 maggio) con gli occhi puntati verso gli ultimi, gli immigrati, i malati, i segregati: i protagonisti di storie interdette.

All’interno del festival, quattro spettacoli in concorso, selezionati con un bando nazionale per under 35 sui temi della salute mentale e dei migranti: sei giovani artisti – Guido Sciarroni e Iwan Paolini da Padova e Siena, la milanese di origini ucraine Karyna Dolzhenko, e infine da Napoli Elvira Buonocore, e la coppia Andrea Cioffi e Sara Guardascione –, a partire dalla propria idea progettuale, sviluppata con una residenza artistica a San Salvi, hanno realizzato performance di circa venti minuti ciascuna, presentate una di seguito all’altra, quasi a comporre un unico spettacolo; una creazione collettiva nello spirito di collaborazione e comunità che si respira dai Chille.

Guido Sciarroni Iwan Paolini_foto Cristina Giaquinta
Il latte dei sogni – Foto Cristina Giaquinta

Il latte dei sogni è il primo lavoro che accoglie gli spettatori e la giuria del festival: Guido Sciarroni e Iwan Paolini sono già in scena, coperti da grandi maschere disegnate con l’innocenza di bambini e il tocco surrealista dai colori accesi che riporta a Leonora Carrington, pittrice britannica vissuta in Messico. La storia racconta un frammento della vita dei due figli di Leonora, il momento di andare a dormire. Lo spazio è occupato da due piccoli letti con le coperte rosse e un baule, sul fondo ritagli di disegni di animali e oggetti infantili. Interessante la dinamica dei movimenti degli attori, che sanno prendere la scena costruendo una narrativa vista dagli occhi di figli, ai quali risulta incomprensibile la contraddittoria vita familiare con una madre fuori dagli schemi. La musica dolce da ninna nanna e, allo stesso tempo, inquietante di La Poupée Automate di Nino Rota accompagna la buonanotte.
L’idea di rileggere l’omonimo libro della Carrington, spostando il punto di vista dalla protagonista ai figli, evocando indirettamente la “follia” del genitore, è intrigante, pur nella difficoltà di rappresentare due bambini attraverso corpi adulti. Lo sviluppo della narrazione procede per numerosi cambi di piano – dai dialoghi tra i figli sui letti, ai nonni inglesi con tazze di , alle spaventevoli fiabe frammentate raccontate dalla madre.
La conclusione è affidata a un tenero moto di affetto verso la madre, alla quale augurano “buon compleanno” un attimo prima di sparire sotto le coperte.

Elvira Buonocore_foto Cristina Giaquinta
Concorso di bellezza – Foto Cristina Giaquinta

In pochi minuti la scena cambia per Concorso di bellezza di Elvira Buonocore: al centro una panchina rossa da cui osservare, come in una sfilata, strani individui nella piazza del paese. Notevole la prova dell’attrice che, con esuberanza partenopea, riesce a interpretare i gesti, le movenze, la fisionomia, le inflessioni dei matti che scorrono in proscenio.
Di ciascuno vediamo l’essere inerme, mancante di un pezzo. Sentiamo la vicinanza sincera di Buonocore che li ha osservati, compresi, sentiti senza pregiudizi e portati in scena senza stereotipi. Sono come carta straccia, bisognosi dell’attenzione altrui, ed ecco che ottengono la loro gran soirée, i “flash” sulla “passerella” dei matti: «serve una forte personalità per farsi notare dalla gente». La dimensione claustrofobica del paese – «ci vedono tutti, tutti lo sanno» – è accentuata dagli occhi espressivi dell’interprete, dalla sua voce carica di ansia e agitazione.
Pregevole l’intera costruzione dei monologhi dei personaggi che si alternano, compaiono e spariscono, tenuti insieme dalla panchina rossa, fino a rimanervi impigliati nella rete di fili che da essa si diramano.

Karyna Dolzhenko_foto Cristina Giaquinta
Non SoStare – Foto Cristina Giaquinta

Non SoStare di Karyna Dolzhenko prende forma dalla vicenda personale dell’attrice.
Irrompono i dialoghi e le sciocche domande che le rivolgono gli italiani, divertente attacco drammaturgico che permette un approccio ironico al tema della migrazione. «Ma siete tutte bionde? C’è tanta neve? Strano che non ti chiami Natasha! Il vostro piatto tipico è l’insalata russa?».
Il racconto del viaggio in treno e in macchina, lo sradicamento dalle proprie origini, le valigie fatte e disfatte, i pianti trattenuti, i binari vuoti, sono il terreno da cui pur si sente rabbia mista a dolore. La memoria non è rifugio, ma segno di differenza e diffidenza.
Inizio e fine coincidono in un gioco di guerra, rumore di spari in trincea, con la giovane in tuta mimetica: si mescolano, forse, il ricordo di un mondo in conflitto, la nuova realtà estranea con cui ha dovuto combattere, la finzione infantile di giochi abbandonati in una terra dimenticata: «le persone più felici sono quelle senza memoria».
La struttura di Non SoStare è semplice ed efficace, soprattutto quando l’attrice riesce a distaccarsi ironicamente dai fatti, rendendo ridicoli e banali i suoi interlocutori, alla ricerca, sempre e comunque, di un diverso da insultare.

Andrea Cioffi Sara _foto Cristina Giaquint
La Pagella – Foto Cristina Giaquinta

La Pagella di Andrea Cioffi e Sara Guardascione, prendendo spunto dalla vicenda del bambino del Mali morto in mare con la pagella cucita nella tasca, ci proietta in avanti, in un futuro prossimo, su un molo di un porto chiuso a cui fa da vedetta un “salviniano” mendicante, dall’accento nordico, che difende i confini nazionali da “loro”: un fantomatico esercito di stranieri che, dice, «ci vuole distruggere».
In questa umana ed etica discarica di oggetti accatastati e sacchi di plastica nera, che ricorda il mondo distopico di Carrozzeria Orfeo in Cous Cous Klan, il coprifuoco impedisce di muoversi liberamente, ma una ragazzina con la pagella in tasca vi si intrufola. «È finito il tempo delle passeggiate in riva al mare», le urla il guardiano, «editto sulla sicurezza del 2025… è finita la pacchia».
Si racconta al passato il nostro tempo presente diviso in fazioni, l’estremizzazione delle posizioni, la difesa della propria identità, a tal punto da perdere l’orizzonte del male e del bene. I due protagonisti guardano il vuoto nel buio della notte, entrambi persi verso quell’unica porta ancora aperta, il mare incontenibile, incessante, imprevedibile. Si tratta di un testo solido nella struttura narrativa: una storia ben rappresentata, con personaggi definiti.

La Pagella è stato il progetto vincitore del primo premio, votato sia dal pubblico che dalla giuria, e si è aggiudicato 500€. Il secondo, Non SoStare, ha vinto 300€. A Il latte dei sogni e La Panchina, considerati terzi ex-aequo, è stata riconosciuta una menzione di partecipazione. Comunque, come ha precisato Claudio Ascoli dei Chille durante la premiazione, il primo e l’ultimo lavoro sono arrivati a pochi voti di distanza l’uno dall’altro: segno del buon livello di tutti i selezionati.

Fare comunità è il sottotitolo del festival: parole piene di significato in una realtà che ha sede dentro un ex-manicomio. Oggi come non mai i confini sono al centro della percezione comune, luoghi di conflitti e oggetto di investimento simbolico. Negli Stati Uniti il Presidente Donald Trump vuole costruire un muro contro l’immigrazione dal Messico. Il Mediterraneo è un grande spartiacque tra ricchi e poveri, solcato da navi in cerca di approdo. La difesa dei confini è propaganda continua dei nazionalismi crescenti. Ma la definizione della propria identità non deve essere una trappola, una catena per l’essere umano.
«Abitare i confini» suggeriva Ernesto Balducci. Il manicomio è l’estremizzazione, l’aberrazione del bisogno di distanziare, nascondere, soffocare il diverso, lo straniero che sta “dall’altra parte del muro”. Abitare significa incontrare e comprendere, uscire dalla barriera per fare comunità.


FESTIVAL STORIE INTERDETTE – Fare Comunità
Chille de la Balanza
in collaborazione con MiBAC, Regione Toscana, Comune Firenze, RAT, Fondazione Basaglia, Conferenza Basaglia, La società della Ragione, Istituto tecnico Peano Firenze, Associazione Carta di Roma

Spettacoli in concorso
LA PAGELLA di Andrea Cioffi e Sara Guardascione
NON SO-STARE
di Karyna Dolzhenko
CONCORSO DI BELLEZZA
di Elvira Buonocore
IL LATTE DEI SOGNI
di Guido Sciarroni e Iwan Paolini

Ex-manicomio San Salvi, Firenze
10-12 maggio 2019

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