FILIPPA ILARDO | Se ci fossero amministratori lungimiranti nel futuro di Vittoria, quest’ultima si potrebbe intitolare come “città del teatro”.
Siamo nel Sud del Sud, Vittoria è una cittadina pianeggiante, con le strade a scacchiera, a pochi chilometri dalla spiaggia di Montalbano, dotata di uno stupendo teatro all’italiana (come tanti nell’isola), il Vittoria Colonna (per ora chiuso).
Per molti amanti del teatro in terra sicula, Vittoria rappresenta un fatto straordinario. E non solo perché qui, ogni anno, dal 2009, si svolge Scenica, festival diffuso in vari luoghi della città, con uno sguardo al circo contemporaneo proveniente da varie parti dell’Europa, un festival nato e cresciuto qui, che quest’anno, alla sua undicesima edizione, ha ottenuto l’importante riconoscimento del MiBAC. È soprattutto l’attività incessante (caparbia e sognatrice) dell’Associazione Santa Briganti, che costituisce un esempio virtuoso di capacità organizzativa, radicamento territoriale, formazione del pubblico.
Per capire bene quello che succede qui bisogna fare una premessa e partire da lontano. La premessa è che, spesso, nelle province periferiche, la programmazione teatrale si limita a raccogliticce/ridanciane commedie di dopolavoristi in cerca di qualche ora di svago dalla monotonia lavorativa. Se si è fortunati, nei teatri dislocati nelle varie parti dell’isola, si arriva a stagioni di prosa in cui “nomi” di attori più o meno noti tentano di richiamare un pubblico che fatica a partecipare.
Ebbene dal 2007 nulla di tutto questo accade a Vittoria dove si programma un’importante rassegna di teatro contemporaneo, Teatro Aperto, ospitando compagnie che a queste latitudini ti sogni di vedere. Infatti se sei in Sicilia, devi tenere conto che molte delle compagnie conosciute in tutta la penisola, non le vedrai mai. Se, però, hai la fortuna di stare a Vittoria ti può capitare di incontrare una scelta, molto oculata, di artisti di grande valore.
E il pubblico? Come reagisce a queste proposte che, inserite in qualsiasi altro contesto, rischierebbero l’effetto “mi alzo e me ne vado”? Primo punto di forza è la formazione di spettatori recettivi, guidati non tanto a capire, ma ad apprezzare e godere di spettacoli dai linguaggi innovativi. Non un pubblico di esperti o addetti ai lavori, ma il pubblico vero, la comunità viva, la stessa che puoi incontrare in piazza o a fare la spesa.
Teatro Aperto non è una rassegna come le altre, occorre dirlo e ribadirlo, a contraddistinguerla è proprio l’avere formato questo pubblico-collettività, non solo sempre sold-out, ma attento, sensibile, critico, che si interroga e si lascia interrogare. Un lavoro ostinato, umile, ma veramente lungimirante.
Per capirlo, dicevamo, bisogna partire da lontano, perché quello che si coglie oggi è un frutto seminato e curato nel tempo. È da anni che quelli di Santa Briganti (volontari, fotografi, videomaker, insegnanti, architetti, ora anche attori), guidati da Andrea Burrafato, girano i festival del mondo e provano a portare, in quella parte dimenticata di mondo, un altro Teatro, un’altra idea di teatro. Così mentre la rassegna “ufficiale” programmata dal Comune si riempiva di nomi altisonanti, la loro proposta si faceva sempre più spazio. Alla lunga hanno avuto ragione, e quella piccola rassegna (magari concessa tra tira e molla, tra sì e no dei politici di turno) poi ha letteralmente scalzato quella ufficiale, per numeri, successo e presenze. Così si diventa, o si dovrebbe diventare, direttori artistici. E Andrea Burrafato lo è diventato per diritto, per lavoro, per sudore, perché ogni tanto i sognatori hanno la meglio e chi comanda non può fare finta di nulla. È per questo che suona come un miracolo questo festival, non solo perché da undici lunghi anni resiste, ma proprio perché è inteso e vissuto come una festa, partecipata e condivisa, un trionfo di colori e di energie che travolge tutti (bambini, giovani, adulti, anziani) e tutto (chiostri, cortili, ville, piazze, strade, stradine, pub e ristoranti).
Questa edizione, si è svolta da venerdì 10 maggio, per due fine settimana, fino a domenica 19, ha proposto venti spettacoli per più di quaranta repliche, con il patrocinio del Comune di Vittoria e il sostegno del MiBAC.
Si è iniziato con l’incanto dei Teatri Mobili, un autobus e un camion trasformati in teatri itineranti.
Nel primo abbiamo visto Manoviva del ben affiatato duo Girovago e Rondella, con la loro marionetta fatta di cinque dita. Perfezione dei gesti e della mimica rendono questi piccoli esseri più veri degli esseri umani, nella loro fragilità, nel loro tremolio, nella loro piccolezza, nel loro incedere un po’ incerto, in punta di piedi e poi esplodere in funamboliche acrobazie. Le marionette Manin e Manon sono due veri artisti che vibrano in minuscoli numeri da circo, nel loro corpo ricurvo, nell’esitazione che si trasforma in capacità di superare tutti i limiti. Uno spettacolo rarefatto, che trasforma il nulla in un tutto pieno di incanto, un sogno che si tocca con mano, una bolla di sapone in cui si rispecchia l’umanità con la sua inconsistenza e la sua voglia di superarsi. Potrebbero essere solo “numeri”, ma in quelle piccole esibizioni è compresa tutta l’essenza dell’essere artisti, del vivere di arte e dentro l’arte.
Ci colpisce come quasi tutti gli spettacoli visti abbiano un filo conduttore che consiste nell’indagine, lieve e piena di ironia, del confine metafisico tra la vita e la morte. Stesso tema troviamo in Antipodi, un misto di vari linguaggi (musiche, mimo, musica), della Compagnia Dromosofista, che trasforma un vero camion in teatro, quando uno scheletro, nella sua danza dionisiaca, si trasforma in un neonato, perfetta messa in scena, ironicamente macabra, del mistero arcano della vita e del suo proseguire, della morte e della rinascita.
Onirismo lirico ed esilarante comicità, per lo straordinario duo Les rois vagabonds, formato dagli artisti Julia Moa Caprez e Igor Sellem, che da anni sperimentano l’antica tecnica della clownerie, nello spettacolo Concerto pour deux clowns, il capolavoro di una vita cui dedicare l’esistenza per renderlo perfetto. La coppia, oltre ai tecnicismi di altissimo livello nel campo dell’acrobatica, della musica, della mimica, costruisce uno spettacolo dalla drammaturgia ferrea, fondata sulla dinamica della coppia di clown che, partendo dalle gag classiche, arriva a suggestioni profonde legate alle varie dimensioni dell’esistenza. Sono opposti che rappresentano l’uno il continuo dell’altro, come uno scivolamento nel rovescio, verso la deriva comica dell’esistenza. Un grandioso poema, che mette in scena il dualismo degli esseri umani, tra incanto e poesia pura, tra risate e visoni fantasiose, un grande inno all’arte, un grande inno alla vita.
Il festival Scenica è stato ed questo e molto altro, è stordimento e fantasia, è gioia di grandi e piccini, è amore per le cose belle, passione per l’arte, passione per gli artisti, per il loro mestiere lungo e difficile cui dedicano la vita intera per offrirla nel giro stretto di una piccola esibizione al pubblico.
Bisogna andarci a Vittoria, a respirare tutto questo, a sostenere questo lavoro, farlo per loro, ma soprattutto per noi stessi.