SILVIA ALBANESE | Milano, 23.05.19
Non si tratta di rappresentazione, ma di narrazione. Agrupación Señor Serrano utilizza un dispositivo narrativo, e questo contribuisce a rendere le creazioni della compagnia catalana un riuscitissimo ibrido tra cinema e teatro, in strettissimo dialogo con la musica (se Kingdom fosse un genere musicale sarebbe un punk pop, secondo gli autori). Questo è il terzo spettacolo di Agrupación che vedo, dopo A House in Asia (da loro assimilato all’hip hop) e Birdie (un jazz): lo devo al mio essere (continuamente) di passaggio a Milano e alla coincidenza che a Milano ci sia un “pusher” di fiducia, in Triennale, che propone merce molto adatta a me. La compagnia lo ha scritto in un post su Facebook:
Siamo dei narcos. Produciamo la merce. E mentre il pubblico è il destinatario finale della nostra merda, prima di raggiungerlo c’è qualcuno in mezzo. Colui che sceglie il materiale e lo distribuisce tra i drogati della cultura. Il pusher. Il programmatore. […] A Milano abbiamo un pusher di fiducia, che ci ha accompagnato negli ultimi anni e nel suo teatro ci siamo sentiti a casa (ovviamente non diremo il suo nome o non daremo il suo telefono o la sua e-mail…). Dalla sua mano saremo per la quarta volta di fila in città. Portiamo la merce, speriamo che fornisca un buon viaggio al suo pubblico.
21 maggio alle ore 18.37
Sì, grazie Àlex Serrano, Pau Palacios, Ferran Dordal: è stato un buon viaggio quello che avete creato. Da quando mi sono svegliata stamattina (alle 6, senza sveglia, ma perché?) una parola mi abita: irrequietezza. Mi sento così, irrequieta, tutto il giorno. (Pulisco casa, vado a lavoro, scrivo mail, faccio telefonate, contratto, negozio e organizzo. E ogni tanto respiro, mi nutro, anche se solo per pochi minuti, o pochi secondi, mi fermo). Mentalmente faccio i calcoli per capire a che ora mi conviene uscire dall’ufficio, quante fermate di metro ci sono da fare, quanta strada… Dopo quanti anni che si vive a Milano si smette di fare questi calcoli mentali? Sempre chiara e presente la consapevolezza di monetizzare il mio tempo, di essere parte di un sistema all’interno del quale non ho scelta: sono costretta a prendere parte ad assurdi rituali collettivi, a ripeterli ogni giorno. Perché le metro devono essere così affollate? Chi li decide gli orari di punta? Chi ha deciso che tutti i lavoratori debbano stare scomodi, pigiati in una metro l’uno contro l’altro, cercando di anestetizzare la propria sensibilità al contatto con un corpo sconosciuto, pur annusandone gli umori. Quale che sia il modo con cui hanno deciso di guadagnare del denaro, tutti questi lavoratori devono essere in un ufficio alla stessa ora, e uscire da un ufficio alla stessa ora. Vendi il tuo tempo, come in MOMO: i signori grigi, i ladri del tempo sono sempre in agguato. Dopo quanti anni si riescono a interiorizzare dei ritmi naturali, che siano a tempo con la città? Il capitalismo non ruba soltanto il tempo lineare, l’essere-tempo, ma anche l’essere a tempo, cioè il ritmo, l’essere a tempo con la vita.
The Kingdom è il titolo di uno dei capolavori di Lars von Trier: si tratta di una miniserie tv del 1994 composta da otto episodi per 280 minuti totali (che consiglio di spararsi in un’unica dose, per un effetto di maggiore godimento). Kingdom di Agrupación Señor Serrano non c’entra niente con The Kingdom di Lars von Trier. O forse sì. Sul palco del Teatro dell’Arte un cast completamente maschile, attori e musicisti, più delle comparse danzanti nel finale, rigorosamente maschili. Le uniche figure femminili in scena: Ann del primo King Kong che urla su uno schermo, Barbie, e forse qualcuna su Tinder, anche se quei profili che mostra Agrupación sono assurdi, non sembrano neanche umani. Ah, e Margart Thatcher, una donna che si ispira comunque a modelli patriarcali machisti.
E poi delle modelle, dei corpi femminili mercificati, proprio come la banana, che è la grande protagonista dello spettacolo, perché è dal “suo” punto di vista che viene narrata la storia: la storia di Kingdom racconta la nascita, l’origine, lo sviluppo, la crisi e la ripresa della questione dell’esportazione globale della banana, dovuta alla scoperta del miracoloso frutto, che avvenne in Costa Rica nel maggio del 1877, a opera di Minor Cooper Keith, un uomo d’affari più che un esploratore. Beh, questo business man scopre il frutto dell’amore, la banana, o musa paradisiaca, come la chiama Lineeo nella sua classificazione; nasce la multinazionale United Fruit Company, e il mondo occidentale diventa un consumatore di banane da record: lo sapevate che ogni anno ciascuno di noi consuma mediamente 102 banane? Non male, eh.
Agrupación ha bisogno di livelli per raccontare gli strati del reale.
Agrupación restituisce la possibilità di osservare la nostra modalità percettiva quotidiana. Quanti strati di realtà ho di fronte a me, nel campo della mia percezione visiva adesso?
1. ambiente in cui sono immersa, la cucina, con le gatte che mi guardano (giustamente stranite) mentre scrivo al pc;
2. la tastiera del pc;
3. lo schermo del pc;
4. le mille pagine aperte su Chrome;
5. il mio telefono qui a fianco
…
Il linguaggio di Agrupación Señor Serrano li prevede tutti questi livelli, nella narrazione spettacolare che offre. Allora: c’è un attore che riprende con una videocamera che riprende un ipad con cui un altro attore riprende degli oggetti disposti su un tavolo, tra cui tante copertine della rivista TIME (reali? manipolate?). Ciò che è ripreso lo vediamo su uno schermo. In scena c’è un set, e noi osserviamo il processo del farsi del film che vediamo, completo di molti strati.
«Il progresso sociale non si ferma: siamo tutti più sani, più istruiti, più connessi. Viviamo con la sensazione che tutto stia per finire, però il nostro mondo ogni giorno è un po’ meglio. Stiamo bene».
Questo è l’allusivo, antifrastico e anche un po’ isterico incipit dello spettacolo, che viene recitato da un attore al microfono. Stiamo bene. Anche Antonio Somaini, ospite del ciclo Dialoghi nella nebbia (a cura di Valeria Cantone) è rimasto molto colpito da questa frase; da questo sarcasmo, forse? Da questo cinismo? Perché Àlex Serrano e Pau Palacios lo dicono apertamente, senza edulcorare nulla: sono pessimisti. Non stiamo bene e non staremo certo meglio. Il capitalismo è una creazione perfetta, che ci assorbe e ci assimila anche se cerchiamo di starne fuori: il sistema può dare un prezzo a tutto, tutto si può mercificare, persino le idee, anche l’anarchia. Nessuno ne può stare davvero fuori; al massimo si può essere consapevoli, e quindi trovare una propria posizione, o meglio una propria autoregolazione rispetto al sistema; e questa autoregolazione forse è l’unica forma di resistenza possibile. Il sistema è un congegno perfetto, che non arriverà a esaurirsi, se non con l’esaurimento delle risorse.
Agrupación Señor Serrano sta lavorando al prossimo spettacolo The Mountain. Sarà un altro tassello nella generazione di discorsi contro il sistema: indagherà la costruzione e la manipolazione del racconto storico. Intanto Kingdom sarà al Teatro Astra di Torino il 13 e 14 giugno per il Festival delle colline torinesi.
Io lo consiglio. Sono uscita da teatro con quel senso di rabbia e impotenza che è giusto sentire, data la situazione storica, visto che domenica si vota per le Europee e sono terrorizzata perché temo che gli Italiani non vadano neanche a votare. Al massimo la maggior parte probabilmente andrebbe a votare Salvini, se lui promettesse in regalo un bel Gratta e vinci a tutti coloro che si presenteranno al seggio muniti di tessera elettorale e documento di riconoscimento valido.
Questo spettacolo avrei dovuto vederlo mercoledì, ma è stato annullato perché un uomo è caduto dallo scalone esterno della Triennale. Qualcuno dice che si tratti di suicidio, qualcuno dice che probabilmente era un clochard. Io non lo so chi fosse, ma posso comprendere il non farcela più, la disperazione, la solitudine, la sensazione che non esista alcuna soluzione, alcuna cura, alcuna via d’uscita.