MATTEO BRIGHENTI | Conoscere non è sapere. I libri non insegnano la vita, né come viverla. Cadono, letteralmente, dall’alto nelle Scene da Faust di Federico Tiezzi, ma sono bianchi. Immacolate le copertine, le pagine. Non stringere nulla è il frutto della volontà di possedere ogni cosa: la mente è (di)staccata dal resto del corpo.
La luce abbagliante in fondo al patto del Faust di Marco Foschi con il Mefistofele di Sandro Lombardi, il suo Virgilio mondano, è un ritorno alle origini e alle radici del ‘sapere’. Cioè: il sapore, l’odore. Una caccia al tesoro dei sensi che, alla prima nazionale al Teatro Fabbricone della nuova produzione del Teatro Metastasio di Prato e della Compagnia Lombardi-Tiezzi, assume, però, i tratti e i caratteri di una fredda speculazione intellettualistica. Tiezzi (sua la regia e la drammaturgia, sulla versione italiana di Fabrizio Sinisi da Johann Wolfgang von Goethe) pare interessato più all’idea, all’immagine, alla forma astratta dell’esperienza, che non alla sua rappresentazione, vera o propria.
Il viaggio nel mondo viene sempre ricondotto tra sé e sé, perdendo le ragioni per esistere: la scoperta, l’incontro, il contatto. Provare, su questo palco, significa sperimentare, affatto sentire. Non a caso, le scene di Gregorio Zurla (responsabile anche dei costumi) consegnano la prima parte del Faust (1772-1831) – «opera incommensurabile» come la definì lo stesso Goethe – a uno spazio da laboratorio, completamente bianco. I libri, ma anche l’intero universo, agli occhi di Faust, è vuoto: non ha più niente da dire e dare. Contiene tutti i colori e fallisce nel restituire i toni e le sfumature di ognuno.
E proprio da un ironico fallimento annunciato hanno inizio le Scene da Faust. Gli attori dell’ultimo biennio del Teatro Laboratorio della Toscana tenutosi a Pistoia, ospite dell’Associazione Teatrale Pistoiese, pregano, meditano, salmodiamo seduti in cerchio attorno a Foschi (canto Francesca Della Monica). Cercano la sua levitazione: se riesce, lo spettacolo si interrompe subito, altrimenti può cominciare. È una specie di Prologo sul teatro del poema originale: l’impossibile non può succedere davvero, bisogna credere che accada, senza poterlo realmente vedere.
Una figura incappucciata si alza da uno dei posti laterali in prima fila. È Lombardi e, in quanto Mefistofele, incede verso il Prologo in cielo. I tre arcangeli sono uomini in perizoma color carne, appesi per le caviglie; l’opera «insondabile» del Creatore è uno specchio infranto. Non riflette, fraziona, scompone, frantuma il viso dell’attore coperto di biacca, le sopracciglia nere rigate all’insù. Il cielo è rotto, il Creato è sottosopra, gli arcangeli sembrano, piuttosto, vermi all’amo. Dio è una voce lontana, un’assenza che divide. Questa sospesa immobilità fa da cornice alla non-scommessa del Diavolo di condurre alla perdizione l’integerrimo Faust, simbolo dell’anima lacerata dall’eterno conflitto tra il bene e il male, la salvezza e la dannazione.
Si arreda ora lo studio del medico-teologo con file di sedie come una qualsiasi sala d’aspetto. Viene ricreato a vista dai giovani del Teatro Laboratorio, al pari di ogni altro ambiente stilizzato delle dodici scene in cui il Faust è scandito. L’impegno professionale, che superi lo spazio “protetto” della didattica per giungere al confronto con lo spettatore, si riduce a questo: fare, soprattutto, gli attrezzisti oppure partecipare a quadri d’insieme (coreografo Thierry Thieû Niang). Sono tecnici in camice, guanti e maschere antigas, tipi in bombetta alla René Magritte e anche branco di infermieri scimmia. Si affastellano via via nel teatro mentale di Foschi, che recita i panni di grigi di Faust.
Ha spesso gli occhi serrati, la testa reclinata: è chiuso in se stesso, nella terra desolata, devastata, depressa del suo spirito. Recita. Parla per sentire la sua voce, non per dare un qualche corpo ai pensieri, tentare di comprenderli, tirandoli fuori, allontanandoli e allontanandosi. Tra la gente, Fuori porta, in mezzo a crocicchi di strade disegnate con binari luminosi (luci Gianni Pollini), potrebbe sentirsi simile ai suoi simili, ma non è così. L’esterno è la sciagura dell’interno, e viceversa. Il tempo delle Scene da Faust è infranto da quando lo specchio della natura è andato in pezzi.
Il mondo è rinuncia, sacrificio e nient’altro. Vivere è un tormento per il medico-teologo, quasi odia la vita e ama la morte, alla stregua del coevo Frankenstein. Il ricordo di una lontana felicità, nel sabato di Pasqua, l’ha strappato al suicidio all’ultimo momento. L’avvento di Mefistofele è decisivo: solo con lui Faust riesce a esprimere e a esaudire i suoi desideri. È finalmente se stesso, perché il Diavolo è il suo sé rivelato, il doppio, l’incarnazione freudiana dell’inconscio, della parte più segreta, oscura, inconfessabile.
Il sortilegio è il sonno della ragione. Il sapiente scienziato si addormenta sulle ginocchia del suo altro io, dopo che ha venduto l’anima per un piacere assoluto, pieno, incondizionato, tale da richiedere di fermarne l’attimo. Sogna lo specchio ricomposto con il suo sangue: ora può attraversarlo. Dall’altra parte, i desideri si riflettono al naturale e sono il desiderio, quello sessuale. La flebo corroborante della strega-scimmia non lascia scampo a dubbi: la prima cosa che il rinnovato Faust vede è la gigantografia della vulva di Constance Quéniaux ritratta ne L’Origine del mondo di Gustave Courbet.
Entrato nel flusso vitale del tutto, l’intellettuale, visto da qui, è preda di un istinto cieco quanto, prima, l’ansia di conoscenza. La tensione espressiva, mitica e misterica di Goethe si risolve, stando alla lettura di Federico Tiezzi, in una tragedia carnale con capro espiatorio la Margherita, chiamata con il diminutivo Gretchen, di Leda Kreider. Lo sconforto per l’inutilità dell’erudizione si tramuta e risolve nella colpa dell’amore di una donna. Un po’ Giulietta, un po’ Ofelia: è la «bella signorina», in definitiva, la personificazione del male sulla Terra. Lo scrive chiaramente Victor Hugo nel dramma Ruy Blas, pochi anni dopo il Faust: «Dio si è fatto uomo. Il Diavolo si è fatto donna». Il contemporaneo delle Scene da Faust si scopre datato 1838.
SCENE DA FAUST
di Johann Wolfgang von Goethe
versione italiana Fabrizio Sinisi
regia e drammaturgia Federico Tiezzi
con Dario Battaglia, Alessandro Burzotta, Nicasio Catanese, Valentina Elia, Fonte Fantasia, Marco Foschi, Francesca Gabucci, Ivan Graziano, Leda Kreider, Sandro Lombardi, Luca Tanganelli, Lorenzo Terenzi
scene e costumi Gregorio Zurla
luci Gianni Pollini
regista assistente Giovanni Scandella
coreografo Thierry Thieû Niang
canto Francesca Della Monica
produzione Teatro Metastasio di Prato, Compagnia Lombardi-Tiezzi
in collaborazione con Fondazione Sistema Toscana/Manifatture Digitali Cinema Prato e Teatro Laboratorio della Toscana/Associazione Teatrale Pistoiese
Teatro Fabbricone, Prato
14 maggio 2019