ANTONIO CRETELLA | Il mio professore di Storia Medievale dell’università era un convinto sostenitore della tesi che l’Occidente, per come lo conosciamo, sia il prodotto della commistione della cultura romana (e per traslazione, di quella greca) con quella germanica, seguendo il paradigma del cosiddetto sincretismo romano-germanico teorizzato dallo storico Tabacco. L’amalgama delle due culture, per quanto sottoposte nel tempo a un processo di omogeneizzazione, non poté eliminare del tutto idiosincrasie e contraddizioni derivanti dalla mescola di elementi spesso inconciliabili tra loro, portando nei secoli a una cultura complessa, sfaccettata, talora incoerente: tribalità da un lato, raffinata politica dall’altra; nazionalismo da un lato, cosmopolitismo dall’altro; esaltazione della povertà e disprezzo di essa; mondanità assoluta e contemptus mundi. “Vedete, noi siamo quelli dell’eccidio dei nativi americani e degli ebrei, ma abbiamo anche prodotto la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”.
Capita allora che nel bel mezzo di un trionfo elettorale del sovranismo in Italia, mentre il Ministro della Famiglia già incoraggia le processioni riparatorie dopo i Gay Pride (per riparare cosa non si sa), dalle urne di un paesino di provincia esca come primo cittadino un uomo transgender. Splendida, rincuorante contraddizione.
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