MARIA FRANCESCA GERMANO | Il tardo pomeriggio a Matera è il momento della giornata in cui le chianche sembrano irradiare la luce assorbita durante il giorno, rifrangendola in oro sugli intonaci delle piazzette e sulle facciate delle chiese. Il momento del giorno in cui all’orizzonte, nel controluce del sole che si abbassa, si staglia vivido il profilo dei sassi incastonati nella gravina e il cielo ha il dolce color d’oriental zaffiro, come nell’alba dantesca dei primi bellissimi versi del Purgatorio.
Iniziare uno spettacolo nel paesaggio del tardo pomeriggio materano non è certo un caso ma il frutto di uno studio attento e meticoloso fatto da Ermanna Montanari e Marco Martinelli – Teatro delle Albe – della scenografia naturale e architettonica in cui ambientare il viaggio teatrale di Purgatorio – Chiamata Pubblica per la “Divina Commedia” di Dante Alighieri per la Capitale Europea della Cultura 2019.
Un viaggio nel regno ultraterreno dantesco di ottanta spettatori accompagnati, in una “messa in vita” collettiva e complessa, da attori e non attori – oltre duecento persone scelte tra la gente del posto – tutti parte della meravigliosa polifonia delle figure dantesche.
È il secondo atto della trilogia iniziata a Ravenna nel 2017 con l’Inferno; un viaggio che è partito proprio dalla tomba di Dante, che ha fatto tappa a Kibera, uno slum alla periferia di Nairobi – con 150 bambini che hanno recitato in inglese e swahili – e che si concluderà con il Paradiso a Timisoara, in Romania, per la Capitale Europea della cultura 2021.
L’avveramento di un sogno giovanile – come si legge nel libro di Marco Martinelli, Nel nome di Dante, edito da Ponte alle Grazie –, quello di dar corpo alla Divina Commedia traducendo scenicamente due intuizioni fondamentali di Ezra Pound: la prima di pensare a Dante come l’everyman, l’umanità intera. Dante, viandante sperduto nella selva della sua esistenza, è lo spettatore che fa il viaggio insieme a Marco ed Ermanna – Virgilio e Beatrice –, guide che lo conducono fuori dal labirinto. La seconda di pensare alla Commedia come a una grande Sacra Rappresentazione. Suggestioni poundiane che, unite alla passione di Ermanna Montanari e Marco Martinelli per il teatro di massa novecentesco di Majakovskij e Mejerchol’d, danno vita a un modello drammatico corale di intelligenza collettiva.
Il viaggio parte dall’antico convento Le Monacelle, abbarbicato sulla parte più alta del paese vecchio, un rimando alla struttura ascensionale dei cerchi del monte dantesco. Il suono vicinissimo delle campane, che scandiscono i tempi di altre liturgie, proietta i presenti nell’arcaico scorcio trecentesco. Ermanna e Marco, vestiti di bianco, fendono il capannello degli spettatori, affiancando un giovane con una grande conchiglia in mano. Lei calza simil jika-tabi giapponesi che sembrano rimpicciolirle i passi. Marco indossa un sorriso rassicurante, quasi una maschera di blandizia.
Come in una sacra processione si lasciano seguire nella cappella di Santa Maria in Costantinopoli; un odore inebriante di gelsomino si fonde con la voce di Ermanna – di una limpidezza sovrannaturale – che dal leggio intona l’introduzione alla Cantica: «Dante e Virgilio sono usciti dalle nere tenebre dell’Inferno, sono usciti a riveder le stelle. E ora sono soli, su una spiaggetta, ai piedi di un monte, all’alba. Qui ha inizio il Purgatorio». Il ragazzo suona tre volte la conchiglia ed Ermanna inizia la lettura del primo canto. La sua voce sembra emergere da un altrove, sembra attraversare il suo corpo e venir fuori in ogni singola minima vibrazione, amplificata dal microfono che ne accentua risonanze e respiri. Un rapimento.
Il processo di purificazione, come in un rito dionisiaco, ha inizio con l’unzione di una ‘P’ da parte di bambini-Angeli di Dio e continua con la salita verso la cima del monte, resa simbolicamente dai tanti scalini che ci separano dalla salvezza: la porta del Paradiso.
Nella Chiesa del Riscatto, sotto mazzi pendenti di erbe officinali e in una luce morbida che tutto dirada, un gruppo di donne velate – anime di donne ammazzate e violentate da padri, mariti, fratelli e fidanzati –, come madonne su altari, bisbigliano accoratamente agli spettatori «ricordati di me», prima in singoli flebili sussurri poi in un coro drammatico. I versi struggenti che danno voce alla storia di Pia de’ Tolomei diventano detonatore di storie violente di dolore universale.
Risalendo le varie cornici dei peccati capitali, ci si siede nei banchi di scuola tra i Superbi in cui Dante colloca quasi tutti gli artisti della Commedia; ci imbattiamo in Beuys e le sue teorie ambientaliste e ci lasciamo suggestionare dai versi di Oderisi da Gubbio: «Credette Cimabue ne la pittura / tener lo campo, e ora ha Giotto il grido / sì che la fama di colui è scura». La gloria umana è come un fiato di vento. Nell’aria canti gregoriani; aromi di timo e rosmarino ci riconciliano con la natura come in una rinascita olfattiva.
Si sale ancora; su una terrazza ventilata un coro variopinto e perfettamente cadenzato di persone di ogni età e nazionalità, tra banchi di scuola, declama, grida e sussurra versi di Withman, Majakovskj, John Donne, Hillesum e Dante: «Non vi accorgete voi che noi siam vermi nati a formar l’angelica farfalla?». Una delle emozioni più potenti di questo rito teatrale che ha in sé la gioia della espiazione ma che riesce a dialogare continuamente e impetuosamente con il presente in uno slancio generoso contro i mali che lo deturpano.
Passiamo davanti a Sapìa l’invidiosa; sugli occhi una corona di erbe intrecciate a cucirne metaforicamente le palpebre: «Non fate come me, non fate come me, l’invidia acceca»; attraversiamo la cornice degli Avari tra i monologhi in versi del Papa Adriano V e del re di Francia Ugo Capeto, supini con le braccia a croce sul pavimento di cementine.
Poi dopo una irta scala, da uno stretto corridoio esterno ci affacciamo sulla fossa degli Iracondi; fra suoni cupi e stridenti, un gruppo di persone si sposta senza sosta calpestando irosamente una enorme cartina geografica dell’Italia; l’invettiva politica dantesca sembra attagliarsi al nostro tempo: «Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave senza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province ma bordello».
Da questo affaccio, alzando gli occhi verso l’orizzonte, ci si perde nella valle Murgiana su cui si allungano ombre di nubi minacciose; quella prospettiva, tinta del colore viola di un tramonto che sta per essere squarciato da un temporale, è forse il Paradiso; quattro figure in nero con in mano una fiaccola accesa si ergono lungo la linea del tramonto come il ‘muro di fuoco’ citato nella Cantica. Note di musica sacra si perdono nell’aria prima della pioggia. Poesia.
Come un segno del destino la pioggia ci impedisce di salire più su, nel Paradiso. Si torna in silenzio nella Chiesa del Riscatto in cui ancora sembrano aleggiare le laceranti richieste di aiuto delle anime delle donne ammazzate. Quattro adolescenti vestite da Greta Thunberg tuonano contro gli adulti con frasi tratte dai suoi ormai celebri discorsi e in un finale edificante benedicono i presenti poggiando loro la mano sulla fronte: «Puro e disposto a salire alle stelle». In questo momento, nel climax della purificazione redentrice, l’apparizione pantocratica della divinità bambina svedese ci sembra dialogare poco con la bellezza rarefatta e assoluta del resto.
Dopo gli applausi, lasciamo le emozioni sedimentarsi nel silenzio; percorriamo in discesa il vicolo che costeggia il duomo dalle cui feritoie, come spifferi, sibilano le voci di un coro liturgico. Nelle orecchie la sensazione incancellabile della voce di Ermanna Montanari.
PURGATORIO
Chiamata pubblica per la Divina Comedia di Dante Alighieri
ideazione, direzione artistica, regia Marco Martinelli e Ermanna Montanari
con Marco Martinelli, Ermanna Montanari, Alessandro Argnani, Nadia Casamassima, Alessandra Crocco, Roberta Magnani, Alessandro Miele, Laura Radaelli, Alessandro Renda, Salvatore Tingali
musiche Luigi Ceccarelli con Giacomo Piermati, Vincenzo Core, Giovanni Tancredi, Andrea Venari, Riccardo Zelinotti, Simone Marzocchi
spazio scenico e costumi Edoardo Sanchi e Paola Giorgi con gli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Brera
disegno luci Fabio Sajiz
tecnici luci Luca Pagliano e Angelo Piccinni
direzione tecnica Enrico Isola e Fagio
collaborazione alla chiamata pubblica IAC Centro Arti Integrate
ufficio stampa Rosalba Ruggeri
organizzazione Silvia Pagliano con Veronica Gennari, Giusy Mingolla
guide Anna Maria D’Adamo, Andrea Santantonio
coproduzione Fondazione Matera Festival Basilicata 2019 e Ravenna Festival/Teatro Alighieri
in collaborazione con Teatro delle Albe/Ravenna Teatro
Le Monacelle, Matera
24 maggio 2019