LAURA BEVIONE | In un intervallo temporale dilatato e morbido, dal 27 marzo al 24 aprile, il comune di  Morgex, all’ombra del Monte Bianco, ha ospitato gli appuntamenti teatrali accuratamente scelti e programmati da, Stefania Tagliaferri e Verdiana Vono della compagnia Palinodie. Le due artiste e operatrici – la prima è anche regista, la seconda drammaturga – hanno ideato e organizzato Prove Generali, una rassegna che per un mese ha inserito la spesso dimenticata Valle d’Aosta nel circolo virtuoso della scena contemporanea italiana, riuscendo ad attrarre un pubblico curioso e attento e costringendo forse amministratori e operatori culturali del territorio a prestare maggiore attenzione al teatro non soltanto commerciale.

Foyer

Un successo, come è possibile evincere anche da quanto dichiara Stefania Tagliaferri: «L’ho detto come dichiarazione programmatica, lo ribadisco a lavori conclusi (ammesso che si possano definire conclusi!): Prove Generali – Il teatro va in montagna? è una forma di resistenza culturale. Lo dimostra l’aria di conquista degli spettatori dopo gli spettacoli, la responsabilità e l’attenzione con cui gli artisti si muovono in questa esperienza, la determinazione di tutti i partner e dei volontari, il diffuso atteggiamento a non dare nulla per scontato. Stando all’atmosfera respirata, alle conversazioni dopo spettacolo e all’elaborazione dei dati raccolti nei questionari, l’edizione 2019 è andata bene: il pubblico, che è cresciuto significativamente anche a livello numerico, si è dichiarato stimolato e felice; gli artisti hanno potuto prendersi del tempo, in un contesto nuovo, per riflettere sugli equilibri interni ai propri spettacoli e sulla ricezione delle istanze espresse in scena. Certo, in Valle D’Aosta, transitare dall’occasionalità del fare e del fruire teatro a uno scenario di continuità  rimane una sfida: si tratta di risvegliare un desiderio che per alcuni è ancora da scoprire e di creare una nuova ritualità».

Una sfida che può essere vinta anche conservando la memoria di quanto accaduto, per riflettere su punti di forza da sfruttare ulteriormente così come su criticità da risolvere. Come spiega Verdiana Vono: «Abbiamo deciso di iniziare anche un percorso di memoria per fissare le conversazioni fatte a voce e per iniziare a lavorare sugli “annalidella rassegna. Quindi abbiamo chiesto alle compagnie di riflettere su un aspetto specifico del lavoro e di metterlo per iscritto».

L’edizione 2019 di Prove Generali è stata aperta, il 27 marzo, dalla bresciana Francesca Franzè, autrice e interprete, con Luca Serafini, di Ommioddio, spettacolo di cui è protagonista un’anziana signora, Iole, creata partendo dalla frequentazione delle case di riposo in cui Franzè sta portando avanti «un progetto di narrazione autobiografica e recupero del ricordo». L’autrice-attrice ha interiorizzato voci, gesti, pensieri, emozioni delle donne anziane con cui è entrata in contatto durante i suoi laboratori, acquisendo un “sapere” che si è fissato in lei quasi inconsapevolmente e che, replica dopo replica, «si approfondisce – dice – trovo e ritrovo spazi, pause, uno stare, che rimane in divenire e si arricchisce delle cose che scopro di me quando sono vecchia, quando sono Iole, e di quello che prendo dalle sperimentazioni teatrali che tutt’oggi condivido con i gruppi di anziani».

La partecipazione alla rassegna valdostana è stata dunque un’opportunità per impossessarsi più strettamente del proprio lavoro che, sovente, dopo la “prima” fatica a trovare spazi per ulteriori repliche, malgrado i premi o le recensioni positive. Ne sanno qualcosa i padovani Amor Vacui, che a Morgex hanno portato il loro Intimità, forte di una menzione speciale della giuria al Premio Scenario 2017.

Intimit+á

La compagnia sottolinea il merito di quelle realtà capaci di intercettare spettacoli di valore e di offrire loro un palcoscenico; realtà che, «come Prove Generali, decidono di credere nello spettacolo, che si sintonizzano con il proprio territorio e il proprio pubblico e lo trattano alla pari dando una vera direzione artistica, che risponda ai bisogni culturali e alle preferenze di un territorio, ma al tempo stesso lo ingaggi con scelte stimolanti e inaspettate. Noi nella nostra esperienza a Morgex abbiamo sentito tutta la competenza e la passione di Stefania e della squadra, ci siamo sentiti accolti con cura e professionalità e abbiamo trovato un pubblico attento e partecipe. Sono questi i valori che ci danno nuove energie per continuare a fare ricerca, a cercare di innovare, a cercare, di alzare l’asticella per ogni progetto futuro».

E l’importanza di sperimentare il proprio lavoro in luoghi teatralmente periferici, dove l’offerta è limitata e di conseguenza il palato meno “allenato” e, forse per questo, più difficile da soddisfare, è evidenziata pure dalla Compagnia Indipendente dei Giovani Umbri, che a Morgex ha portato Almost, Maine.

Almost Maine

Spiega la compagine di Perugia: «Fare teatro lontano dai centri, come nel caso di Prove Generali, per una compagnia di professionisti indipendenti equivale al recupero di una funzione necessaria al nostro lavoro: scoprire un pubblico nuovo ed elaborare una tecnica per sintonizzarsi in profondità con questa platea. Il pubblico dei centri è, seppur nelle specificità regionali, un pubblico che si fa riconoscere e che tiene un contegno a misura di una certa aspettativa. Il pubblico della periferia chiede di essere conquistato. Entra in sala con una serena benevolenza ma ci tiene a non essere preso in giro. Vuole essere sorpreso o coinvolto, interpellato o affascinato. Non vuole essere ingannato, non vuole essere provocato, non vuole essere illuso. Per uno spettacolo come Almost, Maine la connessione emotiva è tutto. Conoscere una platea come quella di Morgex è stato profondamente stimolante per la compagnia e qualche eredità dei giorni di Aosta è già riverberata in forma di conquista nelle repliche immediatamente successive di Milano e Perugia. Chi lavora nello spettacolo dal vivo deve sapere che la pratica è fatta di ricerca e sepoltura di un tesoro: si cerca un’idea per molto tempo e poi la si trova. Ma questo tesoro non si può portare in mano o in tasca e non si può esporre all’erosione naturale. Bisogna seppellire il tesoro e andarlo di nuovo a cercare, dimenticando il posto dove lo si è sepolto proprio per meglio conservarlo. Il nostro lavoro è arte e artigianato e si nutre, esattamente come fa una piccola comunità, di una specifica cura e di un singolare mistero. Portarlo in luoghi come Morgex significa favorire la circolazione di un’energia che rischia di essere schiacciata da forza di ben altra natura e contribuire alla vicinanza di spiriti affini separati da decine, centinaia e talvolta migliaia di chilometri».

E del rischio che un certo tipo di teatro venga lentamente espulso dalla scena discute Renato Sarti, che a Morgex ha portato il suo Nome di battaglia Lia, un vero e proprio “classico” del teatro civile. Denuncia Sarti: «Vi è una tendenza nel fare finta di niente, nel rimuovere o a volte addirittura enfatizzare gli atti di eroismo di coloro che si opposero alla dittatura, alle leggi razziali e alla soppressione delle libertà. Guardando alla mia personale esperienza, trovo che manchi un po’ di coraggio da parte di chi distribuisce spettacoli d’impegno in Italia. Thomas Bernhard diceva di scrivere per dare fastidio: un modo diplomaticamente provocatorio per affermare che, a meno che non sia dichiaratamente di puro svago e intrattenimento, il teatro deve incidere, graffiare. Altrimenti perché farlo? Se attraverso la risata o il pianto esso non è in grado di smuovere le coscienze e far riflettere, perde quella che − dal tempo dei greci, passando per Shakespeare, Molière, Goldoni, Beckett, Eduardo De Filippo, Dario Fo e fino ai giorni nostri − è stata la sua principale funzione».

Nome di battaglia Lia

Una peculiarità essenziale del teatro che Tagliaferri e Vono hanno ben chiara come testimonia la scelta di programmare uno spettacolo, come quello di Sarti, che, paradossalmente, ha difficoltà a circuitare in Italia.

Una concezione del teatro che ha convinto le curatrici di Prove Generali a ospitare Ci ho le sillabe girate, lo spettacolo del milanese Teatro Officina, compagnia di “teatro sociale”, e dedicato alle problematiche quotidianamente affrontate da chi soffre di dislessia.

Ci ho le sillabe girate

E con le loro parole, il regista Enzo Biscardi e la responsabile dei progetti Daniela Airoldi Bianchi, sintetizzano non soltanto il lavoro della propria compagnia ma altresì quello svolto a Morgex dalla compagnia Palinodie: «il saper ascoltare e generare nuovi mondi possibili diventano valori e nuove mappe importanti per navigare in quel mare aperto che è il farsi del teatro entro una comunità».