ELENA SCOLARI | Siena è la città del Palio, è una città divisa in diciassette contrade (che corrispondono ai nostri quartieri) e la competizione è cosa di tutti i giorni. Giusta collocazione, quindi, anche per una “gara” teatrale.
Il progetto In-box, ideato meritoriamente dalla compagnia toscana Straligut nel 2009, ha l’obiettivo di sostenere gli artisti emergenti (ma ormai anche quelli già emersi da un po’) con un meccanismo che procura repliche alle dodici compagnie finaliste (sei per In-box verde dedicato al teatro ragazzi e sei per In-box blu dedicato al teatro serale) a un prezzo stabilito dal regolamento.
Circa sessanta operatori concentrati tra nord e centro (solo un paio al sud, vedi mappa) vedono le centinaia di video delle compagnie che si propongono ogni anno (ed è una gran fatica) e selezionano gli artisti che mostreranno il loro lavoro dal vivo nelle giornate senesi del concorso, in maggio. Ogni compagnia vince tante repliche quanti sono i voti raccolti tra gli operatori, ogni voto corrisponde all’acquisto dello spettacolo al prezzo fissato di € 1.400, (€ 1.000 per gli spettacoli della parte verde per ragazzi).

Come abbiamo già osservato l’anno scorso va considerato che gli enti che formano la rete scelgono (e quindi comprano) spettacoli coerenti con le caratterstiche delle proprie programmazioni e devono tenere conto non solo della qualità ma anche delle possibilità tecniche degli spazi a disposizione e del tipo di pubblico che frequenta le sale in gestione. Lo ricordiamo perché questi aspetti aiutano a delineare obiettivamente lo spirito di In-box che si configura come un progetto di aiuto alla circuitazione per compagnie non riconosciute dal Ministero e con ridotte possibilità di esposizione.

Per l’edizione 2019 PAC ha assitito alle giornate di In-box blu, di cui daremo qui conto con un excursus tra i sei titoli visti, in due puntate di lettura. Rimandiamo al sito per vedere anche i finalisti di In-box verde che ha visto al primo posto la compagnia Piccoli Idilli di Merate (LC) con lo spettacolo Kanu, recensito per PAC da Gilda Tentorio.
Tre i teatri di Siena che hanno ospitato gli spettacoli: il Teatro dei Rozzi, il Teatro del Costone e quest’anno anche il bellissimo Teatro dei Rinnovati, nella splendida Piazza del Campo.
Decisamente eterogenee per stile le proposte finaliste; come curiosità geografica notiamo che la provenienza si limita alle sole regioni di Lazio e Lombardia.

Andremo in ordine sparso e non cronologico rispetto al programma del festival, cominciando col dire che lo spettacolo più “comprato” (e in questo caso anche più amato) è decisamente quello che anche noi abbiamo preferito: La classe – un docupuppets per marionette e uomini di Fabiana Iacozzilli/CrAnPi è a nostro parere un lavoro che stacca tutti gli altri di varie lunghezze.


La classe racconta di alcuni alunni di un (vero) collegio romano “vittime” negli anni ’80 di una cattivissima suora che infliggeva loro angherie ingiustificabili. Cinque performer vestiti di nero muovono altrettante marionette, bellissime; sono i bambini alla mercé di Suor Lidia, con le loro cartelline, i loro grembiulini, i quadernini, i pennarellini… Quasi straziante è il contrasto tra la tenerezza di questi piccoli oggetti colorati e la perfidia nera dei gesti dispotici di quella suora.
Le marionette sono mute ma parlano attraverso le voci adulte raccolte tramite interviste agli ex bambini del collegio, ora uomini e donne fatti, interpellati a ricordare alcuni degli episodi più spietati vissuti in quegli anni di scuola. Chi li ha impressi in maniera indelebile e chi li ha rimossi. I fantocci non cambiano espressione, si mostrano ed esistono solo grazie alle mani dei loro “pupari”, così come quei bambini agivano in funzione degli ordini di Suor Lidia.
Evidente è il riferimento a La classe morta di Tadeusz Kantor, indimenticato capolavoro in cui gli scolari sono vecchi e portano sulle loro spalle i bambini che furono in guisa di manichini di cera; qui ogni pupazzo ha il suo prolungamento nella voce del sé cresciuto. Bellissimo il momento in cui la regista sale sul palco per mettere berretti e sciarpine ai bambini/marionette durante una fredda ora di ricreazione in cortile, sotto un albero spoglio, retto da uno dei performer. Anche a lui la regista offrirà la morbidezza della lana a coprirlo, un riscatto d’attenzione per chi fa parte della sua classe di collaboratori.
Quello che ne emerge è una riflessione profonda e senza miele su quanto del noi bambini rimane nel noi adulti, tra caratteri, inclinazioni e dolori. Un prova di come estetica e vita possono fondersi per dare senso alla propria realtà.

Anche Teatro Città Murata/Mumble Teatro di Como con Così lontano così Ticino, prende spunto da un fatto reale e poco noto: ai lavoratori stagionali italiani in Svizzera, fino al 2016, non era consentito il ricongiungimento familiare, pertanto i loro figli erano clandestini in territorio svizzero; questo li costringeva a nascondersi, a giocare in silenzio e a uscire solo la sera quando il buio li poteva proteggere. Una rigida restrizione pochissimo conosciuta e senz’altro degna di essere messa allo scoperto.

Dobbiamo però arrivare a metà spettacolo per scoprire che la ragione del rancore dei due personaggi in scena è questa. I due meccanici italiani con officina a Chiasso ce l’hanno con gli svizzeri, sono imbevuti degli stereotipi classici contro gli elvetici (la neutralità, la precisione priva di fantasia, il denaro delle banche, ecc.), decidono quindi di fare un gesto eclatante per attirare l’attenzione e per rendere giustizia agli italiani; ma senza sapere cosa li spinge davvero il tutto sembra un poco pretestuoso…
Tra una rapina alla Soliti ignoti e l’assurdo rapimento di Mina (che compare in cartonato), passando per lo squartamento di Rita Pavone, si trascura quello che sembrava essere il centro tematico del lavoro.
La faccenda finisce a schifìo e rivela anche la solitudine dei due compagni di officina, rimasti – dopo la costrizione infantile – poco capaci di intessere rapporti umani alla luce del sole.
L’idea di partenza è bella, ma è più sulla carta che in scena, rimane accennata, brevemente, soccombendo un po’ alla volontà di far ridere (con successo, indubbiamente) e a una certa indecisione su dove mettere il fuoco dello spettacolo. Davide Marranchelli (autore del testo e regista) e Stefano Panzeri sono bravi, disinvolti, giocano bene il rapporto tra i due, ma proprio per questo c’è ancora certamente margine per ritagliare più nitidamente figure e nocciolo del lavoro.

Continua…

La classe
uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli | CrAnPi
collaborazione alla drammaturgia  Marta Meneghetti, Giada Parlanti, Emanuele Silvestri
collaborazione artistica Lorenzo Letizia, Tiziana Tomasulo, Lafabbrica
performer Michela Aiello, Andrei Balan, Antonia D’Amore, Francesco Meloni, Marta Meneghetti
scene e marionette Fiammetta Mandich
luci  Raffaella Vitiello
suono Hubert Westkemper
fonico Jacopo Ruben Dell’Abate
assistenti alla regia  Francesco Meloni, Silvia Corona, Arianna Cremona
foto di scena Tiziana Tomasulo

Così Lontano così Ticino
testo e regia Davide Marranchelli
con Davide Marranchelli, Stefano Panzeri